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La rivolta delle campagne

di Alessandro Cisilin - 22/06/2009





trattori

In Francia le rivoluzioni cominciano dalle campagne, sebbene il fatto sia caduto nell’oblio storico, oscurato dalle vicende settecentesche di Parigi. Ed è la terra il simbolo proclamato della sua moderna nazione, contro le tentazioni “etniche” e contro l’identificazione “di sangue” che cementa l’unità tedesca al di là del Reno.





Nulla di strano che siano stati proprio gli agricoltori il mese scorso a suonare la carica della protesta, svuotando gli scaffali dei supermercati cittadini. Proprio mentre la nuova manifestazione unitaria dei sindacati dell’industria e dei servizi registrava un relativo flop, la campagna sapeva far sentire la sua voce contro gli affaristi urbani dei prezzi alimentari.

Le tradizionali spese parigine del sabato hanno incontrato il 13 giugno scorso una brutta sorpresa, coi supermercati semivuoti. Su iniziativa della Fnsea (“Fédération Nationale des Syndicats des Exploitants Agricoles”) e di Ja (“Jeunes Agriculteurs”) i contadini, armati di forconi, pale, trattori, cumuli di terra e perfino gli stessi carrelli dei supermercati, hanno completamente bloccato dal giovedì precedente i principali centri di smistamento della grande distribuzione. L’obiettivo dichiarato dal suo leader Lemétayer erano una trentina, ne sono stati occupati quarantuno, e cioè oltre la metà delle fonti di approvvigionamento del paese. Motivo della protesta, le contrazioni nel prezzo pagato dagli intermediari nell’ultimo anno, senza giustificazione nella crisi.

La crisi c’è e, diversamente da quanto argomentato da qualche ministro europeo, non arricchisce i meno abbienti con meccanismi deflazionistici ma allarga e aggrava la povertà. La dimostrazione, tra le altre, è che i consumi alimentari, solitamente mattone indistruttibile rispetto alla congiuntura economica, si sono anch’essi sensibilmente ridotti. E’ successo in Francia, come ovunque in Europa.

La conseguenza non è stata però una riduzione dei prezzi ma solo un rallentamento dell’inflazione.

Nulla a che vedere col crollo dell’ammontare pagato ai produttori, sceso addirittura, secondo l’Insee (“Institut National de la statistique et des études économiques”), del quindici per cento in un anno. Come sempre accade, la recessione porta con sé regolamenti di conti tra le categorie economiche, ma non nel segno della salvifica “mano invisibile” immaginata da Adam Smith, bensì dello sfruttamento e della speculazione da parte di chi si trova in posizione di forza.

In Francia però gli intermediari agricoli hanno a che fare con una categoria di produttori che, seppur dispersa territorialmente e scarsamente sindacalizzata, quando s’incazza, si muove da far paura. Come sanno alcuni storici, la Rivoluzione Francese non esplose nel 1789. Nacque tre secoli prima, quando i contadini di molti villaggi conquistarono la proprietà dei loro terreni e ottennero che l’amministrazione locale venisse affidata ad assemblee elettive, in alcuni casi perfino a suffragio universale. La successiva Rivoluzione non scaturì dunque dalla frustrazione dell’arretratezza bensì al contrario dal permanere anacronistico di alcuni privilegi nobiliari e clericali rispetto al tessuto sociale, economico e politico più avanzato d’Europa.

E anche oggi gli agricoltori, all’occorrenza, sanno uscire dai terreni e compattarsi in strada. A muoversi stavolta sono stati almeno settemila. Proteste analoghe avevano indotto il governo a istituire il dicembre scorso un Osservatorio dei margini di profitto applicati dai distributori. Nulla però è cambiato nella tendenza a falcidiare i redditi agricoli. Nei giorni della protesta i vertici della distribuzione hanno mobilitato i propri dipendenti in azioni di disturbo dei blocchi dichiarando al contempo che le proteste dei contadini non intaccavano l’offerta nei supermercati. Nella guerra delle cifre però parlano le fotografie e i video diffusi dai cittadini e dai lavoratori. Il blocco è riuscito al di là delle attese, e molti scaffali rinviavano a scenari bellici.

E la stessa “Fédération d Commerce e de la Distribution” si è trovata costretta in poche ore a cambiare strategia, passando dall’ostentata sicurezza del nulla di fatto all’allarmismo, con la denuncia del rischio di un “crollo nelle forniture dei prodotti alimentari di base del cinquanta per cento”, nonché di “conseguenze occupazionali”.

