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Il repubblicanesimo mazziniano radice del comunitarismo italiano

di Filippo Ronchi - 31/08/2009


Mazzini oggi non è più un’ icona, le sue teorie viaggiano in maniera tale che è possibile
attingere a lui senza farne un “padre” del comunitarismo italiano, del resto è già stata un’
operazione arbitraria quella di trasformarlo in un uomo del pensiero liberale. E’ noto d’
altra parte che la frequentazione fra Mazzini e Marx fu, fin da subito, burrascosa e data dai
loro rispettivi soggiorni londinesi. Agivano nello stesso ambiente, facendo proseliti tra gli
operai delle fabbriche. Il punto di partenza era infatti il medesimo, dal momento che la
forza lavoro aveva per loro un identico valore, inalienabile, libero. Ma per Marx era la forza
destinata a distruggere la dominazione del capitale, per Mazzini era la forza che avrebbe
potuto diventare alla fine essa stessa capitale con la creazione delle associazioni. Altro
forte motivo di contrasto con i nascenti movimenti socialisti e comunisti era la convinta
difesa che Mazzini faceva della proprietà individuale. Scrisse infatti nei Doveri dell'uomo:
«Come per mezzo della religione, della scienza, della libertà l'individuo è chiamato a
trasformare, a migliorare, a padroneggiare il mondo morale ed intellettuale, egli è pure
chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare, per mezzo del lavoro materiale, il
mondo fisico. È la proprietà il segno, la rappresentazione del compimento di quella
missione, della quantità di lavoro col quale l'individuo ha trasformato, sviluppato,
accresciuto le forze produttrici della natura [...] Non bisogna abolire la proprietà perché
oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla. Bisogna
richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che il lavoro solo possa
produrla». I contrasti tra i due divennero presto insanabili. Benché i lavori della Prima
Internazionale si aprissero il 28 settembre 1864 in un clima fortemente mazziniano (il
Genovese aveva infatti dalla sua parte la maggioranza del Congresso, formata da italiani e
dalle Trade Unions inglesi), in breve Marx riuscì a prenderne il sopravvento riscrivendo di
suo pugno alcuni documenti, cancellandovi ogni traccia di mazzinianesimo e modellandoli
sulle sue teorie. Eppure, nonostante la forte rivalità, Mazzini dava di Karl Marx un giudizio
rispettoso, considerandolo «uomo di ingegno acuto, ma dissolvente, di tempra
dominatrice, geloso dell'altrui influenza, senza forti credenze filosofiche o religiose e, temo,
con più elemento d'ira, anche se giusta, che non d'amore nel cuore». A tali parole Marx
rispose con epiteti ingiuriosi e insulti (“vecchio somaro”, “Teopompo”, “leccaculo dei
liberali”). La figura di Mazzini non è stata controversa soltanto nell’ Ottocento. Anche
successivamente, neppure in Italia essa è appartenuta alla memoria condivisa. Quando
nel 1949 venne collocato sull’Aventino il monumento a Mazzini, il "Comitato nazionale per
le onoranze" pubblicò un volume di testimonianze di 224 politici e intellettuali di diversa
estrazione cattolica, liberale, democratica. Ma risultarono assenti i leader di quella che
allora era la “sinistra di classe”, reduce dalla bruciante sconfitta del Fronte popolare del 18
aprile 1948. Probabilmente tale assenza, che aveva la sua base nel giudizio radicalmente
negativo su Mazzini dato a suo tempo da Palmiro Togliatti, era un riflesso dell’antica
contrapposizione ideale fra Mazzini e Marx, sia per l’accusa che Mazzini aveva rivolto al
comunismo di essere inevitabilmente destinato a sfociare in dispotismo, sia per la
contrapposizione fra l’ideale nazionalistico e l’internazionalismo proletario che era uno dei
