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La “O” di G8

di Umberto Bianchi - 09/07/2009

Si stanno svolgendo i  lavori dell’ennesimo G8, ovverosia dell’ennesima “riunione di famiglia” tra i grandi dell’economia della Terra, condita dalle solite dichiarazioni d’intento, stavolta però animate da un ulteriore pizzico di buonismo umanitario, visto che l’assise si svolge all’Aquila, città-martire eletta a simbolo del terremoto che ha colpito tre mesi fa l’Abruzzo. La crisi finanziaria globale di Settembre contribuisce a lanciare un’ulteriore spruzzata di buonismo e di belle dichiarazioni sull’intero evento. Al di là di quanto mai ovvie e giustificate diffidenze, è d’obbligo chiedersi se da questo G8 possiamo aspettarci qualcosa di più, che non le solite trite e ritrite dichiarazioni, promesse e vuote parole a cui oramai i media ci hanno da “illo tempore” abituato. Ma vediamo di procedere con ordine.

g8-2009La prima novità riguarda la grande crisi finanziaria che ha colpito l’intero sistema economico globale, scardinando certezze che sembravano inamovibili e generando, al loro posto, dubbi e paure prima impensabili. La parola d’ordine sembra ora essere: etica, sempre e ovunque. Etica nell’economia, nella finanza e nelle sue regole. Etica a dosi massicce, dunque, come il prezzemolo o la pummarola copiosamente sparsi sul ricco piatto dell’economia globale di cui dovrebbero insaporire le indigeste portate. Etica negli emolumenti ai manager, etica nei controlli ai vari paradisi fiscali, etica nel punire con rigore i vari birbaccioni di turno, comminando qui e lì cento o duecent’anni di carcere come nulla fosse. Ma se di etica si vuol parlare, bisognerebbe proprio iniziare dalla causa scatenante tutto il pandemonio finanziario di questi ultimi tempi: cioè quelle amministrazioni USA, Clinton prima Bush dopo, che hanno disinvoltamente liberalizzato il mercato dei prodotti finanziari “subprime”, rendendolo di fatto una bomba ad orologeria. Tutto questo per prestare ascolto a quei gruppi pressione finanziari, (non certo rappresentati da qualche truffatore di Wall Street, statene certi!) che dalle liberalizzazioni finanziarie hanno tratto dei vantaggi incalcolabili. Per tutti questi signori sembra che non valgano regole etica, né a tal proposito vengano invocati provvedimenti di alcun tipo, anzi. Governi, governatori, istituzioni e circoli di pressioni finanziari, sono lì, continuano ad alternarsi ed a pontificare come se nulla fosse, invitandoci, anzi, ad “aver fiducia”, a spendere di più, ad aver fede in miracolistiche soluzioni.

Un altro fondamentale risvolto, è rappresentato dallo scenario geoeconomico che va ora prospettandosi ai nostri occhi. Oltre agli USA, nel grande scenario dell’economia mondiale si stanno facendo avanti altri importanti comprimari, quali Cina, India, Messico, Brasile, Sudafrica, Egitto (ed altri ancora ve ne sarebbero), per i quali, non a torto, il nostro Presidente del Consiglio avrebbe proposto l’istituzione di un G14, ovverosia un’edizione allargata ai nuovi protagonisti dell’attuale assise mondiale. Ma cerchiamo un momento di capire quale può essere il ruolo e la effettiva rilevanza di ciascuno di questi soggetti.

La Cina. Il gigante asiatico ha conosciuto, più di chiunque altro, anni di crescita economica impetuosa, al ritmo di un 8/9% l’anno, ora abbassatosi ad un “misero” 7%. Paese esportatore per eccellenza, la Cina è fra quei paesi, tra cui Germania e Giappone, caratterizzati da un forte squilibrio della bilancia commerciale, tutta a favore di una massiccia produzione finalizzata quasi esclusivamente all’esportazione e tutta a detrimento dei consumi interni. La peculiare situazione cinese fa sì che oggidì il colossale debito pubblico USA, sia per lo più finanziato dalle rimesse finanziarie frutto delle esportazioni cinesi. La globale contrazione della domanda estera fa sì che la Cina debba ora rivisitare radicalmente i propri parametri d’azione, andando a favorire il consumo interno, tramite il graduale aumento del costo del lavoro. Una manovra simile, non potrà dunque non avere conseguenze sulla competitività del gigante asiatico, che andrà scemando negli anni. L’unica prospettiva di guadagno a breve termine, verrà sempre più dal pagamento delle cedole del debito pubblico USA, che la Cina deve augurarsi non venga mai rinegoziato al ribasso. Per questo motivo il gigante asiatico ha tutto l’interesse a sostenere, costi quel che costi, l’economia USA e quindi ad accodarsi ai suoi destini, per evitare una esiziale catastrofe finanziaria.

