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Per una decrescita umanitaria

di Achille Rossi - 12/03/2006

Fonte: mrgachip.it

 

 
Intervista con Gianni Tamino, docente di biologia all'Università di Padova

D: Ci può essere davvero uno sviluppo illimitato come presuppone il sistema economico dominante?

R: Senz'altro no, se per sviluppo s'intende crescita. Non ci può essere crescita indefinita né dei consumi, né della produzione, né dell'uso di energia. Queste tre condizioni sfuggono alle regole fondamentali dell'ecologia, le quali stabiliscono che un ecosistema, e anche un sistema complesso come il pianeta terra, può avere un flusso di materiali e di energia compatibile con le caratteristiche del sistema. I materiali, cioè, devono essere ripristinati alla condizione originaria.

Potrebbe farci qualche esempio?

Posso usare carbone o petrolio se il tempo di utilizzo equivale a quello del ripristino, cioè decine di milioni di anni, non decine di anni. Se utilizzo materia organica, ad esempio per uso alimentare, non posso ripristinare i materiali che normalmente ritornano alla terra per garantirne la fertilità. Se prelevo minerali e metalli dall'ambiente e li trasformo in inquinamento, esaurisco la materia prima e distruggo gli equilibri ambientali.

L'esito di questo processo è l'esaurimento delle risorse energetiche?

Un simile modo di operare porta alla distruzione degli ecosistemi e delle stesse condizioni di sopravvivenza di molte specie, inclusa quella umana. Sposando la logica di aumentare la produzione, la crescita, lo sviluppo, è come se accelerassimo le condizioni per non permettere la sopravvivenza delle generazioni future. O forse della nostra stessa generazione. Dovrebbe risultare evidente l'impossibilità di continuare per una strada che non ha vie d'uscita. Come se ci trovassimo in autostrada con poca benzina e anziché ridurre la velocità per avere più probabilità di arrivare al distributore, accelerassimo il più possibile. Continuare con la crescita è come spingere sull'acceleratore quando siamo in riserva.

Prendere congedo dall'attuale idea di sviluppo significa prevedere una specie di sviluppo alternativo, oppure orientarsi in maniera decisa verso la decrescita?

Il termine sviluppo è usato in molti modi. Se si parla di sviluppo culturale, dei diritti umani, della solidarietà, nessuno è contrario a una crescita di questo genere. Il problema consiste nel fatto che a livello politico sviluppo è diventato sinonimo di crescita. Ora non c'è una crescita alternativa a quella attuale, ma possiamo immaginare un'economia diversa che non ha bisogno della crescita, ma tende prima di tutto a una decrescita là dove i consumi sono eccessivi e a una crescita dove i consumi sono praticamente inesistenti. Si dovrebbe arrivare a una situazione in cui la presenza e l'attività umana siano compatibili con gli equilibri naturali e abbiano come obiettivo non quello di sfornare merci con lo scopo di indurre al consumismo, ma di produrre ciò di cui si ha veramente bisogno.

La felicità, che dovrebbe essere l'obiettivo della collettività solidale umana, non dipende da quanto si consuma, ma dalla possibilità di soddisfare i bisogni essenziali, tra cui quello di convivenza, di convivialità, di vivere bene insieme con gli altri. È evidente che, se qualcuno consuma troppo, inevitabilmente una gran parte di esseri umani non ha accesso ai consumi essenziali, come l'acqua e il cibo, e quindi si crea una condizione di pesante ingiustizia che cozza con i principi dello sviluppo della solidarietà e dei diritti umani.

Cosa può significare per le nostre società occidentali sganciarsi dall'ideologia dello sviluppismo e lavorare alla costruzione di alternative praticabili?