fondamenti del marxismo. Tutta questa, però, è acqua passata. Proprio partendo dalla
constatazione che sarebbe assurdo rinnovare scontri che ebbero un senso nell’ epoca in
cui si verificarono, vorrei che si aprisse un dibattito su ciò che l’ eredità mazziniana può
rappresentare per la costruzione di una teoria del comunitarismo in Italia. Oggi infatti, sullo
sfondo di un paesaggio geo-politico che non è più quello della "guerra fredda", il rinnovarsi
di polemiche simili a quelle di un secolo e mezzo fa non sarebbe compreso. E ciò perché
il comunitarismo italiano, crollato il comunismo storico novecentesco realmente esistito,
non può non ricercare riferimenti in altri pensatori nel cui nome coniugare comunità e
libertà, come fu essenzialmente nella riflessione di Giuseppe Mazzini. Forse è matura la
possibilità di una prima rottura di quello che si può considerare come il fronte del rifiuto di
Mazzini da parte della tradizione socialista e comunista italiana. Agli storici quindi il
compito di ricostruire la vicenda di Mazzini collocandola nel proprio tempo. Qui mi
concentrerò invece sull’ insegnamento che egli ancora offre, per vedere se la sua lezione
sia da considerare uno dei punti di partenza di quel nuovo comunitarismo italiano di cui da
tempo stiamo tentando di delineare i tratti essenziali.

NAZIONE, ASSOCIAZIONE, REPUBBLICA NEL PENSIERO DI GIUSEPPE MAZZINI
Gli aspetti fondamentali della elaborazione di Mazzini furono l’ associazione e la nazione
considerate in un binomio inscindibile: l’ associazione come nucleo costitutivo della
società; la nazione come mezzo per promuovere la libertà, la fratellanza e non per creare
situazioni di privilegio a favore di questo o quel gruppo. In tal senso, la repubblica
preconizzata da Mazzini è basata sul miglioramento delle “classi più numerose e più
povere” e fondata sulla sovranità popolare mediante un regime rappresentativo
proporzionale ed il suffragio universale. La democrazia repubblicana è a sua volta unita
alla consapevolezza dei “doveri dell’ uomo”, ossia al senso del limite. Indicando la
soluzione della questione sociale nella capacità associativa degli operai, Mazzini ribadì la
sua avversione verso i sistemi socialisti, considerati “seguaci, eredi di Bentham”,
responsabili di aver ridotto il problema sociale al “progres […] de la cuisine de l’
Humanitè”.
Uno dei cardini del libro Doveri dell’ Uomo è la critica serrata al capitale “despota del
lavoro” e ai capitalisti “detentori dei mezzi e stromenti del lavoro”, però Mazzini respinge le
proposte riguardo all’ abolizione della proprietà individuale. Lo Stato “onnicomprensivo” ed
organizzato “come quello dei castori e delle api” non avrebbe sanato i mali della società.
Se la proprietà era mal distribuita,occorreva- piuttosto che abolirla- aprire la via perché i
dominati potessero acquistarla. La soluzione del problema dipendeva dalla libera
associazione del lavoro, che conteneva il segreto di una nuova organizzazione politica
identificata da Mazzini in uno Stato repubblicano che favorisse le associazioni dei
lavoratori con agevolazioni di vario genere, come la costituzione di un Fondo nazionale e
la concessione di crediti a basso tasso d’ interesse.
Le associazioni, al loro interno, sarebbero state governate con metodo democratico:
“eguaglianza dei soci nell’ elezione, amministratori a tempo o meglio soggetti a revoca”,
“retribuzione per tutti eguale alle necessità della vita- riparto degli utili a seconda della
quantità e della qualità del lavoro di ciascuno”. Le associazioni di lavoro avrebbero,
insomma, emancipato i salariati e improntato la società italiana del loro carattere
democratico, trasformando i lavoratori da salariati a liberi produttori mediante una
modificazione radicale dello schema dell’ economia capitalistica.

