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L’università del disastro di Paul Virilio

di redazionale - 30/06/2009

 
 
 
Avendo già lette e commentate alcune recensioni di questa ultima fatica del filosofo ultrasettantenne francese Paul Virilio, credevamo di aver colto – e in parte è certamente così – l’essenza della sua tesi relativa alla necessità di un’Università del disastro. Ma affrontare questo testo, pur breve, nella sua interezza è decisamente un’altra cosa. Virilio ha un linguaggio complicato, difficilmente traducibile in una lingua diversa e trattare di sostenibilità come lui fa, incrociandola non solo con l’economia, ma anche con la fisica, la matematica, l’architettura, la pittura e la letteratura, l’informazione, significa avere a dir poco dimestichezza con la complessità. Tornando al punto di partenza, quindi, viene subito da chiedersi: che cosa spinge l’autore a invocare la realizzazione di un’università del disastro? Ci si potrebbe aspettare una risposta tipo: il fallimento della scienza (anche economica) che ha portato alla crisi ecologica. Invece Virilio ribalta la questione: non è il fallimento della Big Science, ma il suo pieno successo. Sì, quando le scienze assolvono bene il proprio compito, l’accidente è, per l’autore, connaturato ad esse. L’esempio è quello dell’autostrada che nasce e viene realizzata direttamente con la corsia di emergenza nella certezza che il suo utilizzo sarà reso necessario da un tamponamento a catena inevitabile.

Un’università del disastro delle tecno-scienze di successo, all’interno di un’economia dissipatrice di energia e di materia fondata sul consumo, paragonabile a un treno lanciato in corsa consapevolmente e verso, dunque, una sicura catastrofe. E’ tempo dunque che si affrontino queste catastrofi, dice Virilio, non più solo dal punto di vista assicurativo, guardando quindi alla possibilità che accada un incidente, bensì lavorando sul crash test delle tecnologie (e più in generale del nostro sistema economico) e anticiparne quindi le conseguenze delle cadute e degli scontri con ostacoli sempre più grandi.

L’avversità al limiti del luddismo di Virilio nei confronti della tecno-scienza è nota a chi conosce il filosofo, che in quest’ultima opera ripropone la sua critica ricostruendo le responsabilità dell’uomo schiavo della velocità: “Fondata, fin dall’origine, su una scelta energetica che risale fino la polvere del cannone e alla macchina a vapore, in attesa del ‘motore a scoppio’, la nostra civiltà dromocratica (neologismo composto da democrazia e dromologia, che per l’autore è ´la scienza (o la logica) della velocità´, ndr) si è lanciata nella corsa di un’accelerazione storica senza alcun freno, legata all’imperativo d’emergenza di una crescita smisurata in cui il consumo d’energia è diventato a poco a poco l’argomento per una vera e propria difesa pubblica del suo ‘treno di vita’: vera e propria fatalità transpolitica più che politica, di cui l’invenzione del ‘motore a reazione’, con tutti i suoi augelli, è stato un simbolo misconosciuto, in attesa dell’emancipazione extraterrestre dei missili e dell’innovazione in questa velocità di scappamento, di fuga alla gravità terrestre, che non porta a nient’altro che al vuoto siderale”. Inoltre: “Il turbocapitalismo del mercato unico porterà invece, domani o dopodomani, all’accidente integrale dell’economia mondo, alla bomba di un involontario crac-test, i cui sintomi continuano a susseguirsi da quel famoso Big Bang prodotto dall’interconnessione del program trading del Borse internazionali”.

Una situazione che di fatto “rimette in discussione la questione della crescita sconsiderata in materia di urbanizzazione, di motorizzazione e quindi di consumo di energia, restando in tal modo la sfida principale per la lotta intrapresa contro l’inquinamento atmosferico e le sue pandemie”. Una fotografia senz’altro poco ottimista della realtà, ma piuttosto veritiera se si considera inoltre che è stata ‘scattata’ prima della crisi attualmente in atto per gran parte causata proprio dal turboliberismo.

Oggi, è la ‘rivelazione’ di Virilio, “la corsa alle riserve energetiche ha sostituito la conquista geografica, e le vecchie dispute che si risolvevano con i fracassi dei cannoni si risolvono ora con la firma dei contratti: il tempo reale dell’accelerazione, infatti, sostituisce definitivamente l’estensione dello spazio reale delle nazioni”. E chi ne fa le spese? “L’individuo, più ‘intemporaneo’ che realmente ‘contemporaneo’” che “diventa a poco a poco il servitore di un ecosistema panico da cui egli dipende per esercitare delle professioni inibitrici, che lo esulano dalla sua vitalità, al punto che alcuni prevedono che l’Università e le sue facoltà possano diventare in futuro, per la società postindustriale, ciò che le fabbriche e gli stabilimenti sono stati, in passato, per la società dell’industria nascente…”.

Un’idea suggestiva quella dell’università del disastro, certamente argomentata e forse neppure troppo utopistica o ucronica. Perché probabilmente la spinta verso un mondo dove le catastrofi causate dal successo delle tecno-scienze (e anche dei modelli economici) e quindi dal dritto della medaglia, sono studiate con modelli che permettono di prevederle potrebbe aiutare, soprattutto se significa anche prevenirle. L’idea di Virilio però è un po’ più fantascientifica e pessimistica, nel senso che la velocità, la dromosfera come la chiama lui, lo spazio-velocità che è un movimento continuo, reale o fittizio, che disintegra lo spazio urbano, spinta dalla Big Scince imploderà con gli effetti di un nuovo big bang. I segnali di questa vorticosa corsa senza speranza sono dati dal tempo reale che consente ormai agli uomini di avere il dono dell’ubiquità pur restando nello stesso posto attraverso la rete e i mezzi di informazione. Per Virilio, l’eccesso di velocità rende tutto vecchio in un istante cancellando persino la cronologia. E’ come se con la rete e il tempo reale dei media non ci fosse più il giorno regolato dalla rotazione terrestre intorno al sole, ma un tempo fisso infinito che rende, come qualcuno ha già detto, il pianeta piatto. Con la salvezza dell’umanità – come da detto Stephen Hawking – legata a un futuro colonialismo extraterrestre che, dice Virilio, sarebbe la dimostrazione del fallimento (o del pieno successo) dell’uomo.

Serve un modello diverso, un nuovo paradigma economico diciamo noi, non solo ‘green’, ma anche sostenibile socialmente che significa qualità della vita. La falla, dal nostro punto di vista, del ragionamento di Virilio, sta però nelle conclusioni. Nel senso che la guerra alla Big Science può anche avere un senso, ma non si capisce bene l’alternativa quale sia. A questa “università del disastro” che materie si insegneranno? Si insegnerà a come affrontare scientificamente le catastrofi – e quindi servendosi delle Big Science - e prevenirle oppure a come tornare al Medioevo? Si giocherà sostanzialmente in attacco (ricerca di una scienza sostenibile) o in difesa (adattamento all’esistente)? Alla fine della lettura, quindi, restiamo ancora dell’idea che non siamo gli strumenti in sé ad essere fallaci - strumenti peraltro niente affatto neutri in quanto hanno a monte la ricerca e a monte della quale ci sono gli indirizzi che gli sono stati dati con relativi investimenti economici - ma come li si utilizza. Anche se in questo momento di crisi economica, finanziaria, ecologica e pure mass mediatica, l’idea che possa esistere un interruttore che spenga la luce elettrica e accenda quella della ragione farebbe tanto piacere anche a noi…