L’India. Pur non essendo detentore dei record economici cinesi, l’India possiede un comparto industriale di tutto rispetto, accompagnato da una spiccata preferenza verso la produzione di alta tecnologia informatica, come software, etc. Le università indiane sfornano tecnici ed ingegneri, ma anche qui vale un discorso simile a quello cinese. Il costo del lavoro irrisorio, e le condizioni di miseria interna, determinate da antiche sperequazioni sociali, non lasciano ben vedere nel senso di una prospettiva di ragguardevole aumento dei consumi interni. L’attuale calo mondiale dei consumi, dovrebbe indurre l’economia indiana a non effettuare vistosi sbilanciamenti verso le esportazioni, poi difficilmente riparabili senza altri esiziali effetti collaterali. Non solo. L’India è accomunata agli altri grandi paesi emergenti (Messico, Brasile, Egitto, etc.) da una considerevole instabilità monetaria. Questa “patologia”, anche se ovviata al momento con energiche manovre di macroeconomia su debito pubblico, bilancia commerciale, importazioni, etc., non verrà mai completamente debellata in questi paesi, sino a che la cronica instabilità economica e sociale di cui costoro sono portatori, non troverà un più duraturo aggiustamento.

L’inflazione, la svalutazione, l’indebitamento estero, sono mali antichi, che si ripresentano puntualmente sul proscenio della storia antica e recente di questi paesi, vanificando i tanto auspicati investimenti esteri. Ed anche qui si ricorre spesso all’uso spregiudicato dell’investimento in titoli del debito pubblico occidentali (USA in particolare) o agli acquisti in valute come l’Euro o il dollaro o in malaugurate transazioni sulle borsistiche (vedi i titoli “overnight” ed altri strumenti consimili…). Ecco che la dipendenza dall’economia finanziaria (USA) si riaffaccia generando un circolo vizioso difficilmente eludibile. Né vale credere che la soluzione di questi problemi possa venire dall’ipertrofia economica, ovvero dallo stimolare una quanto mai vana iperproduttività a cui, come già storicamente dimostrato, succederà sempre un periodo di crisi profonda, in un sempre più radicale altalenarsi tra momenti di euforia e momenti di depressione. Tutte le cosiddette “nuove realtà” vivono di successi effimeri troppo spesso condizionati dalla dipendenza da un modello, quello liberista che, anche se non necessariamente dipendente dai dettami statunitensi, finisce con il distruggere e stravolgere tutto ciò che tocca.

Ora gli USA per bocca di Obama chiedono un ritorno all’intervento pubblico in economia. Ed anche queste ci sembrano francamente lacrime di coccodrillo, anche perché bisognerebbe anzitutto definire in quali termini intenderebbe  portare avanti una simile scelta chi, per anni ha in tutt’altro modo predicato ed agito. Le tanto auspicate nuove regole dell’economia non ci sembrano avere alcun senso, sintantoche a decidere, lontano dai fari dei media, saranno i soliti gruppi di pressione. Né di senso continueranno ad averne, fintanto che si continuerà a proclamare l’unicità di un modello di sviluppo, quale quello attuale, che sta continuando a collezionare sfasci a destra e manca. Di senso tali regole non ne avranno mai, se continueremo a creare monete artificiali sulla pelle dei popoli, come l’euro e sinchè si continuerà a tenere come valori di riferimento valute ed unità di misura lontane mille miglia dalle realtà di quei stessi popoli. Rivedere e restringere gli accordi sul commercio globale, localizzare le economie, saper contemperare la libertà di adozione di un modello economico, con la presenza di altri modelli, fare del denaro un valore di riferimento di proprietà dei popoli e degli stati e non invece di istituzioni finanziarie, come avviene ora. Creare mercati finanziari “alternativi”, cioè fondati sul commercio equo e solidale ed impostati su una bassa predisposizione al rischio. Il tutto dando un minimo di assetto regolamentare per evitare quel caos che tanto gioca  a favore della speculazione. Soluzioni concrete a problemi concreti ne esistono, statene certi, ma non è certo con i diktat di circhi equestri quali G8, ONU, Banche mondiali, FMI ed altri che si troveranno. Né si illudano coloro che, andando a fare casino credono di cambiare qualcosa, anzi. Noi crediamo sinceramente che scontri e violenze, altro non faranno che gettare il discredito su qualunque idea contraria a “lor signori”, conferendo a costoro una veramente impropria aura di vittimismo.

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