UN MAZZINI SCONOSCIUTO
E’ opportuno, prima di proseguire, sgombrare il campo da un equivoco. Così come
accaduto per i partiti del comunismo storico novecentesco realmente esistito, i quali
elaborarono una ideologia che poco aveva a che fare con il pensiero di Karl Marx (questo
paradossale eppur concreto fenomeno è stato indagato nei suoi più recenti studi da
Costanzo Preve), altrettanto si può affermare sia avvenuto per il partito nato dalla
tradizione mazziniana, il Partito Repubblicano Italiano (PRI), che ha voltato le spalle a
Giuseppe Mazzini, archiviandone i riferimenti classici- innanzitutto l’ unione nelle stesse
mani di capitale e lavoro- e trasformando il patriota genovese in un profeta della UE e dell’
euro. Cosicché Mazzini è oggi sostanzialmente uno sconosciuto, intendo dire il Mazzini
che ripensa la democrazia partendo da una critica al liberalismo ed elaborando idee tra le
più “estreme”, il Mazzini teorico di una riorganizzazione della società a base democratica,
comunitaria e partecipativa. Il “Popolo” mazziniano è infatti una comunità fortemente
coesa attorno alla costituzione che si dà, unito nel riconoscimento di valori fondanti
condivisi da tutti.
E’ appunto a questo Mazzini che va tolto il velo d’ oblio che impedisce di andare al di là dei
pre-giudizi. L’ ostilità deriva dal fatto che egli fu tenace avversario del collettivismo e del
capitalismo, nonché delle loro visioni filosofiche di riferimento, marxismo e liberalismo.
Il fallimento del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917 – 1991) e l’
avvento di una tragica “età del’ oro” aperta da ciniche oligarchie mercantili e chiamata
“globalizzazione” che lentamente svuota la democrazia e le sovranità nazionali
ripropongono dunque ai nostri giorni la figura di Mazzini in una luce nuova. Da un lato,
infatti, la sua opposizione all ‘ ideologia comunista che si andava costruendo a partire dagli
ultimi decenni dell’ Ottocento fu profetica nel contestargli l’ incapacità di determinare l’
emancipazione dei lavoratori senza annullare di fatto la democrazia. Dall’ altro non meno
radicale fu la sua avversione al capitalismo, di cui mise a nudo le condizioni di
insopportabile sfruttamento dell’ uomo sull’ uomo nonché l’ ipocrisia sottostante alla
proclamazione dei “diritti individuali” cui si accompagna la realizzazione di intollerabili stati
di privilegio e di miseria subordinata. Dunque più che mai nell’ epoca attuale, di fronte ad
un attacco senza precedenti del capitalismo “globalizzato” contro tutti i legami sociali
ereditati dalla nostra storia, di fronte al tramonto della democrazia intesa come dialogo e
partecipazione, l’ idea di democrazia e la polemica anticapitalista, antiindividualista e
contro il liberalismo di Giuseppe Mazzini rappresentano una risorsa per affrontare il
futuro.

CONSIDERAZIONI SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE
L’ elaborazione del pensiero mazziniano inizia con una riflessione profonda sulla
Rivoluzione Francese, collocandosi nella temperie di romanticismo politico-religioso che
dominò in Europa il 1830, ma che era già presente già dai primi dell’ Ottocento. Mazzini ne
esamina i presupposti filosofici di stampo illuminista e le conseguenze politico-sociali.
Scrive a tale proposito in Fede e Avvenire: “Il culto dell’ individualità ha dato il luogo ad un
ignobile individualismo, a un egoismo, a una immoralità senza nome”, perché “in ogni
teoria di diritti individuali gli interessi soli siedono dominatori”.
Sempre in Fede e Avvenire si fa negatore di qualsiasi scuola politica che “come la scuola
americana, ponga a centro l’ individuo, soffochi il principio dell’ associazione sotto l’
onnipotenza dell’ io, condanni il progresso alle irregolarità d’ un moto a balzi e ribelle ad
ogni calcolo, impianti la diffidenza nell’ ordinamento civile […] e introduca nelle menti […] il
materialismo, l’ individualismo, l’ egoismo o la contraddizione”.
