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Nella notte estiva solcata dai lampi le foglie dei pioppi stormiscono al vento

di Francesco Lamendola - 08/07/2009

 


Chissà quante volte abbiamo guardato uno spettacolo del genere, ma senza vederlo realmente: per chi lo sa vedere, è tutta un'altra cosa.
Nella notte chiara di mezza estate, quando il crepuscolo si prolunga interminabile ed il cielo resta chiaro e luminoso fino alle prime ore del mattino, la voce degli alberi agitati dal vento acquista un suono nuovo e diverso, spettacolare e sorprendente.
Mentre lampi diffusi, estremamente vividi, squarciano di continuo l'orizzonte e illuminano a giorno la boscaglia che ricopre il letto sassoso del grande fiume, milioni e milioni di foglioline di pioppo, sussultando sui loro lunghissimi piccioli, danzano e si scuotono senza pace, come se una mano possente, ma invisibile, le agitasse misteriosamente.
È una voce composita, che scaturisce da innumerevoli fronde e che riunisce in sé la foga selvaggia di un alito incontenibile e la modulata dolcezza carezzevole, quasi sensuale, di una forza grandiosa, ma amica, che trae dal grembo della notte sempre la stessa eco.
Nessun canto di grillo, nessuna voce di uccello, neppure la voce dell'acqua che scorre vicina e lambisce il vasto isolotto ghiaioso, si odono nella semioscurità che regna sotto le chiome degli alberi: soltanto lo stormire ed il fremere delle foglie dei pioppi, innumerevole, maestoso, quasi ossessionante, che riempie di sé questa notte di luglio che pare stregata.
È fantastico il contrasto che si crea fra il cielo opalescente e le foglie inferiori degli alberi che, viste dal basso, formano un disegno scurissimo e frastagliato, in perenne movimento, al di sopra dei fusti possenti che si slanciano in alto, simili alle colonne di una fantasmagorica cattedrale senza parerti e senza volta.
Di tratto in tratto, laggiù, verso mezzogiorno, da dove spira questo vento rinfrescante eppure caldo, delizioso sulla pelle come una carezza, si scorge il disco giallo della luna piena, solenne, intangibile, contornato da uno scenario di nubi fra l'indaco e il violetto.
Spettacolo vasto, grandioso, quello del cielo baluginante che a tratti s'illumina e quello del concerto poderoso di infinite foglie solcate dal vento, come un mare lontano che si frange sugli scogli di una riva strana e dimenticata.
Il temporale è lontano, laggiù, da qualche parte: ora si avvicina, ora si allontana, come un viandante dai passi incerti nella notte.
È un vento saturo di umidità, questo che corre fra gli alberi e scuote con vigore le chiome e le fronde; si sente la pioggia vicina, che tuttavia non si decide a cadere. Dopo la giornata calda ed afosa, pare che la natura gema, invocando il refrigerio dell'acqua.
Eppure la pioggia non viene, il temporale non si scatena; continua a mulinare tutto intorno, ad andare tentoni ora qui, ora là: e non erompe mai con tutta la sua forza, che, quasi certamente, in questo momento sta sfogando altrove.
Non resta che attendere e lasciar fare a lui.
Intanto le foglie dei pioppi continuano a fremere in questa oscurità parziale, lasciando intravedere la loro luce argentea, quasi metallica, ad ogni nuovo soffio possente, simili a minuscole scaglie di sole smarrite nella notte di mezza estate; che poi, passata la raffica di vento, tornano a immergersi nel buio e ridiventano tranquille per pochi secondi, in attesa della prossima ondata.
Potrebbero essere i cavalli di una travolgente cavalcata che viene da un altro mondo e riempie il cielo del fragore inafferrabile di mille e mille sogni, di ricordi che parevano dimenticati ed invece si ridestano al richiamo di un pifferaio magico.
