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Una guerra sporca, senza onore

di Giancarlo Chetoni - 30/07/2009

sarissa

 

La pianificazione del coinvolgimento bellico dell’Italietta in Afghanistan nasce nella Sede del Comando Generale Alleato per il Sud Europa nei mesi successivi al Novembre 2001.
Se la campagna aerea USA ha spazzato via le posizioni tenute dalle forze pashtun a est a sud ed a nord del Paese e disperso sul terreno le sue formazioni combattenti con il sostegno dei Signori della Guerra dell’Alleanza del Nord del calibro di Daud, a libro paga della CIA, accusato recentemente di efferati crimini di guerra, per la Coalizione il lavoro che resta da fare nel Paese delle Montagne è semplicemente enorme.
Il nemico non mollerà facilmente la presa. La morfologia del territorio, la sua estensione, una viabilità primitiva che si inerpica su tornanti di montagna, la totale mancanza di una decente rete stradale di altopiano, l’assenza di risorse minerali ed energetiche da depredare, una struttura sociale e religiosa reiteratamente refrattaria, ostile, a modelli di civiltà estranei ed una struttura statale inesistente fanno dell’Afghanistan, per bene che vada, un grosso buco nero.
I comandanti locali taliban, anche se danno l’ordine di smobilitazione, inviteranno i militanti a mimetizzarsi alle periferie delle città lasciando nei centri urbani i combattenti più determinati per avere occhi, orecchie e braccia alle spalle degli aggressori.
I nuclei pashtun che non saranno sciolti o distrutti esfiltrano un po’ alla volta dalle aree sottoposte a rastrellamenti e bombardamenti per trovare riparo nei fondovalle, nelle aree rurali e nei villaggi di montagna.
Anche se la vittoria è stata facile, quasi senza perdite, gli analisti militari USA e NATO sanno che tenere sotto stretto controllo militare l’intero Afghanistan non sarà né semplice né facile. Occorrerà chiedere ed ottenere, ancora una volta, il sostegno politico, economico e militare alla cosiddetta Comunità Internazionale, a quella nuova e vecchia Europa dell’Est e dell’Ovest, all’Inghilterra, al Canada, a Stati Criminali e Repubbliche delle Banane.


La nostra (!?) avventura militare prende così ufficialmente avvio sulle montagne di Kost, dopo un anno di preparazione logistica e di acclimatamento, nel Luglio 2003 con un distaccamento di paracadutisti della Folgore coinvolto in un primo conflitto a fuoco con presunte formazioni terroriste che, quella volta, si sganciano nell’oscurità.
Li guida il colonnello Bertolini, attuale Vice-Comandante Generale di ISAF con sede a Kabul.
Lo sostituirà il Generale Graziano, Capo Missione UNIFIL in Libano dal 2006.
Elemento che la dice lunga sulle modalità con cui le Segreterie Generali dell’ ONU impongono agli Stati membri in aree regionali ad alto rischio come Libano e Kosovo Comandanti Militari o Rappresentanti Plenipotenziari che imparziali non possono certo essere.
A quel tempo, la task force Nibbio a ridosso del Waziristan è già forte di 1.000 uomini mentre altri 450 militari italiani sono impegnati nel controllo di Kabul con la forza di stabilizzazione ISAF-NATO.
Il campo dei ribelli che si sono scontrati con la Folgore verrà distrutto nelle ore successive da una squadriglia di cacciabombardieri di Enduring Freedom.
Le perdite subìte dai “terroristi“ assommeranno a 70 morti e 130 feriti. Questo allora scrisse e riferì il corrispondente locale dell’Agenzia afghana Pajhwok.
I sopravvissuti dopo le cure mediche verranno avviati al carcere di Bagram, un centro di detenzione dove “polizia segreta“ di Karzai e consiglieri militari USA si lavoreranno i prigionieri superstiti con gli stessi metodi di interrogatorio che a quel tempo stanno già facendo scuola in tutto l’Iraq.
La Folgore spedita in Afghanistan dal Ministro della NATO Martino a ridosso del Pakistan alloggerà negli accantonamenti di una base di “Forze Speciali” e Ranger a stelle e strisce.
Per la stampa internazionale sarà il compound “Salerno“.
Non è mai stato accertato se dietro al nome affibbiato a quell’“avamposto“ ci fosse stata una deliberata volontà del comandante della base o del suo Stato Maggiore di ricordare con malizia agli “scarponi“ della Folgore cosa fosse successo in Italia il 9 Settembre 1943 tra le località marittime di Maiori e Agropoli con l’operazione Avalanche della 5° Armata capeggiata dal Generale statunitense Clark, quattordici mesi dopo El Alamein.
Mentre il Governo Berlusconi apre la campagna afghana impegnando gli effettivi di quattro battaglioni, lo Stato Maggiore della Difesa affida al capitano di fregata Bruno Vianini del Comsubin, un reparto di èlite della NATO, la missione di organizzare il trasferimento di personale e logistica dall’Italia a Herat.
Il comandante Vianini, uomo di punta del Cos (il Comando delle Forze Speciali di Centocelle), perderà la vita il 4 Febbraio 2005 a bordo di un 737 della Kam Air che si schianterà contro una montagna a sud est di Kabul. Con lui moriranno due italianissimi addetti, si disse, alla “cooperazione“ di cui ancora oggi non si conosce l’identità.
Il ché porta a 16 il numero dei caduti in “missione di pace“ nella Terra delle Montagne.
L’approntamento del Provincial Reconstruction Team (PRT) va comunque avanti con l’arrivo di altro personale militare.
Un C-130 sbarca il primo “advanced party“ di sette unità, poi ne arrivano altri 40 appartenenti all’Aviazione, alla Marina, all’Esercito e all’Arma dei Carabinieri fino al raggiungimento dei 400 militari previsti.
A ruota entreranno in organico a quello che diventerà il West Rac di Herat e al Comando di Kabul gli inviati del Ministero degli Esteri ed i primi collaboratori delle ONG a libro paga della Farnesina.

