Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Thailandia: la rivolta per la libertà

Thailandia: la rivolta per la libertà

di Manuel Zanarini - 14/04/2009

 


Si torna a parlare, poco e male a dire il vero, della situazione politica thailandese, purtroppo anche stavolta in seguito a proteste e cruenti scontri di piazza.

Ho già scritto a proposito della nascita e di una parte dell’evoluzione dell’attuale scenario politico del Paese, quindi non mi dilungherò a parlarne in questa sede, tranne un breve “riassunto delle puntate precedenti”.
Dopo le ultime elezioni, il blocco di partiti facente riferimento all’ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra, deposto da un colpo di stato militare, aveva formato un governo forte di una solida maggioranza parlamentare; ma un paio di ridicole sentenze della Corte suprema, con le quali sono stati cancellati i tre partiti di maggioranza relativa, hanno fatto cadere il legittimo governo, in quanto il Presidente del Consiglio presentava un programma televisivo di ricette…terribile conflitto di interessi!!!
Le sentenze, oltre che frutto della politicizzazione della Corte, sono derivate dalle manifestazioni illegali dei sostenitori del Partito Democratico all’opposizione, le famose “magliette gialle”, i quali hanno impedito per mesi al governo legalmente in carica di riunirsi e hanno occupato i due aeroporti di Bangkok sequestrando centinaia di turisti internazionali, tra i quali anche diversi gruppi di italiani. Per cercare di riportare la legalità nel Paese, il governo aveva dichiarato lo “stato di emergenza”, ma l’esercito si rifiutò di eseguire l’ordine e la protesta continuò indisturbata. A questo punto, in puro stile italiano, il Partito Democratico ha messo a segno il classico “ribaltone”; infatti, un gruppo di parlamentari della maggioranza si “accorda” con l’opposizione e viene nominato il nuovo governo, tutt’ora in carica, guidato da Abhisit Vejjajiva.

A differenza di tutta la storia politica thailandese, nel corso della quale la politica è sempre rimasta un affare dell’elite politico-economica del paese, stavolta assistiamo a uno scontro tra due blocchi sociali ed economici ben precisi: la classe dominante, sia a livello economico che militare, soprattutto espressione dell’alta borghesia di Bangkok, schierata col Partito Democratico e con le “magliette gialle”, da un lato; e le classi popolari, del sottoproletario urbano e soprattutto del ceto contadino del nord e del nord-est del paese, con l’opposizione favorevole al ritorno di Thaksin, dall’altro.
Il coinvolgimento delle masse popolari in politica è un fatto assolutamente nuovo per la Thailandia, e a questo deve imputarsi la pesantezza dello scontro politico degli ultimi mesi. L’opposizione si è organizzata dando vita al “Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura” (UDD), e formando le squadre di “magliette rosse”.  Il governo Abhisit viene accusato di essere un fantoccio nelle mani dell’esercito, e viene chiesto lo scioglimento della Camera e il ritorno alle urne.
Le “magliette rosse” sono molto radicate soprattutto nel nord del Paese, dove, de facto, impediscono al governo di operare; basti pensare che lo stesso neo Primo Ministro annuncerà più volte una riunione straordinaria dell’esecutivo a Chiang Mai, la principale città della zona, ma ogni volta sarà costretto a tornare sui suoi passi, per motivi di sicurezza.

La situazione si fa sempre più tesa col passare dei mesi, fino ad arrivare ai giorni nostri. Dal 10 al 12 aprile scorso, era in previsione il vertice dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale), da tenersi a Pattaya, una cittadina balneare e turistica a circa 150 km da Bangkok. Il portavoce dell’opposizione chiede che il vertice non si svolga in Thailandia, perché il governo in carica non è espressione della volontà popolare, ma di giochetti partitici. Il Primo Ministro non ci sente, e decide di far comunque svolgere il meeting. A questo punto, l’esiliato Thaksin invita i suoi seguaci ad insorgere e a combattere per la democrazia. Già nei giorni precedenti il vertice, si tengono imponenti manifestazioni di piazza da parte dell’opposizione (oltre 100.000 magliette rosse). La situazione degenera il giorno dell’apertura del meeting, allorché diverse centinaia di manifestanti fanno irruzione nei locali che ospitano la conferenza, mettendo in fuga i delegati, costretti ad essere evacuati a bordo di elicotteri militari.

