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Golpe in Confindustria

di Gianni Petrosillo - 24/08/2009

 

Il protagonismo delle nostre imprese più aggressive, quelle partecipate dal Tesoro come Eni, Enel, ecc. ecc., oltre a scompaginare certi equilibri politici internazionali - con Washington che comincia a moltiplicare i suoi richiami al governo italiano e ai politici di tutto l’arco parlamentare[1] – sta contribuendo anche a rompere le fossilizzate gerarchie di Confindustria, dove è iniziata una vera battaglia per la successione negli organi apicali, nazionali e territoriali. A tal proposito segnalo l’articolo de Il Mondo di ieri, a firma di Enrico Romagna-Manoja, che riporta di questa diatriba all’interno di Confindustria.

Nella principale organizzazione padronale del nostro paese, da decenni, resistono ai vertici decisionali, esponenti di quelle imprese affermatesi nel precedente ciclo di rivoluzioni tecnologiche e industriali che oggi possono sopravvivere sui mercati solo grazie agli aiuti di Stato (una per tutte: la Fiat). Questo parassitismo sottrae alla nazione risorse indispensabili le quali, data la fase storica internazionale e la crisi economica mondiale, dovrebbero invece essere stornate verso i settori più attivi e innovativi, gli unici che possono stimolare urgenti processi di modernizzazione.

Tale situazione attesta dell’arretratezza dei gruppi dominanti che tengono in mano le redini dell’Italia. Essi non manifestano alcuna intenzione di farsi da parte (e del resto nel capitalismo, tipo di sistema sociale dove prevale il conflitto tra dominanti, nessuno si fa spontaneamente da parte se non viene costretto con la forza) nonostante il loro percorso storico sia giunto palesemente al capolinea, ma preferiscono costringere alle corde l’intero sistema-paese pur di non perdere i propri privilegi di casta. 

Tuttavia, si avvistano all’orizzonte incoraggianti segnali risveglio proprio perché le imprese che ho citato sopra cominciano a reclamare un ruolo più confacente alla loro vitalità economica e politica, ai vari livelli strategici. Peraltro, anche solo formalmente, ne avrebbero ogni diritto visto che le aziende energetiche versano nelle casse di Viale dell’Astronomia più di un quarto delle quote associative totali di quest'ultima.

Tutto ciò ha immediatamente acceso lo scontro tra vecchi e nuovi gruppi economici, con i primi che resistono all’assalto dei secondi movimentando tutti i mezzi a loro disposizione e approfittando del loro forte ascendente sulla classe politica per impedire qualsiasi cambio di guardia. Il risultato di tale lotta conservativa è sotto gli occhi di tutti: i processi di cambiamento restano confinati ad alcune branche industriali e qualsiasi positiva ridefinizione delle relazioni industriali viene stroncata sul nascere. La resistenza di questi drappelli dominanti risulta al momento efficace a causa dell’assenza di forze politiche capaci di far fiorire e raccogliere ogni istanza di trasformazione, attraverso la cementificazione di nuovi blocchi sociali sui quali fondare una vera e propria “rivoluzione capitalistica nazionale”. 

Confindustria è ormai asserragliata in un reazionarismo sempre più insopportabile e deleterio, che trova una sponda speculare in quello dei sindacati confederali, ugualmente tesi alla conservazione dei privilegi delle proprie burocrazie organizzative, di quelle statali più esclusiviste e dei settori più improduttivi dell’industria e dei servizi. Per cominciare la risalita nazionale occorrerebbero gruppi politici di ben altro spessore in grado di sostenere le imprese di punta e di far piazza pulita del vecchiume che sbarra la strada al progresso. Ma dove sono?

[1]A tal proposito segnalo l’intervento del deputato UDC Luca Volontè apparso sul secolo XIX di venerdì. Costui, probabilmente sensibilizzato da qualche “vocina” potente, ha preso carta e penna per denunciare l’estrema prossimità dell’Italia alla Russia che sta compromettendo l’amicizia con gli Usa e con i vertici dell’UE. Il problema? E’ sempre lo stesso: il governo italiano sta facendo fallire il “lungimirante” corridoio gazifero del Nabucco per sostenere il progetto ENI-Gazprom del South Stream che incrementerà la nostra dipendenza energetica da Mosca. Il parlamentare cuor di leone dell’UDC arriva a sostenere che Berlusconi ha “mollato” i partner europei e americani facendoli incavolare (si tratta dell’ennesima minaccia velata?) senza ottenere contropartite diplomatiche e commerciali concrete a favore del nostro paese. Qualcuno spieghi per favore a Volontè la differenza tra un accordo dove si è soci alla pari e uno dove, invece, non si è per niente presenti.