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Morte cerebrale e donazione degli organi

di Valerio Pignatta - 15/05/2009

La donazione degli organi è sempre un atto volontario? Bisogna difendere ad ogni costo la vita o la libertà di scelta individuale? Vi proponiamo le riflessioni di Valerio Pignatta che, prendendo spunto dal libro in uscita "Morte cerebrale e donazione degli organi", affronta una delle questioni più delicate e controverse dell’attualità.



 

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Morte cerebrale e donazione degli organi affronta la tematica dei trapianti dal punto di vista delle famiglie dei donatori
Sta per uscire per Macro Edizioni Morte cerebrale e donazione degli organi, un libro molto profondo in cui l’autore, Renate Greinert, affronta un tema estremamente delicato e dibattuto specialmente negli ultimi tempi, ossia, in sostanza, la libertà di disporre del proprio corpo di fronte a eventi della vita che possono metterlo in condizione di sofferenza o di incoscienza tali da non permettere una prosecuzione dell'esistenza come avveniva in precedenza.

 

In particolare questo testo affronta la tematica della donazione degli organi cercando di far risuonare una voce discordante rispetto al coro unanime della medicina dei trapianti: la voce delle famiglie dei donatori, i loro dubbi, i loro sensi di colpa e i terribili ripensamenti una volta che hanno acquisito, purtroppo solo a posteriori, informazioni che non sono loro state date nel momento tragico della decisione di dare il consenso all'espianto di organi dei loro cari, decisione che li ha poi introdotti in un inferno mentale da cui riescono difficilmente a uscire.

Nella medicina dei trapianti il concetto di “morte cerebrale” è il perno di tutta la questione. Gli organi vengono espiantati (a cuore battente, corpo caldo, circolazione sanguigna in atto, vari riflessi funzionanti ecc.) nel momento in cui, secondo parametri scientifici fissati nel 1968 (Harvard Medical Report), il cervello, e di conseguenza il corpo, passano dalla situazione di “coma irreversibile” a quella di “morte cerebrale” che permette appunto legalmente il prelievo di organi.

Nel frattempo, però, l'evoluzione di alcune tecniche di rilievo diagnostico ha stabilito che alcune parti del cervello per cui non si riusciva a rilevare alcuna funzionalità in queste situazioni sono invece sede di attività cerebrali. Ma di questo la definizione di morte cerebrale ancora non tiene conto. Senza considerare che, a seconda della normativa in vigore nel proprio Paese, può accadere di essere dichiarati “morti” in uno Stato (e quindi “abbandonati” e preparati per l'espianto), e invece ancora vivi in un altro (e quindi sottoposti a terapia intensiva per salvarvi la vita). Avviene la stessa cosa per l'AIDS: si può essere sieropositivi in una nazione e sieronegativi in un'altra.

 

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Le gerarchie ecclesiastiche partono dalla posizione di difesa della vita ad ogni costo
Su questa paradossale situazione – per cui non viene mai chiarito bene che si tolgono organi a persone moribonde ma ancora vive – si dibatte molto sia a livello filosofico-religioso che scientifico.

 

La posizione della Chiesa (cattolica ma anche protestante tranne alcune eccezioni) è in generale coerente con se stessa. Le gerarchie ecclesiastiche partono dalla posizione di difesa della vita ad ogni costo. Ossia, anche la Chiesa sta abbandonando il concetto di vita eterna per allinearsi più prosaicamente alla scienza sul concetto di vita terrestre materiale. È in corso una materializzazione dell' “anima” con inevitabili risvolti consumistici (del corpo).

Il punto da cui partire è quindi quello dell'accettazione della morte come processo naturale che ha un determinato tempo per svolgersi e che dipende da molti fattori tra cui, a mio parere, la volontà umana di colui che dispone del proprio corpo. Su quest'ultimo aspetto la Chiesa, invece, non transige. La volontà umana (ad esempio l'eutanasia volontaria o la donazione di organi) è subordinata alla volontà teologica e a quella scientifica che si spartiscono la fetta di potere che deriva.

A mio avviso è più che ragionevole che un individuo decida di non donare i propri organi e che aspetti di morire in santa pace o di risvegliarsi, se è il caso, e di riprendere il proprio corso di vita. Allo stesso modo, però, è giusto che, se è questo che vuole, una persona decida di morire sospendendo le cure di terapia forzata che le vengono inflitte. Il punto cruciale di tutta la questione è, quindi, rispettare la volontà dell'individuo che si sarà formata secondo il suo mondo di valori e di credenze. Il nostro corpo appartiene solo a noi e a nessun altro, chiesa o scienza che sia.

