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Esce finalmente in Italia il documentario di Alex Gibney, Taxi to the dark side: detenzioni illegali

di Marzia Gandolfi - 26/05/2009

Fonte: mymovies

Esce finalmente in Italia il documentario di Alex Gibney, vincitore del premio Oscar nel 2008.

Taxi to the dark side: detenzioni illegali Dilawar era un giovane afgano che coltivava un sogno: guidare un taxi e andare lontano, lasciandosi alle spalle la terra e la fatica. Sulla strada verso una nuova vita, Dilawar ha incrociato un commando delle forze armate americane che lo ha prelevato e condotto nella base militare statunitense a nord di Kabul, lontano dalla sua casa, da sua moglie e dalla sua bambina. Il tassista e il suo sogno sono finiti rinchiusi e innocenti nella prigione di Bagram, dove Dilawar ha trovato una morte atroce a colpi di botte e soprusi. Partendo dall'inchiesta sulle torture condotta da Tim Golden sul "New York Times" e ispirato dal libro dello storico Alfred McCoy ("Una questione di tortura"), Taxi to the dark side ricostruisce l'incresciosa vicenda di Dilawar e ripercorre la storia delle tecniche di tortura impiegate dalla CIA durante gli interrogatori dei detenuti. Dalla Guerra Fredda all'attuale guerra al terrorismo, da Abu Ghraib a Guantanamo, Alex Gibney indaga sulle conseguenze irreversibili causate dalle torture, soffermandosi sul passaggio dal regime fisico a quello psichico. Attraverso interviste a giornalisti, politici, vittime e carnefici, il documentarista americano denuncia le pratiche con cui si distrugge l'umanità, interventi sul corpo vivo e sulla mente, funzionali alle strategie delle dittature come delle democrazie. L'America, ante e post 11 settembre, ha avviato la stagione del terrore, torturando, istituendo centri di detenzione, insabbiando e producendo un numero impressionante di corpi morti che, come nel tragico caso di Dilawar, lasciano intuire pratiche violente sul corpo vivo. La voce del potere si fa segno del potere sul corpo, fino ad annientarne la dignità e l'identità. Alex Gibney, come Alfred McCoy e Tim Golden prima di lui, sono uomini e professionisti coraggiosi che hanno raccolto preziose testimonianze e contribuito con la loro produzione culturale a condannare almeno alcuni dei responsabili di crimini contro l'umanità.

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Dicembre 2002 un taxista afgano, Dilawar viene portato alla base dell'Air Force statunitense con l'accusa di essere coinvolto in un attentato terroristico. Cinque giorni più tardi morirà. Le sue gambe sono ridotte in uno stato per cui, se fosse sopravvissuto, avrebbero dovuto essere amputate. È a partire da questo episodio che Alex Gibney, autore del documentario Enron - L'economia della truffa, affronta con sguardo che non può essere accusato di antiamericanismo (essendo il film made in Usa) il tema della violazione dei diritti umani da parte dell'Amministrazione Bush.
La premessa potrebbe sembrare superflua dopo che lo stesso Presidente Obama ha denunciato le torture compiute dagli agenti CIA ma non lo è se si pensa che il film è uscito sugli schermi americani nel giugno 2008 con Bush ancora saldamente Commander in Chief. Sembra passato tanto tempo da quando, chiunque sollevasse dei dubbi sulla correttezza di certi metodi, veniva tacitato con l'accusa di essere in fondo troppo morbido nei confronti del terrorismo, ma non è così.
Il documentario, ricco di testimonianze americane e supportato da immagini che dimostrano l'efferatezza dei trattamenti smonta una delle tesi guida di Bush, Cheney e Rumsfeld. Dinanzi alle torture e alle umiliazioni inflitte nel carcere di Abu Ghraib che sollevarono un'ondata di indignazione in tutto il mondo che ancora vorrebbe dare un significato alla parola 'civile', la risposta fu ben precisa. Si tratta di mele marce che verranno severamente punite. Gibney dimostra che non era così, che i metodi di interrogatorio con corpi sospesi per lunghissimo tempo in aria (tanto per fare un esempio) non erano frutto della mente perversa di qualche militare deviato. Facevano parte di una strategia da applicarsi non solo a Guantanamo (altro luogo di cui Obama ha ordinato la chiusura) ma ovunque.
Chi prenderà questo taxi cinematografico (anche se giunge sui nostri schermi con un anno di ritardo) sentirà che è ancora possibile un cinema che adempia a un compito di ricerca della verita' libero da vincoli di appartenenza politico-ideologica e, proprio per questo, capace di comunicare che parole come dignita' e diritti umani non risuonano a vuoto.