Quella di Mazzini appare qualcosa più di una polemica, è un’ autentica contrapposizione
all’ ideologia e alla politica liberali, anzi- se lo si studia con attenzione- ci si rende conto
che il suo antiliberalismo supera in estensione e per intensità il suo “anticomunismo”.

L’ INDIVIDUAZIONE DEL NEMICO PRINCIPALE
E’ un fatto noto perfino allo studente più svogliato delle scuole superiori italiane, che
Mazzini considerava l’ Austria l’ ostacolo fondamentale all’ unificazione dell’ Italia e perciò
riteneva che l’ impero asburgico andasse combattuto tenacemente dal popolo con la forza
delle armi. Non altrettanto noto, invece, è il giudizio da Mazzini maturato, nel corso degli
anni, sull’ Inghilterra e sugli Stati Uniti d’ America, luoghi storici e geografici, teorici e
pratici del liberalismo che lì fu pensato, realizzato e da dove si propagò nel resto del
pianeta. Ebbene, la valutazione del Genovese era tutt’ altro che positiva. In quei sistemiaffermava-
“non c’è, parlando propriamente, nessuna società; c’è solo un aggregato di
individui, vincolati a mantenere la pace, ma che per il resto seguono i loro propri obiettivi
individuali: laissez faire, laisser passer. Non è questo l’ ideale che cerchiamo” . La
negazione mazziniana delle Rivoluzioni francese e americana e della dottrina dei diritti
investiva non solo il campo politico, ma anche quello economico. Riferendosi ai liberali
rilevava nei Doveri dell’ Uomo che “sotto il regime esclusivo di libertà ch’ essi predicano e
che ha più o meno regolato il mondo economico nei tempi a noi più vicini, i documenti più
innegabili ci mostrano aumento di attività produttrice e di capitali, non di prosperità
universalmente diffusa: la miseria delle classi operaie è la stessa di prima. La libertà di
concorrere per chi nulla possiede, per chi non ha di che iniziare la concorrenza, è
menzogna, com’ è menzogna la libertà politica per chi mancando d’ educazione, d’
istruzione, di mezzi e di tempo, non può esercitarne i diritti […] Da una parte c’è una
minoranza che possiede per diritto di eredità, per tradizione aristocratica, tutti gli elementi
della ricchezza- terra, capitale, macchine-; dall’ altra la maggioranza che possiede
solamente le sue braccia, la sua capacità di lavorare, e che è ridotta a venderla nei termini
imposti dalla prima, per paura di morir di fame”.
Simili considerazioni appaiono di una grande attualità, perché la globalizzazione odierna è
erede diretta di quel liberalismo scaturito dalle idee inglesi, francesi e americane del
diciottesimo secolo. Il mondo che brulicava attorno a Mazzini nella Londra ottocentesca
dove egli si trovava in esilio era la prefigurazione (per difetto) di quello in cui adesso ci
troviamo. Perciò quando egli dichiarava: “Oggi il capitale è despota del lavoro”, era
tragicamente moderno, poiché si rendeva conto che la libertà di commercio, gli
incoraggiamenti dati alle grandi imprese industriali servivano ad accrescere “la produzione
della ricchezza, non a farne più equa la distribuzione”. Per questo i presupposti
materialistici, individualistici ed utilitaristici sui quali si fonda il liberalismo risultano
inconciliabili con il mazzinianesimo. “Non è parlando di interesse e piacere che la
Democrazia trasformerà il mondo; non è con una teoria dell’ utilità, che l’ urgente
necessità di un rimedio alle sofferenze delle classi povere sarà sentita dalle classi ben
alloggiate, ben vestite e ben nutrite”, troviamo annotato tra i suoi Pensieri, così come la
considerazione che è una forma d’ egoismo “la teoria della libera illimitata concorrenza,
che organizza guerre e conduce inevitabilmente alla vittoria di quelli che hanno su quelli
che non hanno”. Non sfugge a Mazzini che la società occidentale regolata nella sua
concretezza, al di là delle dichiarazioni di principio, dalla formula “a ognuno secondo la
classe alla quale appartiene; a ogni classe secondo i mezzi o i capitali che possiede […]
non provvede né alla giustizia, né all’ utile collettivo” .

