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Chiedere perdono per il latte versato

di Carlo Gambescia - 14/03/2006

Fonte: lineaquotidiano.it

 

L’ex patron presenta le sue pubbliche scuse al processo milanese per il caso Parmalat


Calisto Tanzi, volto
affilato, capelli bianchi e
poco curati, il soprabitino
blu da pensionatino, sembra
uno in fila alla posta ogni
quattro del mese. E non il
principale imputato del processo
per un crac da 14
miliardi di euro (tra l’altro
stando alle indagini del consulente
del Pm, Stefania Chiaruttini,
mancano all’appello
anche 930 milioni “distratti”,
pare, alla famiglia Tanzi).
Sentirlo poi chiedere scusa a
quanti ha “danneggiato” (circa
centomila risparmiatori) fa un
certo effetto… E ancora di
più, quando precisa, come in
confessionale, che il perdono
che chiede “con senso cristiano,
non elude la responsabilità
nei confronti della giustizia
come amministratore di Parmalat”.
Ma purtroppo per lui,
a “confessarlo” non c’è nessun
prete cattolico, ma un giudice
rigorosissimo, Luisa Ponti,
che ha già stangato in altro
processo Previti. Perciò come
dice spesso Gianfranco Funari,
con espressione rozza, ma
efficace, “mo so’ ca… sua”.
Oddio, quando Tanzi accusa
le banche italiane e straniere
di aver sfruttato la situazione,
rivendendo a ignari risparmiatori,
titoli di un’impresa
decotta, non ha tutti i torti.
Secondo il consulente del Pm
sarebbe così sparito, fagocitato
dalle banche qualche
miliarduccio di euro. Certo,
dal punto di vista penale e
processuale le varie responsabilità
possono e devono venire
venire
accertate. Ma quel che non
sarà mai stabilito è il perché
del clima di irresponsabilità
diffusa che ha favorito il crac.
Mi spiego.
Un imprenditore, quando ha
bisogno di soldi, si rivolge a
una banca. Che sarà disposta
ad accontentarlo, quanto più
l’imprenditore sarà conosciuto
e apprezzato per le sue qualità
e relazioni. Di qui la verità
del vecchio adagio che le
banche i soldi li prestano a chi
ne già ha tanti… Dopo di che,
l’imprenditore, prima di scappare
col malloppo, si impegna
a restituire o comunque a
offrire garanzie. E qui si può
ricorrere alle formule più
diverse: dall’aumento di capitale
alle emissioni di titoli.
Purtroppo, la concessione di
mutui contro garanzie reali
viene imposta solo ai disgraziati
sotto sfratto che devono
assolutamente comprarsi
casa… Così oggi va il mondo.
Una volta intascato
Segue dalla prima
(…) il malloppo, l’imprenditore, tappa
i buchi se ne ha, e quel che resta,
se è serio, lo investe; altrimenti lo
intasca, oppure se lo gioca in speculazioni,
più o meno oneste… E la
banca che ci guadagna? Interessi,
commissioni sui prestiti e sulle operazioni
in titoli più o meno a rischio.
Talvolta diventa indirettamente proprietaria,
magari attraverso aumenti
di capitale pilotati, dell’impresa
finanziata. Il che però spesso può
risolversi, se l’imprenditore si pappa
i soldi, in una doppia bancarotta:
dell’impresa “foraggiata” e della
banca “foraggiatrice”…
Questo meccanismo favorisce un clima
di irresponsabilità diffusa: si
accede a nuovi finanziamenti bancari
per pagare vecchi crediti in scadenza,
le banche si arricchiscono, e
per un po’ gli imprenditori respirano,
pensando di tornare ai bei tempi
andati. E così via, in un clima euforico
da ultimi giorni di Pompei, fin
quando il Vesuvio non erutta, travolgendo
quei disgraziati che, come nel
caso della Parmalat avevano in tasca
titoli emessi da un impresa decotta:
garantiti e suggeriti dalle banche.
E quando crolla il castello di carte?
Quando qualcuno, in genere le banche,
per non annegare nella carta
straccia, si tira indietro… E di solito
a quel punto arrivano i carabinieri…
Perciò Tanzi ora non può cadere dalle
nuvole. Un imprenditore su piazza,
sa come va il mondo… Come le
banche non possono denunciarlo
come imbroglione. Anche i banchieri
sanno benissimo, e fin da piccoli,
come ci si guadagna la vita. Tutti
sapevano e tutti hanno la propria
parte di colpa. Il sistema si regge
tacitamente sull’economia del debito:
coi nuovi debiti si pagano i vecchi
debiti, e così via. Sperando
magari nel colpo gobbo: che però
può riuscire solo se si opera nei settori
trainanti dell’economia, come i
computer negli anni Ottanta, o la
telefonia mobile oggi. E non quando
si ha a che fare con vacche, biscotti
e succhi di frutta.
Chiedere perdono per il “latte versato”
perciò non basta. Bisogna cambiare
mentalità. A cominciare dalle
banche. Che devono chiedere garanzie
reali a tutti e non solo ai poveri
sfrattati…