Anzitutto associare lo sviluppo al consumismo, perché il consumismo è figlio di una logica sviluppista che ci ha spinto a produrre ciò di cui non abbiamo bisogno e a indurre il bisogno di quel che non ci servirebbe. L'esempio eclatante è l'”usa e getta”. Invece di avere prodotti durevoli che si possono aggiustare, si arriva al paradosso, ad esempio, che costa meno comprare la stampante nuova, di quanto non costi acquistare la cartuccia una volta esaurita. I telefonini si comprano per la moda che vi è collegata, non per le prestazioni che forniscono. Succede la stessa cosa per l'automobile e persino per i computer, che vengono buttati via quando con piccoli accorgimenti potrebbero essere potenziati e riutilizzati ancora a lungo. La strategia di indurre consumi non necessari vale anche nell'alimentazione, dove la logica del “compri tre, paghi due” porta a consumare ciò di cui non abbiamo bisogno, a mangiare più del necessario, a gettare nei rifiuti più di un terzo di tutti gli alimenti che comperiamo.

Ma allora il consumismo non da la felicità...

Il consumismo non dà felicità ma è un vero spreco e lo sviluppismo si basa sulla necessità di indurre sempre nuovi consumi. Siccome è impossibile far crescere il bisogno di nuove merci in paesi che già ne sono intasati, si cerca uno sfogo attraverso il mercato cinese o indiano. Ma più si allarga la dimensione prima si arriva alla resa dei conti, perché l'inquinamento, i cambiamenti climatici, l'esaurimento delle risorse provocheranno un brusco risveglio.

Il mondo politico nella maggioranza dei casi sembra ancora prigioniero dell'ideologia dello sviluppismo: più infrastrutture, più strade, più consumo di territorio. Come si può invertire questa tendenza?

Il problema di fondo è che non esiste un'economia basata su considerazioni che tengono conto di quello che accade in natura. Siamo ancora prigionieri di una prospettiva economica fondata sull'illusione che le risorse del pianeta siano infinite. Questa logica, che punta a far crescere i consumi per poter avere un profitto sempre più alto e soprattutto a creare un sistema finanziario che si autoalimenti, è pura ideologia. Eppure sia la destra che la sinistra ne sono imbevute e la politica non serve per risolvere i problemi, ma per continuare ad alimentare questa logica economica sbagliata. Manca il senso del limite che ci è imposto dalla realtà naturale.

Più aumenta la produzione di merci più devono aumentare le infrastrutture; quando merci e infrastrutture arrivano a una certa soglia, non sono più finalizzate alla produzione quanto alla crescita di possibili rendite economiche, che vengono investite a loro volta in mercati finanziari. Cresce in questo modo un'attività parassitaria che consiste nell'investire denaro in operazioni speculative finanziarie.

Cosa pensa della questione Tav in Val di Susa, in cui abitanti, comuni, comunità montane si oppongono a queste grandi opere, mentre i politici le caldeggiano per la semplice ragione che non ci si può opporre al progresso?

La logica sviluppista non è progresso ma regresso, perché allontana la società umana da condizioni di vita migliori e da una più alta qualità della vita. La Tav purtroppo è figlia di tale ottica. Questo non significa che le infrastrutture non debbano essere fatte, soprattutto là dove mancano, ma di valutare volta per volta il loro senso non in funzione degli investimenti che devono produrre una rendita di tipo finanziario, ma in rapporto alle esigenze sociali e alla compatibilità con l'ambiente. Non mi sembra che la Tav risponda a tali criteri. L'enorme investimento per l'alta velocità è fatto a spese della viabilità dei treni, come quelli dei pendolari, che servono alla maggior parte della popolazione. Ci si impegna cioè in un'opera che richiede grandi investimenti da una parte e futuri profitti dall'altra, a scapito di ciò che potrebbe migliorare la qualità di vita della gente. Se proprio si volesse fare l'alta velicità, si dovrebbe evitare l'assurdità di realizzare un tunnel di 56 chilometri senza chiedersi dove mettere l'enorme volume di rocce, contenenti per giunta amianto e uranio, che riempirebbero il fondo della valle.

Siamo di fronte a una democrazia autoritaria che passa sopra la volontà delle persone. Tutto questo da parte di un governo che parla di federalismo, di rispetto delle autonomie locali e poi manda la polizia a manganellare la gente. Non esiste democrazia senza una reale partecipazione. Non basta la possibilità di votare ogni cinque anni, se poi si è costretti a subire le imposizioni.

dal mensile l'Altrapagina