IL REPUBBLICANESIMO MAZZINIANO RADICE DEL COMUNITARISMO ITALIANO
I principi mazziniani della comunità, dell’ associazione e dei doveri sociali si oppongono
quindi alla teoria dei diritti individuali e alla teoria della libera concorrenza. Mazzini dichiara
anzi esplicitamente che intende rompere col secolo del liberalismo. In Fede e Avvenire
dichiara: “Ci separiamo per sempre dall’ epoca esclusivamente individuale e a più forte
ragione dall’ individualismo che è il materialismo di quell’ epoca. Chiudiamo le vie del
passato”.
Riprendere oggi il sentiero interrotto che Mazzini aveva indicato, significa rendersi conto
che il maggiore ostacolo che si incontrerà lungo il cammino sarà il liberalismo, già all’
epoca vero avversario di Mazzini. Ma, come dicevo all’ inizio, su quest’ ultimo aspetto c’ è
una vera reticenza culturale. L’ antiliberalismo del Genovese è stato praticamente
archiviato, dal momento che costituisce un problema assai imbarazzante per quella
storiografia liberale che esercita tuttora una dura egemonia culturale non solo in Italia. L’
esortazione di Mazzini a rompere con l’ epoca dell’ individualismo e con la mentalità del
diciottesimo secolo resta tuttavia di una attualità drammatica e sorprendente. Sono le
comunità capaci di autogoverno, non gli individui, che rappresentano l’ unità base della
società democratica: è questo il lascito più importante del pensiero mazziniano, la cui
forza dirompente meglio si capisce se si tiene presente il fatto che- veicolato dalla dottrina
dell’ individualismo liberale- il mercato esercita oggi una pressione irresistibile indebolendo
le strutture della scuola, della famiglia, della chiesa e portandole a giustificarsi nei soli
termini che riconosce: quelli dell’ operazione lucrativa che esibisce un saldo di cassa
attivo. Anche i mezzi di informazione sono trasformati così in mezzi di intrattenimento e le
attività di assistenza sociale in gestione scientifica della povertà. Mazzini allora, ormai
superata la parte caduca e contingente della sua elaborazione teorica, appare oggi come l’
esponente di una cultura repubblicana democratica in senso comunitario e
partecipazionista, nazionale (ma non nazionalista), sociale, che faticosamente ha tentato
di incamminarsi per le vie della storia, quasi subito tuttavia bloccata. Le sue linee di
pensiero politico e sociale, infatti, sforzandosi di superare il comunismo come
storicamente andava concretizzandosi ed il liberalismo, rimasero soccombenti, ma
conservano la forza di un destino imprevedibile. Nonostante tutto, Mazzini si ripresenta
nel ventunesimo secolo ancora una volta come l’ “apostolo” di una democrazia diversa
rispetto a quella razionalistica e negativa di origine francese e le sue idee potrebbero
tornare a sprigionare nuove energie politiche. Una democrazia dove l’ idea della
repubblica fondata sui diritti individuali, ovvero il repubblicanesimo individualista, viene
negata a favore dell’ idea della repubblica fondata sui doveri, ovvero il repubblicanesimo
associazionista. E’ marcata in tal modo la linea di confine tra liberalismo dei diritti, che in
fin dei conti garantisce l’ economia capitalistica generatrice di ingiustizie e distruttrice di
ogni legame sociale, nazionale, popolare, e democrazia repubblicana dei doveri che ha un
carattere politico e sociale insieme grazie alla quale si esprime il governo del popolo. Il
liberalismo dei diritti, per Mazzini, non solo non è in grado di ricomporre tutte le
“differenze” che lo “sviluppo moderno”, il “progresso” realizzano, ma anzi produce queste
differenze che conducono ad un egoismo sociale e ad un egocentrismo psicologico
esasperato e dissolvente. Ecco perché nei Pensieri egli nota: “La dottrina dei diritti
individuali è, nella sua essenza e in linea di principio, solo una grande e santa protesta in
favore della libertà umana contro l’ oppressione di qualunque tipo. Il suo valore, quindi, è
puramente negativo. Capace di distruggere, è impotente a fondare. Può rompere catene,
ma non ha il potere di creare vincoli di cooperazione e di concordia”.