Si farà vedere da quelle parti anche un cappellano militare che erigerà con manodopera locale la prima chiesa, in muratura, con i fondi della cooperazione pro Afghanistan.
La costruzione di un aeroporto militare a cemento spessorato di 625.000 mq completerà la prima fase di approntamento. Il materiale logistico e militare trasportato a Herat dall’Italia con uno scalo intermedio di sosta e rifornimento ad Al Bateen negli Emirati Arabi Uniti raggiungerà dal 2003 al 2008 le 22.500 tonnellate.
Camp Arena e Camp Vianini saranno destinati ad essere i nodi focali di una imponente, sofisticata e costosissima struttura militare finalizzata al controllo del territorio ed all’interdizione terrestre ed aerea di formazioni “terroriste“ nelle province di Herat, Farah, Bagdis e Ghor.
Non si disdegnerà di organizzare un servizio di intelligence a base di “palloni“ radar ed antenne satellitari per tentare di metter naso anche nello spazio aereo dell’Iran mentre si allestisce il centro comando e controllo per gli UAV Predator.
Aerei senza pilota, con capacità di bombardamento, di cui si parlava da tempo a mezza bocca a Palazzo Baracchini ma che nessun Consiglio Supremo della Difesa, di Palazzo Chigi o Consiglio dei Ministri aveva ancora ufficialmente deliberato di inviare al PRT di Herat.
I politici sapevano bene quello che facevano i militari ma nel 2003 occorreva ancora rispettare un approccio alla riservatezza, alla gradualità delle notizie per far digerire un po’ alla volta la faccenda all’opinione pubblica.
L’Ammiraglio Di Paola nel frattempo annota : “Le operazioni procedono per il meglio in un clima che non esito a definire del tutto favorevole e di ottima sinergia con le autorità locali“ aggiungendo per ultimo nel rapporto che “garantire la sicurezza costerà inevitabilmente molto al Paese soprattutto se lo sforzo italiano si protrarrà, come previsto, nel tempo al fine di garantire una piena vittoria contro il terrorismo“.

Il Segretario Generale Jaap De Hoop Scheffer fisserà a distanza di qualche settimana la scadenza dell’impegno NATO in Afghanistan a 25 anni (!) durante una conferenza stampa al Comando Generale di Bruxelles.
Fra un De Hoop Scheffer che passerà le consegne al danese Rasmussen il prossimo 1 Agosto 2009 e quel pinocchio di Obama che parla di exit strategy dall’Afghanistan mentre aumenta da 31 a 57mila i militari di Enduring Freedom e ISAF che, alla zitta, un po’ alla volta sta portando i militari dell’Alleanza Atlantica al raddoppio, appare decisamente più credibile l’olandese con il coltello tra i denti.
Di Paola , dal canto suo, è attualmente Presidente del Comitato Militare della NATO. L’incarico gli sarà dato da Bruxelles nel Novembre 2007 quando ancora esercita le funzioni di Capo delle Forze Armate Italiane. Napolitano e Berlusconi per l’occasione inneggeranno senza un briciolo di pudore al ruolo riconosciuto all’Italia nelle strutture di comando dell’Alleanza Atlantica.
A livello politico, il Ministro Martino otterrà già a partire dal Giugno 2002 il pieno sostegno dell’“opposizione“ di centro-sinistra in vista della preparazione della “missione di pace“ in Afghanistan.
Appoggio che gli verrà confermato per un’intera legislatura nelle Commissioni di Palazzo Madama e Montecitorio, nel voto a Camera e Senato e nei successivi iter parlamentari per l’approvazione degli stanziamenti finanziari semestrali fino all’Aprile 2006.
Poi sarà la volta del Governo Prodi. Dall’estate di quello stesso anno diventerà operativa nelle provincie di Herat e di Farah la Task Force 45, la più grande unità di “forze speciali“ messa in campo dall’Italia dall’“Operazione Ibis“ in Somalia, dirà l’esperto militare Gianandrea Gaiani. La guerra dell’Italia in Afghanistan sta per fare un decisivo salto di “qualità“.