La protesta si estende, e il giorno successivo, oltre 60.000 magliette rosse si radunano nel centro di Bangkok per chiedere lo scioglimento del governo figlio del ribaltone e l’indizione di nuove democratiche elezioni. Alla protesta si uniscono i guidatori di taxi e di autobus, mandando in tilt il normalmente caotico traffico della capitale. Nella notte, la polizia arresta uno dei leader dell’UDD, Arisman Pongruangrong, che aveva guidato la manifestazione di Pattaya. Come prevedibile, la situazione degenera, con le magliette rosse che bastoni e machetes alla mano assaltano i palazzi governativi chiedendone l’immediata scarcerazione. Il primo assalto viene portato al palazzo del Ministero dell’Interno, dove un funzionario si salva solo grazie ad alcuni spari delle guardie del corpo, mentre il Ministro riesce a fuggire alla folla inferocita per pura fortuna. Abhisit ordina lo “stato di emergenza”, e questa volta, a differenza di quando a bloccare il lavoro delle istituzioni erano le magliette gialle, l’esercito scende in strada mitra alla mano.

Gli scontri sono intensi: militari in assetto anti-sommossa e mitra spianati contro magliette rosse armati di sassi e bombe molotov. I dati non sono certi, anche perché alle televisioni tailandesi è stato messo il bavaglio e durante i due giorni di guerriglia nessuna notizia è stata diffusa; ma sembra che si siano registrati due morti tra i manifestanti, un militare ferito gravemente a colpi d’arma da fuoco a un posto di blocco, e oltre 150 feriti, alcuni dei quali piuttosto seriamente. Inoltre  diversi edifici governativi sono stati distrutti, tra i quali il Ministero della Pubblica Istruzione dato alle fiamme. Nel momento in cui scrivo, uno dei leader delle magliette rosse, Veera Musikhapong, ha chiesto ai manifestanti di porre fine alla rivolta e di rientrare a casa, anche perché molti di loro vengono dai sobborghi sottoproletari della capitale e della province contadine settentrionali, assicurando che la polizia non li arresterà. Quindi, la situazione sta tornando alla normalità, almeno per ora.

Penso che alcune considerazioni siano necessarie. A differenza di quello che i media occidentali hanno sostenuto, in Thailandia non c’è al momento uno scontro tra fazioni, ma esiste un problema di carenza di libertà; infatti, dal momento in cui Thaksin ha cominciato a toccare i privilegi delle classi dominanti, introducendo la sanità pubblica, i prestiti sociali per i contadini e dando il via a  una lotta serrata al narcotraffico, nel Paese non si ha più una situazione democratica in cui il governo vincitore delle elezioni possa governare: prima il colpo di stato militare; poi le proteste delle magliette gialle, sostenute dall’esercito, che hanno impedito per mesi al legittimo governo di legiferare; infine il ribaltone. Quello a cui abbiamo assistito per le strade di Bangkok non è uno scontro tra fazioni politiche, si tratta di una manifestazione, seppur violenta, di classi sociali povere e sfruttate che chiedono solamente libere elezioni e che il Paese imbocchi finalmente la strada della democrazia e delle riforme sociali.
Oggi, il governo Abhisit, che è bene ricordare essere espressione delle classi dominanti e sfruttatrici thailandesi, potendo schierare l’esercito, ha vinto la battaglia; ma, se non prende in considerazione il fatto che la stragrande maggioranza del popolo, e tutte le ultime elezioni democratiche sono lì a dimostrarlo, appoggia Thaksin e i suoi successori, difficilmente il Paese potrà uscire da questa gravissima crisi sociale e politica. Anche perché, come detto all’inizio, oggi, grazie all’UDD le masse sottoproletarie e contadine sono prepotentemente entrate nell’agone politico, e come insegna la storia europea del secolo scorso, se non se ne tiene conto, difficilmente si potrà evitare una rivoluzione violenta.

Infine, una piccola nota sul sistema dei mass media occidentali. Mentre ci si è dedicati per mesi, peraltro giustamente, alla Birmania e al Tibet, poche immagini sono state riservate alla rivolta thailandese (tanto che per avere notizie e analisi serie bisognava seguire Al-Jazeera o l’iraniana Press Tv). Come mai? Forse perché le prime due situazioni servivano a contrastare la Cina, mentre a Bangkok regna l’esercito filo-statunitense? Come diceva un vecchio saggio della politica italiana: “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”…