Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Iraq: ma quale soluzione?

Iraq: ma quale soluzione?

di Scott Ritter* - 14/03/2006

Fonte: Nuovi Mondi Media

 


'Nonostante il nostro evidente fallimento in Iraq, ci muoviamo a tutta velocità verso un’analoga catastrofe in Iran, commettendo i medesimi errori: paventando la solita minaccia non-provata – le armi nucleari – e promuovendo la solita, indefinita soluzione – la democrazia'

Mentre si avvicina il terzo anniversario dell’invasione dell’Iraq, sarebbe opportuno che gli americani si prendessero un po’di tempo per riflettere su come si è arrivati a questo punto, e in quale direzione ci stiamo incamminando, in Iraq come nel resto del Medio Oriente. Ormai non si può più parlare di musica e fiori, di economia risanabile tramite il petrolio o della sbocciare della democrazia nella culla della civiltà. I rapporti fra l’amministrazione Bush e il nuovo governo del primo ministro Ibrahim Jafari sono a dir poco tesi: con gli Stati Uniti a minacciare il taglio degli aiuti all’Iraq, e l’Iraq a pretendere che gli Stati Uniti si tolgano di torno.

Quasi tre mesi sono passati dalle “storiche” elezioni del dicembre 2005, e gli iracheni hanno appena scelto un primo ministro (Jafari, musulmano sciita fondamentalista, stretto alleato dell’Iran) che sembra giunto a un punto morto, per quanto riguarda la formazione di un governo che possa fermare la violenza settaria. L’insurrezione sunnita è più forte che mai, e gli squadroni della morte sciiti girano le strade di notte in veste di poliziotti e soldati. La tortura, gli stupri e gli omicidi si susseguono come forme di repressione istituzionali. I soldati americani sembrano non avere il potere di fermare questa discesa nell’abisso; anzi, vengono uccisi e mutilati, in nome di una causa che è sempre stata oscura.

Termini come “dovere”, “onore” e “madrepatria” significano poco, quando i cittadini americani – che, teoricamente, dovrebbero ricevere dei vantaggi dalla suddetta occupazione militare – sono più interessati ad American Idol (uno show televisivo assai popolare in America, NdT) che al processo di pace in quella che fu la sede dell’antico impero babilonese. O quando i politici americani sembrano felici di lasciar morire quelle persone che, con il loro servizio, onorano la nostra nazione, mentre loro annaspano alla ricerca di una soluzione che salvi loro la faccia. E qui sta il punto: vogliamo trovare una soluzione ad un problema che ancora deve essere definito, il che significa che stiamo cercando una soluzione a niente.

L’America continua a fingere che stiamo realizzando qualcosa di valore in Iraq. Ma il buon senso dice che quando si prova a costruire su fondamenta instabili, qualunque cosa sia, essa è inevitabilmente condannata a crollare. Il coinvolgimento della nostra nazione in Iraq si fonda su basi che più incerte non potrebbero essere. Non siamo andati in guerra per ragioni di sicurezza internazionale (cioè, per sconfiggere una minaccia che poteva essere debellata solo attraversi l’intervento militare), ma per ragioni di politica interna, basate su un’ideologia che ha sfruttato la paura e l’ignoranza degli americani nel mondo post-11/09.

Nel mondo alla rovescia della politica interna americana, questa realtà non riesce ad essere compresa. Quelli che si sono opposti all’invasione continuano ad essere demonizzati e marginalizzati, mentre quelli che l’hanno appoggiata vengono abbracciati e applauditi. Tale abilità mistificatoria non solo paralizza la nazione quando tenta di trovare una soluzione al problema dell’Iraq, ma continua a distorcere la realtà quando ne emergono altri, come quello della crisi in Iran e il suo programma nucleare.

Siamo incapaci di apprendere la lezione insita nel nostro evidente fallimento in Iraq, eppure sembra che ci muoviamo a tutta velocità verso un’analoga catastrofe in Iran, commettendo i medesimi errori: ovvero, paventando la solita minaccia non-provata – le armi nucleari – e promuovendo la solita, indefinita soluzione – la democrazia. Se il prossimo anniversario dell’invasione irachena può insegnarci qualcosa è che abbiamo un disperato bisogno di un “time out” nazionale, quando si parla di Iraq, Iran e guerra al terrore. Dobbiamo imparare la lezione che ogni soldato, marinaio, aviatore e Marine conosce fin troppo bene – non si deve perseverare nello stesso fallimento.

Se i nostri politici, sia repubblicani che democratici, non sono in grado (o non hanno voglia) di sostenere una serena discussione su dove stiamo andando a finire con questa guerra, allora forse dovremmo essere noi cittadini a cominciarne una. Dobbiamo stabilire valori e principi che non servano solamente a costruire delle solide fondamenta per il futuro del Medio Oriente, ma che rendano evidenti quegli ideali a cui pretendiamo si conformino coloro che abbiamo chiamato a governarci.


Scott Ritter, 44 anni, ex ispettore ONU per gli armamenti, è autore di 'Iraq Confidential: The Untold Story of the Intelligence Conspiracy to Undermine the UN and Overthrow Saddam Hussein'.
La versione italiana del volume di Ritter è tra le
prossime uscite di Nuovi Mondi Media.

 

 

Fonte: http://www.informationclearinghouse.info/article12126.htm
Tradotto da Elena Cortellini per Nuovi Mondi Media

*da Information Clearing House)