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Il pensiero unico del meridionalismo

di Nando Dicé - 16/06/2009

L’unità d’Italia è un mito. Infatti mitologicamente la concordia fra fratelli è quasi impossibile. E quando ci chiamarono “fratelli d’Italia”, qualcuno si ricordò subito di Caino ed Abele di Romolo e Remo, di Giove e Nettuno… Ma non furono i meridionalisti a capirlo, furono i Briganti. Loro lì, sui monti, non vennero contagiati dal “pensiero unico” della modernità.

Vi sembrerà strano ma quando parlano di “pensiero unico” io non ci capisco un cacchio. Ma come fanno? Come si fa a pensare sistematicamente in un solo modo? Ad una sola cosa…? Certo forse da ragazzini di 16anni una ragione ormonale ci sarebbe, ma questi parlano di uomini, di popoli interi. Di popoli che all’unisono ed in armonia pensano tutti alla stessa maniera e, udite, udite, sono tutti d’accordo e felici!

Per capire l’assurdità del “pensiero unico”, non serve leggere Popper, Fukiyama, Adamo, Smitt: basta partecipare ad un’assemblea di condominio.

Ma che dice il “pensiero unico”?

briganti_fondo-magazinePer prima cosa ci dice che per ogni problema degli uomini c’è solo una soluzione, di natura essenzialmente tecnica. E ci dice che la politica è ormai vecchia, superata e che ci vogliono gli esperti: solo loro possono davvero capire le cose. Ma chi sceglie gli esperti e con quali criteri, resta un mistero inspiegabile. Anche il pensiero unico, quindi, ha la sua religione e i suoi misteri inspiegabili, che la scienza comunque, come dicono i sacerdoti in cravatta o camice bianco e mascherina, sta or ora per svelarci: basta incentivare la ricerca con l’8 per 1000.

Ma a me che sono “scemo” viene un dubbio:  vuoi vedere che il politico il problema lo crea per poi poter nominare il tecnico, da cui farsi consigliare su come risolverlo? Può darsi, direte voi, ma la cosa importante è che il problema venga risolto, anche dopo 150anni, ma risolto. E qui c’è l’inghippo.

Noi siamo troppo umani. Ognuno di noi ha un luogo di nascita, un rango sociale, un carattere, un passato e dei progetti futuri. Cose che il “pensiero unico” non solo non considera ma che non può prendere nemmeno in considerazione. Quindi alla fine, la “questione”, meridionale o amazzonica che sia, non viene risolta, viene procrastinata o superata da altri problemi. Un “chiodo scaccia chiodo”, che non vi dico dove è conficcato, per non essere volgare.

Ed allora su i calzoni e giù la maschera. Il “pensiero unico” non solo non è unico, ma soprattutto non è un pensiero. È la precisa volontà di chi gestisce una gran parte del potere di far passare la propria pianificazione di dominio come qualcosa di inevitabile a cui nessuno può opporsi. Un’applicazione attualizzata dei “servi della gleba”, una modernizzazione feudale dello schiavismo. Ma se questa analisi vale per il mondo “globalizzato”, perché non deve valere per noi meridionali?

Nel mio caso, avendo studiato il meridionalismo, il “pensiero unico” è tutt’altro che inattuale. Da meridionale, la cosa che più mi innervosisce è che tutto il meridionalismo è unicamente “risarcitorio”. Un “pensierino unico”, da mettere sotto il cuscino prima di andare a dormire, nel sogno fanciullesco che “quelli del nord” una mattina si svegliano e ci dicano. “Scusate, l’unità d’Italia è stata ‘na chiavica, abbiamo sbagliato, Garibaldi non ve lo abbiamo mandato noi, sono stati quei porci inglesi a fare sta fesseria. Noi che potevamo fare? Stavamo più inguaiati di voi. Ma ora sistemiamo tutto, sediamoci, facciamo due conti e risolviamo il problema.”

Ancora più assurdo è capire dove nasce il “pensierino unico” del meridionalismo, perché non nasce a Sud, ma culturalmente nasce dai settentrionalisti. Cioè dopo averci invasi, depredati, fatti emigrare, qualche anima pia del Nord si svegliò e avendoci convinto che il Sud non poteva fare da solo (per arcani misteri insiti in ogni superstizione moderna), chiamò qualche intelligentone meridionale è inventò il primo meridionalismo. Per fare cosa, direte voi? Ve lo dico subito e vi prego ridete con me. Per “salutare l’unificazione d’Italia, come l’occasione di estendere anche al Sud una cultura civica che spazzasse via il clientelismo, l’assenza dello Stato, la corruzione, la collusione fra apparati dello Stato e la criminalità” (1865). Cioè il meridionalismo nasce per chiedere all’unità d’Italia di risolvere i problemi, che l’unità d’Italia aveva creato e, udite udite, dopo 150anni di ’sta stronzata, c’è qualcuno che la ripete ancora.

Un’applicazione alla grande, del “pensiero unico” in piccolo.

In realtà i vecchi meridionalisti non sono i “fratelli d’Italia” e nemmeno i “fratelli Capone”. Sono come i “Fratelli Lumière”. Perché l’Italia come ce  l’hanno raccontata loro, esiste solo al cinema.

“Fratelli d’Italia” attenti, Abele s’è fatto Brigante!

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