La riuscita della protesta non è da ascriversi esclusivamente al citato potente sindacato dei produttori e alla sua branca giovanile. Il boom di adesioni è viceversa dovuto al fatto che Fnsea e Ja sono stati scavalcati dai coltivatori diretti e dagli allevatori. I blocchi erano annunciati a partire dall’11 giugno e per quarantott’ore. Di fatto in molte zone erano iniziati già dalla domenica precedente su iniziativa dei produttori di latte, arrabbiati per un accordo siglato col governo dalla stessa Fnsea, giudicato insufficiente. L’intesa, siglata tre mesi fa, poneva l’obiettivo di elevare l’ammontare versato al produttore da una media di duecentodieci euro per migliaio di litri nel 2008 ai duecentottanta nel 2009 attraverso misure di defiscalizzazione del settore e finanziamenti per la modernizzazione degli impianti degli allevatori, nonché un meccanismo concertato di adeguamento dei prezzi tra produttori, industriali e cooperative. Le parole agli operatori tuttavia non bastano. Avevano lanciato il monito di un mese di tempo per risultati concreti. Dopo un paio di mesi di assenza di aggiustamenti di prezzo hanno rispettato l’impegno di riesplodere la loro rabbia.

“Con questa azione vogliono levarsi il senso di colpa”, ironizzava una sigla di base, la Confédération Paysanne, parlando dell’iniziativa dei sindacati maggiori che avevano firmato quell’accordo. La frizione tra le sigle non ha però inficiato l’unità della protesta, l’ha anzi allargata. Ai produttori di latte si sono gradualmente associati gli allevatori di maiali e i coltivatori dell’ortofrutta. Le azioni più vistose sono state quelle del Nord Ovest, e in particolare in Bretagna, come da agguerrita tradizione. Ma i blocchi si sono allargati ovunque. Prima nell’Oise, nell’Eure e nel Calvados. Poi nel Sud Ovest, sulle Landes, nella Gironde e nella Charente-Maritime. Qui si sono attivate le manifestazioni più spettacolari. A Beautiran una sessantina di contadini hanno occupato il parcheggio di un centro di approvvigionamento della regione di Bordeaux bloccandone l’ingresso con centinaia di carrelli. A Saint-Paul-les-Dax gli agricoltori hanno edificato una grossa tenda, accettando di levarla solo dopo che la direzione del centro ha accettato di riceverli. Poi altre azioni nel Massiccio Centrale e, più a est, nel Basso Reno e nell’Alto, nella Meuse e nella Franche-Comté.

E il venerdì sera il sindacato principale è stato nuovamente scavalcato. Con l’annuncio di un incontro ottenuto a Parigi per l’indomani mattina col ministro dell’Agricoltura Barnier e col segretario di Stato al Consumo Chatel è stata decisa la sospensione della protesta. Gli agricoltori del Puy de Dôme, dell’Allier, del Vaucluse e della Loire-Atlantique hanno convenuto di levare i blocchi. Gli altri però li hanno mantenuti, nell’attesa dell’esito del vertice, specie, ancora una volta, nel “grande Ovest dell’esagono”.

Alla conclusione dell’incontro ministeriale solo la metà delle occupazioni era terminata. Poi è arrivata la promessa di Barnier: “Generalizzeremo i controlli sui prezzi della grande distribuzione e sanzionerimo quando sarà il caso”, ha promesso il ministro, riconoscendo la “legittimità delle richieste contadine in materia di trasparenza sui costi” e annunciando un’apposita “brigata” governativa incaricata delle verifiche.

Il governo palesa la consapevolezza che gli agricoltori fanno sul serio. Sono sempre loro in prima fila, e non solo nell’epoca pre-rivoluzionaria. Sono loro ad avero creato una cultura europea del cibo e a inventarsi gli agriturismi. Sono loro a inscenare le battaglie più vistose contro gli Ogm, i tagli annunciati dall’Europa nei sussidi al settore e le restrizioni alle varietà delle denominazioni d’origine, a cominciare dal vin rosé del Sud Ovest. E sono stati anche loro a spostare in massa i voti da Sarkozy e dai socialisti alla lista verde di Europe Ecologie di Cohn-Bendit e Bové. Soprattutto, sono loro ad aver già scavalcato la grande distribuzione avviando il meccanismo della vendita diretta. In pochi anni il settore è arrivato al quindici per cento dell’intero fatturato agricolo e il fatto che l’uso del web sia stato finora marginale promette ulteriori rapide espansioni.

Nei giorni successivi alla promessa governativa un’apparente calma è tornata a regnare nelle campagne francesi. Di nuovo, però, i sindacati hanno concesso un mese di tempo. Dinanzi all’assenza di risultati reali non mancheranno alla promessa di tornare all’azione.