In questo orizzonte vasto, non interrotto da alcun segno di presenza umana, ma solo, in distanza, dallo sfondo delle colline e delle montagne violette, si respira un'aria di infinita libertà, così forte e penetrante che quasi dà un senso di vertigine, di ubriachezza.
Le fronde dei pioppi stormiscono al vento, le foglie si scuotono e certamente stanno parlando, stanno rivolgendo un discorso: ma quale? Possibile che la loro voce possente, innumerevole, rimanga muta per l'orecchio umano; possibile che abbiamo smarrito la chiave del loro linguaggio segreto?
Non c'è dubbio che ci stanno parlando, come ogni altra cosa, del resto, che possieda un'anima: e i pioppi, il fiume, la notte, il vento e la luna, sono tutte creature viventi e senzienti, sono tutte dotate di  un'anima.
L'anima non può fare a meno di parlare: è nella sua natura. Bisogna imparare ad intenderne la voce, a riconoscerne l'alfabeto. Solo chi è povero di anima, non intende mai quella voce e non impara mai a riconoscere quell'alfabeto: che è come dire che vive sulla terra come un corpo estraneo, opaco e senza splendore.
Lo splendore delle mille e mille foglioline dei pioppi, simili a scaglie di sole smarrite nella notte di mezza estate, è una canzone che sgorga dal profondo e si ammanta di splendore, di infinita bellezza e armonia: basta fare silenzio per riuscire a coglierla.
Per sentire, bisogna imparare a tacere; per vedere, bisogna imparare a chiudere gli occhi del corpo; per capire, bisogna imparare ad andare oltre il pensiero razionale, puramente strumentale e calcolante.
Solo se si è in grado di fare questo, si incomincia a percepire il linguaggio segreto delle cose, a decifrare la canzone degli alberi agitati dal vento, del fiume che corre nella notte d'estate, lento e maestoso, in direzione del mare.
D'altra parte, c'è un tempo per ogni cosa: c'è un tempo per parlare ed uno per ascoltare; uno per domandare  ed uno per rispondere; uno per partite ed uno per rimanere. Le cose sono pronte per noi, quando noi siamo pronti per esse. Non si arriva per caso a comprendere il linguaggio dei pioppi frementi nel vento notturno; non si arriva per caso a vedere la luna affacciarsi fra balconi di nuvole indaco e violetto.
Occorre un lungo percorso per arrivarci: un percorso solitario, animato da una esigente volontà di chiarezza e da un ardente bisogno di verità interiore. Nessun libro può insegnare come trovarlo, nessuna carta topografica può mostrare la strada da percorrere.
Non esistono scorciatoie, non esistono astuzie. Scorciatoie ed astuzie possono funzionare, talvolta, nel mondo degli uomini, dominato dalla menzogna ed dall'inganno; ma non servono a nulla nel mondo dell'anima, che è fatto di purezza e verità.
Quando l'anima, purificata dal lungo cammino solitario, si è liberata dalle incrostazioni più grossolane che ne offuscano la vista interiore, allora e solo allora si incomincia a vedere, si incomincia a udire, si incomincia a comprendere.
Non prima.
C'è un tempo per ogni cosa; e ogni cosa conosce il proprio tempo. Le cose non avvengono a caso, mai: il caso è la veste che noi siamo soliti confezionare per coprire la nostra ignoranza. Ma lo facciamo con cattiva coscienza e con astuzia da quattro soldi, cercando delle scorciatoie che non portano da nessuna parte.
Non dovremmo vergognarci di ignorare tante cose; al contrario: dovremmo riconoscerlo con la massima franchezza, perché solo così possiamo sperare di risalire la china dell'ignoranza e restituire un po' di bellezza alla nostra anima.
L'anima ignorante e presuntuosa è opaca, è priva di attrattiva: riesce a sedurre solo le anime che sono altrettante povere e vuote, altrettanto vanitose e superficiali. C'è poco da gloriarsi, in quel caso: non è certo la quantità che significa qualcosa.