Si passerà dalla “risposta armata proporzionata all‘offesa“ alla ricerca ed alla distruzione del nemico con l’attacco preventivo da terra, l’intervento della forze aeree ed i rastrellamenti, di annientamento, contro formazioni isolate di coraggiosissimi straccioni pashtun.
Gente senza capacità di movimento e di contrasto che si affidano per la sopravvivenza alla mimetizzazione in aree tribali pashtun. Si passerà dal peace keeping – peace enforcing ad uno stato di guerra dove tra aggressori ed aggrediti c’è un abissale squilibrio di forze.
L’Italietta comincerà per conto della NATO a combattere una guerra sporca, senza onore, finalizzata a generare cattiveria e ad alzare il livello di uno scontro che ci vede invadenti invasori, destinati alla sconfitta.
L’avventurismo della Task Force 45 servirà da miccia per far esplodere un dibattito politico finalizzato alla rimozione dei caveat.
Chi l’ha spedita in Afganistan ne conosce l’addestramento e l’aggressività, sa di poter contare su una struttura di comando di assoluta fedeltà “atlantica“, su una censura militare a prova di bomba e di un parco gazzettieri addetti al depistaggio.
Della Task Force 45 faranno parte incursori-guastatori dei Ranger del 4° Alpini, del Comsubin, del 9° Col Moschin, del 185° Rao Folgore, duecento uomini in tutto che opereranno a fianco di famigerate unità killer della Delta Force statunitense e delle SAS britanniche responsabili tra l’altro dell’uccisione del Maresciallo Lorenzo D’Auria del SISMI.
Morte su cui gravano interrogativi e sospetti anche questa volta rimasti senza risposta.

La Task Force “Sarissa“ più volte solleciterà, prima, durante e dopo gli inseguimenti a caldo contro i taliban, il dispositivo di sorveglianza e di attacco elicotteristico ed aereo oltre che di ISAF anche di Enduring Freedom con piloti e navigatori che da quelle parti non vanno certo per il sottile.
I caduti pashtun nelle aree delle province di Herat e Farah si conteranno a centinaia, decine saranno i bambini, le donne e gli anziani uccisi, feriti o seppelliti sotto le macerie di villaggi costruiti con mattoni di paglia e fango. Hanefi e Strada, per averne parlato, dovranno passare per le pesanti attenzioni della polizia segreta di Karzai che agisce per conto di USA e NATO.
Prodi, Parisi e D’Alema lasceranno correre, defilandosi.
Sull’Afghanistan scenderà un silenzio di tomba. L’opinione pubblica del Bel Paese dovrà accontentarsi, da quel momento in poi, di un‘“informazione“ fatta di marchette.
In Afghanistan si sta consumando un autentico genocidio con l‘autorizzazione ed il sostegno dell‘ONU e dell’Occidente. In Afghanistan non ci sono militari né dell’intera Asia, né dell’Africa né dell’America Indio Latina.
Una pace lorda di un fiume di sangue che Quirinale, Governo, Maggioranza ed “Opposizione“ ritengono “irrinunciabile“ per la “nostra sicurezza“ con la variante farsa (ben programmata dai Poteri Forti e mediaticamente efficace ad incanalare consensi) della Lega di Bossi.
Quando La Russa definisce le preoccupazioni di Bossi quelle di un “papà buono“ imprimendogli di fatto il marchio del handicappato scosso da un tremito incoercibile, e la “missione di pace“ in Afghanistan “irrinunciabile“, il Ministro della Difesa in realtà con una fava vuole cogliere due piccioni usando il “Ministro delle Riforme“ per indirizzare il consenso di una parte dell’elettorato di sinistra verso la Coalizione di Governo di cui la Lega fa parte, ribadendo al contempo per il Popolo delle Libertà una posizione, come ha dichiarato, “indefettibilmente“ schierata con la NATO in Afghanistan. Che a difesa delle dichiarazioni del Capo della Padania si sia schierato un mangia-islamici come Calderoli fa capire con estrema chiarezza la studiata strumentalità della parte fatta recitare a Bossi da Poteri Forti, Governo ed Istituzioni. Il sospetto lancinante è che Bossi, rimbambito com’è, non sia nient’altro che il cimbello del nostro pruriginoso, e molto fuori di testa, Presidente del Consiglio Berlusconi.
Il mantra da recitare è che stiamo (stanno) in Afghanistan per garantire, pensate un po’, la nostra sicurezza. Lo dicono tutti i “politici“. Lo ha ribadito più volte anche il Capo della Repubblica dalla città di Pulcinella indossando un bel feltro bianco modello Panama. Peccato che evitino accuratamente di dirci gli autentici come e perché.