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Oltre la Padania l'onda di piena del carroccio

di Gian Antonio Stella - 09/06/2009

 

 

«Sono un medico e da medico so che se la cancrena avanza occorre amputare alto: mi fermerei a Pesaro. Un colpo di forbice, e non necessariamente sterilizzata ». Così Roberto Calderoli teorizzava anni fa i confini della Padania. Oggi, scommettiamo, non lo direbbe più. Tanto più che quello che pareva impossibile è successo: alle Europee l’onda di piena della Lega Nord ha cominciato ad allagare l’Emilia, la Romagna, la Toscana, le Marche e a bagnare perfino l'Umbria, l’Abruzzo, il Lazio. Umberto Bossi, in verità, aveva scommesso sulla conquista di Roma nel lontano ottobre 1993, quando Silvio Berlusconi non aveva ancora annunciato la discesa in campo. Riempì la sala convegni dell’Hotel Nova Domus e avvertì: «Abbiamo già la maggioranza in almeno dieci regioni italiane». Quindi annunciò: «Entro tre anni Roma sarà nostra ». Perché tre? «Perché è un bel numero ». Esulta oggi Calderoli: «Questo risultato elettorale rappresenta il record storico per la Lega Nord che supera persino la percentuale ottenuta nelle Politiche del 1996 e che va oltre il raddoppio dei voti rispetto alle precedenti Europee del 2004».

Certo, tredici anni fa, dopo una campagna elettorale incandescente condotta nel nome della secessione («Due Stati, due casse, due monete», tuonava l’Umberto: «Pur di avere la Costituente e il federalismo sono pronto a mandare a picco il Paese») il Carroccio era arrivato conquistare addirittura 3.776.354 voti: quasi 700mila (l’astensione fu allora meno massiccia di sabato e domenica) più di questa volta. Ma a parte il primato percentuale assoluto, la novità che fa gongolare i leghisti, inquieta i pidiellini e toglie il sonno ai democratici, è lo sfondamento oltre i confini tradizionali. Quadruplicati i voti nel Lazio (dallo 0,23 all’1,06%) e in Abruzzo (1, 3%: più della Destra di Storace), il partito del Senatur conquista il 3, 6% (come Sinistra e Libertà, molto più dei radicali) nell’ex «rossa» Umbria e addirittura il 5,5% nelle Marche: più di Rifondazione Comunista. O se volete quanto i vendoliani, i verdi e i pannelliani messi insieme. A parte i risultati in Liguria (9, 9%), Val d’Aosta (4,4%) e Trentino Alto Adige (9,9%) nonostante gli spazi per un partito autonomista siano lì ridotti dalla presenza di partiti di raccolta delle minoranze linguistiche, la grande sorpresa è costituita dall’irruzione sotto il Po. È vero, i leghisti hanno buoni motivi per festeggiare anche il recupero in Piemonte, dove nel 2001 erano ridotti a una forza marginale e oggi stappano bottiglie di spumante per celebrare il 15,7%. Così come hanno buoni motivi per consolarsi con il 17,4% in quel Friuli Venezia Giulia dove la loro Alessandra Guerra aveva perso male sei anni fa la sfida contro Riccardo Illy. Per non dire del 22,7 in Lombardia e dello strabiliante 28,4% nel Veneto.

Il governatore azzurro Giancarlo Galan può a buon diritto sorridere della vittoria sul filo di lana (poco meno di un punto percentuale di distacco) che gli consente di versare sale sulle ferite di quei leghisti come il sindaco di Verona Flavio Tosi («Supereremo il Pdl in modo assai più netto di quanto non si pensi») che si erano più sbilanciati sul sorpasso che avrebbe dovuto preludere alla successiva conquista della presidenza della giunta: «Vi ricordate di quel detto che canta "per un punto Martin perse la cappa"? — chiede sferzante Galan —. Quel punto in più, dalle nostre parti, è andato al Pdl del Veneto, e dunque il commento potrebbe essere: "è la democrazia, bellezza"». Giusto così: le gare si vincono e si perdono. E i numeri dicono che ha vinto lui. Che da tempo cerca di superare per proprio conto un handicap: reggere la sfida nella contrattazione con Roma anche se «ovviamente è molto più credibile sul terreno del federalismo e dell’autonomia un partito territoriale piuttosto che un partito, come per esempio anche Forza Italia, costretto a parlare la stessa lingua da Cefalù a Merano». Quegli stessi numeri veneti, tuttavia, dicono che l’onda di piena leghista ha travolto alcuni comuni con percentuali «bulgare». Che ricordano il record fatto segnare da Riva Valdobbia, la minuscola contrada della Valsesia che alle politiche 2008 vide la Lega raccogliere il 69,34% dei voti che sommati al 14,6% del Pdl portò il totale a uno stratosferico 83,94%. Basti pensare a Chiarano, che ha registrato alle ultime comunali la vittoria del candidato leghista, il senatore Giampaolo Vallardi, con il 76,7% contro il 23,4% del candidato ibrido sul quale avevano concentrato i voti sia i pidiellini sia le sinistre. Un trionfo tale che qualche avversario politico ha ribattezzato sovieticamente il paese, per la «dittatura democratica» leghista, «Chiaranov ». La grande svolta, però, come si diceva, resta l’irruzione in alcune aree che fino a poco tempo fa sembravano impenetrabili.

La Toscana, per esempio. Dove il Carroccio sa oggi d’avere il 4,3% su scala regionale (quanto l’Udc) con punte del 5,2 % a Pistoia, 5,4% a Massa Carrara, 5,7% ad Arezzo, 6% a Lucca e addirittura 6,2% in quella Prato dove più forte sono sentite la crisi e le difficoltà di confronto con la comunità cinese. Ancora più vistosa l'invasione in Emilia- Romagna. Dove la Lega Nord si incunea nella roccaforte rossa dell’Appennino bolognese arrivando quasi al 10% a Porretta Terme, sede ogni anno del celebre festival del jazz al quale spesso partecipato il tastierista del «Distretto 51» Bobo Maroni, al 14,2% a Monghidoro (il paese di Gianni Morandi), al 15% a Savigno, celebre per il tartufo. Ma se la provincia di Bologna riesce a contenere complessivamente l’incursione al 7,3%, molto più permeabili si rivelano i confini delle altre. In particolare quelli di Modena (10, 8%), Reggio Emilia (13,2%), Parma (14,9%) e soprattutto Piacenza. Dove il Carroccio arriva quasi al 17%. Con punte del 20% a Caorso, del 23,3% a Carpaneto, addirittura del 27,2% a Besenzone. Un allargamento che forse i protagonisti della Lega, quando discettavano anni fa su quale fosse la «loro» frontiera («Direi che i confini corrispondono più o meno alla zona in cui esisteva l’area celtica, diciamo da Senigallia a Lucca», sostenne Bossi a Mixer) non osavano neppure sognare. E che ripropone oggi quel tema caro ai cuori leghisti: fin dove arriva, esattamente, la mitica «Padania»? Memorabile resta la risposta che diede Erminio «Obelix» Boso: «Mi pare che Bossi e Borghezio allarghino troppo i confini. Io ho applicato il metodo del fagiolo. Ho fatto così: ho preso un fagiolo borlotto e l’ho messo sulla carta geografica: arrivava fino ai confini dell’Emilia». Macché. Il fagiolo, a questo punto, potrebbe perfino essere più grosso...