Un'anima vuota può attrarre decine e decine di anime vuote, ma non avrà nulla da dare o da ricevere; ma un'anima bella che attrae un'altra anima bella, avranno infiniti doni da offrirsi l'un l'altra, e il loro incontro non perirà.
Nessun incontro perisce, quando l'anima è pura; nessuna voce va perduta, quando ha imparato a mettersi in ascolto.
Questa canzone che cantano migliaia di foglie di pioppo, nella notte d'estate solcata dai lampi di un temporale lontano, è un inno alla bellezza, una offerta di pace, un incoraggiamento a perseverare, una promessa di felicità.
Bisogna saperla udire, bisogna saperla decifrare. Ma ciò non dipende da noi: è un dono che viene dall'alto, e non giunge a caso.
Quando l'anima si è sforzata con tutta se stessa di ritornare a quella pienezza dalla quale proviene e alla quale aspira, allora le giunge il dono: il dono di spalancare i sensi interiori, di allargare e moltiplicare la propria percezione della realtà.
Le anime più meritevoli - quelle dei santi, degli illuminati, degli spiriti puri - possono perfino oltrepassare i confini dello spazio e del tempo, oltrepassare i limiti delle leggi fisiche. Vi sono stati, vi sono e vi saranno uomini e donne d'eccezione che si librano nell'aria senza peso, che parlano con le piante e gli animali, che viaggiano fuori del corpo, che leggono nel passato e nel futuro, che vedono perfettamente ciò che è lontano e ciò che è nascosto.
Le anime più grandi possono vincere la morte, trionfare della carne, assumere un corpo di luce, glorioso e indistruttibile.
A un livello più modesto, l'anima che incomincia a vedere la luce è in grado di intendere il linguaggio segreto delle cose, di comprendere le parole del vento, della notte, del fiume, dei lampi e degli alberi.
Dopo di che, poco a poco, l'anima incomincia ad innalzarsi, a vedere le cose nella loro interezza, a riconoscere la propria missione: comprende quale sia il messaggio che le è stato affidato, e arde dal desiderio di realizzare quanto deve.
A nessuna anima verrà chiesto di rendere conto a quante altre anime avrà saputo trasmettere il messaggio; ma se lo avrà saputo fare con assoluta fedeltà, e sia pure mettendosi in relazione con un'anima sola. Non è poco, tutt'altro.
Raggiungere un'altra anima in profondità, farle del bene, aiutarla e sostenerla nei passaggi difficili, incoraggiarla nelle sue potenzialità migliori, è cosa di tutto rispetto: più che a sufficienza per giustificare il cammino della vita.
Perché questa, dopotutto, è la ragione per cui si viene al mondo: per amare e non per odiare, per aiutare e non per incrudelire.
Tutto il resto non è che polvere, rumore, apparenza.

*  *  *
Intanto le chiome dei pioppi si curvano e si piegano sotto le raffiche di una mano invisibile, la mano del vento nella notte estiva popolata di lampi.
Levando lo sguardo verso l'alto, il cielo ancora debolmente luminoso, nonostante l'ora tardissima, si staglia al di sopra della nera massa delle fronde dei pioppi, formando un contrasto inconsueto che ricorda vagamente le «notti bianche» delle regioni più settentrionali.
Solo fra qualche ora il cielo diverrà interamente buio; ma l'oscurità avrà una durata brevissima, perché, in questa stagione, l'aurora comincia a delinearsi molto per tempo, accolta dal saluto festoso di migliaia e migliaia di uccelli.
Domani sarà un altro giorno, e la luce del giorno riporterà ciascuno al proprio lavoro e alle proprie preoccupazioni.
Ma intanto noi siamo qui, nel vento tiepido della notte estiva, avvolti dalle parole incessanti di migliaia di foglioline di pioppo, simili a scaglie smarrite di sole. Non  si stancano di parlare, di comunicare il loro messaggio. Aspettano un'anima che lo capisca e che lo accolga.
Loro, non hanno fretta.