Il dilemma irrisolto da oltre tre secoli di storia della graduale affermazione del capitalismo,
che puntualmente si ripresenta a tutt’ oggi, è sempre lo stesso: egoismo o solidarismo?
Individualismo o associazionismo? Liberalismo dei diritti o democrazia repubblicana dei
doveri? La risposta di Mazzini è arrivata sino a noi senza “passare di moda”: “La
Democrazia ha sete di unità […] sa che nessuna unità è possibile dove regna un’
artificiosa ineguaglianza, dove lo spirito di dominio da un lato, diffidenza e di reazione dall’
altro, ostacolano ogni comunanza di idee e dividono l’ umanità in classi distinte,
assegnando loro diversi interessi”. Se il liberalismo dei diritti, fondato sull’ individualismo e
sulla libera concorrenza, ha affogato i valori di famiglia, nazione, umanità, proprietà
individuale nelle acque torbide dell’ interesse, dell’ utile e del calcolo, la democrazia
repubblicana di Mazzini propone di riscattare quei valori restituendo ad essi l’ originaria
potenza di legame comunitario e di funzione sociale.

STATO, NAZIONE, PATRIA
In questo contesto lo stato, la nazione si legittimano storicamente in quanto espressioni
della democrazia intesa come dovere sociale, punto d’ origine quest’ ultimo della
democrazia stessa, che non può risiedere invece nel diritto individuale. E nella democrazia
“la vita non è per essa che un ufficio, una missione. La norma, la definizione di quella
missione non può trovarsi che nel termine collettivo superiore a tutte le individualità del
paese: nel popolo, nella Nazione”. Mazzini è convinto che il fine della democrazia non è l ‘
homo oeconomicus utilitarista e individualista plasmato al capitalismo, semmai esso è il
fine del materialismo nelle sue due versioni quella liberale e quella comunista
storicamente realizzatasi. Ecco perché nella democrazia mazziniana lo Stato ha il dovere
di intervenire nella realtà sociale puntando ad eliminare i divari sociali che sconvolgono la
nazione. In questo senso Mazzini parla di governo sociale e di democrazia dei doveri, che
consentano “ordine e severità di verificazione e censura nella sfera finanziaria, limitazione
di spese, guerra a ogni prodigalità, attribuzione d’ ogni denaro del paese all’ utile del
paese, esigenza inviolabile d’ogni sacrificio ovunque le necessità del paese lo impongano.
Non guerra di classi […] non violazioni improvvide e ingiuste di proprietà: ma tendenza
continua al miglioramento materiale dei meno favoriti dalla fortuna, e volontà ferma di
ristabilire il credito dello Stato, e freno a qualunque egoismo colpevole di monopolio, d’
artificio, o di resistenza passiva, dissolvente o procacciante alterarlo”: questo si trova
scritto nel Proclama del Triumvirato della Repubblica Romana del 5 aprile 1849. Mazzini
può quindi in tale ambito statale parlare di associazione (che naturalmente presuppone la
partecipazione) e di capitale e lavoro nelle stesse mani auspicando- nei Doveri dell’ Uomo-
“la più grande, la più bella rivoluzione che possa idearsi, quella che dando come base
economica al consorzio umano il lavoro, raccoglierebbe, sotto una sola legge d’ equilibrio
tra la produzione e il consumo, senza distinzioni di classi, senza predominio tirannico d’
uno degli elementi del lavoro sull’ altro, tutti i figli della stessa madre, la Patria”.
