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Evadere la civiltà

di Vincenzo Caprioli - 26/05/2009

 


Il cosiddetto “dumping” sociale e ambientale descrive la consuetudine delle grandi aziende ad evadere regole nazionali di tutela del lavoratore e dell’ambiente; esso si realizza per lo più spostando attività là dove norme meno rigide riducano i costi (delocalizzazione).
Questo fenomeno obbliga Paesi come l’Italia, che avevano raggiunto sino a ridosso degli anni novanta un certo livello di tutela del lavoro e dell’ambiente, a fare rapidissimi passi indietro pur di non lasciarsi scappare attività che si svolgono sul proprio territorio, ossia i relativi posti di lavoro.
In realtà i posti di lavoro si perdono comunque, perché non è possibile far scendere di colpo salari e norme vincolanti al livello dei Paesi meno evoluti; solo a tessuto sociale devastato ci si accorgerà che queste norme erano un patrimonio prezioso, che faticosamente e con scarsi risultati i Paesi emergenti cercheranno di copiare, dopo averci sottratto la maggior parte dei settori produttivi ed aver rovinato anche il proprio territorio.
Le nostre norme sono tutt’altro che perfette ma sono l’effetto di conquiste sociali e consapevolezze scientifiche acquisite in quasi un secolo di storia. Il fenomeno “dumping” è simile a quello che in fisica si chiama “legge dei vasi comunicanti”: nei vasi comunicanti il liquido contenuto raggiunge sempre il medesimo livello, pur partendo da livelli diversi. Si tratta di un processo entropico che può essere impedito solo bloccando la comunicazione tra i vasi stessi.
Tornando all’economia, il livello di civiltà raggiunto da un Paese o da un gruppo di Paesi (ad esempio l’Europa) può essere mantenuto ed accresciuto solo se le aziende che ne sfruttano i consumi interni vengono obbligate ad operare integralmente in loco, impiegando popolazione locale e rispettando regole locali.
Il altre parole lo stato nazionale cessa di esistere se non può impedire ad un capitale apolide di evadere le sue norme. Resi impotenti gli stati nazionali, diventa impossibile realizzare politiche di effettiva tutela ambientale e miglioramento delle condizioni sociali: ci sarà sempre qualche regione del mondo dove lo sfruttamento di territorio e persone è più libero, che può invaderci con prodotti a basso costo. In Italia la sinistra ex-comunista versa oggi in una crisi profonda: i suoi esponenti vorrebbero opporsi a questa recente perversa regressione sociale ma non hanno né schemi interpretativi adeguati né tantomeno soluzioni; il loro livello di confusione concettuale li porta ad una sostanziale sudditanza nei confronti del berlusconismo. Motivo di questa crisi sta nell’utopia internazionalista, che ha cullato il comunismo sin dalle sue origini; il DNA del comunismo era in parte espressione della solidarietà tra soggetti socialmente deboli, in parte espressione di una sensibilità tipicamente giudaica, che vede con sospetto ogni identità etnica radicata al territorio. Ricordiamo a questo proposito che i capi storici del marxismo erano prevalentemente ebrei.
Questa sensibilità la possiamo riconoscere molto chiaramente nel giornalista e conduttore televisivo Gad Lerner, il quale, nella sua brillante capacità di annusare i fenomeni sociali sul nascere, esprime una vera e propria fobia verso l’identità etnica radicata al territorio.
Lerner è di sinistra quando le destre si schierano per l’identità etnica ma diventa di destra ogniqualvolta le sinistre mostrino comprensione per l’identità palestinese o per le varie identità islamiche. La vocazione internazionalista del marxismo non ha portato a quel clima di solidarietà proletaria universale che era aspirazione dei suoi padri storici, ma ha spalancato le porte all’internazionalismo del grande capitale. Il capitalismo maturo ha trovato proprio nel comunismo il suo antagonista ideale: antagonista intrisecamente votato alla sconfitta perchè incapace di competergli in fatto di produttività, al contempo antagonista permissivo nei confronti delle trame con cui il capitalismo intende realizzare lo svuotamento delle sovranità nazionali in tutto il mondo. Oggi questo svuotamento è talmente generalizzato da apparire una vera e propria terza guerra mondiale: il capitale contro le nazioni ed il loro popoli. Il caso Fiat di queste settimane evidenzia l’incongruenza con cui gli italiani dovrebbero tifare per l’azienda, che in realtà ha ben poco di italiano pur essendo stata aiutata dallo stato repubblicano con regalie complessivamente corrispondenti a molte volte il suo valore; lo stato italiano mai ne ha però acquisito alcun controllo.