 

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Nella medicina dei trapianti il concetto di “morte cerebrale” è il perno di tutta la questione
Ciò che accomuna le istituzioni religiose e quelle scientifiche è, invece, la convinzione di disporre della morte altrui secondo schemi di commercio e spartizione di anime e corpi. In questa prospettiva la volontà individuale viene polverizzata di fronte alle “esigenze” “sociali”, “cristiane”, “scientifiche” ecc.

 

Altre due questioni affrontate nel libro, su cui in genere si riflette poco, mi sono sembrate importanti:

1) Varrebbe la pena di spendere una riflessione sulla donazione di organi a persone che spesso hanno perso la funzionalità del proprio organismo per stili di vita inappropriati (alcolismo, ecc.).

La responsabilità individuale della malattia è spesso un dato di fatto. Con ciò non intendo dire che queste persone vadano abbandonate, ci mancherebbe (come del resto non vanno abbandonati i moribondi che possono magari ancora farcela o semplicemente aver diritto a morire integri), ma comunque la situazione andrebbe vista nel suo insieme favorendo una politica sanitaria di prevenzione anziché di cannibalismo organico.

2) In un caso di trapianto su tre si tratta di ritrapianti, ossia non c'è più fine alla sofferenza da tutte le parti, donatori e trapiantati. Chi gode è solo la medicina dei trapianti e chi trae beneficio dal volume di affari e prestigio che ne deriva.

Tra parentesi, questo vale anche per gli Ogm: la salute del nostro corpo è solo nostra e nessuno deve poterla mettere in crisi per altri fini, siano anche "caritatevoli". Ossia, la morte/malattia di alcune persone (che si ammalano mangiando cibi Ogm) non giustifica la cura/salvezza di altre (che potrebbero, a detta delle multinazionali alimentari, avere accesso al cibo ecc.). Nemmeno se le percentuali sono diverse. Ogni vita ha un valore in sé che non può essere soggetto a permuta.

Quindi, in finale, cioè che è fondamentale è una difesa della volontà individuale e non una generica difesa della vita. Se ci tolgono anche il corpo ci rimane solo la mente, peraltro già mezza rovinata da mass media e simili. Rischiamo davvero l'esistenza virtuale.

 

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Ciò che bisogna difendere è il diritto di ogni individuo di scegliere la propria strada
Per cominciare a ripensare tutta la problematica in termini più vicini alla realtà sarebbe meglio oggi parlare di “datori” di organi che non di “donatori”. Nel “dare”, infatti, la questione della volontarietà perlomeno rimane aperta.

 

Nella nostra quotidianità l'atto “volontario” della donazione è in realtà subordinato a un profluvio di sollecitazioni massmediatiche e religiose svianti e mascherate che impediscono una scelta veramente informata e obiettiva, quale invece dovrebbe essere. Una situazione così aggrovigliata di sofferenza e diritto alla vita, di componenti della società in antagonismo tra loro, può solo creare ingiustizie e rivalità feroci. La soluzione può arrivare solo andando alla fonte ed intervenendo sulle cause che portano a una tale depravazione dell'esistenza per cui è poi necessario arrivare a ulteriori orribili devastazioni di corpi e menti.

Va senz'altro sancito il diritto del malato cronico a tutte le cure possibili e al sostegno morale e sanitario della collettività qualora questi non intacchino però l'integrità altrui, sia psicologica che fisica. Credo infatti sia altrettanto auspicabile che non ci siano più individui in lotta per la vita costretti ad aspettare con trepidazione i sabati sera piovosi o con nebbia perché le probabilità di avere organi giovani e freschi aumentano. E non sono posizioni estremistiche, nemmeno alla luce di un'ottica credente.

Come ha dichiarato recentemente in un'intervista a Micromega don Enzo Mazzi, che in quanto sacerdote credo si possa dire senz'altro parte della cristianità: «C’è una critica che bisogna fare alle gerarchie cattoliche: l’incapacità a liberarsi dal dominio del sacro, cioè la tendenza a separare le sfere della nostra vita, ciò che è sacro da ciò che non lo è».