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Con la NATO anche l'Italia sbarca in Georgia

di Carlo Benedetti - 04/05/2009

 

La Nato non cede. Approfitta ancora della presenza in Georgia del “Quisling” Saakasvili e si prepara alle manovre nella regione caucasica con 1300 soldati di 19 paesi. L’operazione - che scatta il 6 maggio e si protrarrà fino al 1 giugno - è giustificata sotto la copertura del programma “Associazione per la pace”, ma in realtà è una vera e propria azione di forza per mostrare i muscoli dell’Alleanza in un’area sempre più a rischio e dove la Russia concentra la sua attenzione ritenendola come zona di suo interesse. Ad arrivare nella regione dominata da Tbilisi ci saranno anche truppe italiane. Altri paesi si sono chiamati fuori, tra questi sembrano esserci Germania, Francia, Moldavia, Ucraina, Kasachstan e paesi baltici. Tutti in fibrillazione temendo il risveglio di un gigante che, per ora, sembra in sonno. E che si chiama Caucaso.

Intanto l’operazione georgiana va avanti nonostante i moniti lanciati da Mosca, dove il presidente Medvedev ha ribadito che le “manovre di maggio” sono “sbagliate e pericolose” e che potrebbero avere come conseguenza uno strappo tra Russia e Nato. Ma oltre al contenzioso diretto tra l’Alleanza e Mosca molti osservatori individuano oggi in questa nuova situazione geopolitica un certo cambiamento di rotta in seno alla stessa dirigenza americana o, per lo meno, nel campo d’alcune forze. Tanto che si può affermare che l’esercitazione Nato in Georgia potrebbe stare ad indicare che c’è una battaglia in corso all'interno di Washington evidenziata, per ora, solo dalla punta dell’iceberg.

Una battaglia geomilitare, quindi, che andrebbe ad opporsi direttamente a quei segnali di miglioramento nei rapporti tra Russia e Stati Uniti che si sono notati nei primi cento giorni d’Obama. Intanto a Mosca si tornano a rileggere - negli ambienti della diplomazia più vicini a Medvedev - quei “messaggi” lanciati a suo tempo dall’ex consigliere di politica estera di Carter, Zbigniew Brzezinskj. Il quale, due mesi prima dell’inizio del conflitto tra Georgia e Russia per l’Ossezia del Sud e l’Abkazia, avanzò, appunto, alcune previsioni geostrategiche sostenendo che gli Stati Uniti “prevedevano” casi di possibili minacce da parte della Russia, direttamente sulla Georgia, con l'intenzione di prendere il controllo degli oleodotti di Baku-Ceyhan nel sud del Caucaso. In questo modo - sostenne l’americano - la Russia tenderebbe ad isolare la regione dell'Asia centrale dall'accesso diretto dell'economia mondiale, specialmente per le forniture d’energia. E di conseguenza il governo della Georgia destabilizzato, porterebbe a limitare l'accesso occidentale a Baku nel Mar Caspio che in seguito sarebbe limitato.

Sempre secondo Brzezinski sarebbe stato assurdo pensare che la Russia, dopo essere uscita da due inutili guerre in Cecenia e in Afghanistan e dopo anni di povertà e disordini sociali, seguiti alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, avrebbe scelto di intraprendere una guerra sull'energia. In pratica Brzezinski aveva già riproposto le tesi e i temi di quel Great Game sostenendo, in pratica, che la chiave del controllo della regione caucasica - al limite dell’Eurasia - consiste in una vasta operazione capace di mettere sotto controllo (americano) l’intera regione. Ora vediamo che con le nuove posizioni della Nato molte delle previsioni passate vanno sempre più rivelandosi come vere. Basti pensare, ad esempio, al problema - profondamente sentito in certi ambienti atlantici - della cosiddetta missione liberatrice dell’America nel mondo intero…

Ed oggi è il Caucaso (non solo quello georgiano…) ad essere nel mirino di certi inquilini del Pentagono e della Casa Bianca. La situazione è molto più drammatica di quanto si può pensare. Proprio perché la Georgia - tanto per restare sul posto - non è in grado di sviluppare (almeno sino a che durerà il suo presidente Saakasvili) nessuna politica estera di grande respiro. Resterà in pratica vittima di quel muro che la separa dall’Est e dall’Ovest. Vittima, è ovvio, della logica dei blocchi militari. E quella unità europea, che fino a ieri poteva essere il mezzo per assicurare a Tbilissi una proiezione internazionale, resta un sogno.

Tanto che molti nell’intero Est (e nel Caucaso in particolare) sostengono che la Georgiasi trova oggi a un bivio: tra la permanenza nella Nato e l’ipotesi più difficile, più nebulosa, ma fors’anche più feconda, di perseguire un neutralismo politicamente rigoroso. Una linea, questa, che porterebbe a spiazzare americani e russi. Con la costruzione, tra l’altro, di un efficiente esercito convenzionale con scopi esclusivamente difensivi e lontano dall’ombrello degli israeliani (come avviene invece oggi). Soltanto una grande politica come questa – hanno scritto di recente alcuni quotidiani di Mosca, come le Izvestija, potrebbe forse garantire la possibilità di una riappacificazione caucasica con Ossezia del Sud e Abkazia. Solo con un processo del genere, forse, si potrebbe decifrare con maggiore facilità il futuro d’oggi, sospeso appunto fra partecipazione alla Nato e ipotesi neutralista.