A chi giudica il pensiero mazziniano fuori dal nostro tempo, rispondo che esso può tornare
a far parte- se ci si svincola da preconcetti- del dibattito culturale e politico. In particolar
modo la sua riflessione sul concetto di democrazia e la sua intransigente denuncia dell’
anomia sociale e dell’ individualismo utilitaristico impliciti nel modello liberale, fanno di
Giuseppe Mazzini quanto meno un punto di riferimento per quanti respingono l’ idea della
fine della Storia e cercano di definire il comunitarismo.

L’ IDEA – FORZA DEL MAZZINIANESIMO
L’ attualità di Mazzini deriva, in ultima analisi, dalla sua capacità di non cedere alla
tentazione di mettere insieme alcuni elementi del liberalismo e del comunismo che
storicamente andava strutturandosi già alla sua epoca nel campo delle dottrine politiche
per elaborare una “terza via”. Questo è qualcosa di unico: Mazzini è il solo che si è posto
al di là del liberalismo e del comunismo realmente esistito a livello di elaborazione teorica
e di realizzazione pratica tra Ottocento e Novecento. I risultati delle operazioni di sintesi
sono stati i modelli socialdemocratici sfociati infine, come nel caso di Blair in Inghilterra e
di Zapatero in Spagna nel liberismo etico, oltre che economico. Mazzini invece è stato il
fondatore di una nuova visione, che si proponeva di unire l’ uomo alla comunità politica in
cui vive con un vincolo di impegno morale che corrisponde al proprio senso del dovere
politico. La sua riflessione merita quindi di essere recuperata dagli equivoci e dalle
incomprensioni che tuttora la circondano. Anche grazie a Giuseppe Mazzini oggi è
possibile affermare che oltre al comunismo novecentesco realmente esistito (schiacciato
col crollo del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell’ URSS) ed al liberalismo
(generatore delle ingiustizie che si diffondono all’ ombra della globalizzazione), la Storia
offre un’ altra possibilità: la democrazia repubblicana che così si declina nelle sue forme
comunitarie: “Intendiamo per Repubblica il sistema che deve sviluppare la libertà, l’
eguaglianza, l’ associazione; la libertà è per conseguenza ogni pacifico sviluppo d’ idee,
quando anche differisse in qualche parte dal nostro: l’ eguaglianza, e però non possiamo
ammettere caste politiche alle vecchie caste sparite: l’ associazione; cioè un pieno
consenso della universalità per quanto può aversi dei Cittadini, del Popolo”. Le parole del
discorso pronunciato all’ Assemblea Costituente del 10 maggio 1849 giungono perciò sino
a noi inalterate nella loro forza e nel loro valore. Di fronte a questa immagine di Mazzini
molti hanno tenuto gli occhi chiusi. Adesso è tempo di aprirli, perché la cultura politica
mazziniana, rimasta fino ad ora nel limbo, ha qualcosa di veramente importante da dire a
coloro che cercano il comunitarismo.

NOTA BIBLIOGRAFICA
Questo intervento costituisce una sintesi e rielaborazione di due saggi pubblicati alcuni
anni fa: N. DELL’ ERBA, Giuseppe Mazzini. Partito, Nazione e Associazionismo operaio,
in “Rassegna Storica del Risorgimento”, a. XCII – fasc. IV, ottobre-dicembre 2005, pp.
547 – 566 e, soprattutto, M. INGRASSIA, La Democrazia dei Doveri. Giuseppe Mazzini nel
XXI secolo, ivi, pp. 567 – 602. A tali scritti si rimanda per l’ indicazione puntuale delle
opere di Mazzini da cui sono tratte le citazioni inserite nel presente scritto.