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I presocratici

di Sofia Ranzato - 10/09/2009

Questo libro risponde perfettamente alle caratteristiche che la casa editrice Carocci vuole proporre con la collana “Pensatori”, di cui è parte. Si presenta infatti come un saggio di carattere generale sulla filosofia cosiddetta presocratica, di agevole lettura e comprensione, molto utile per chi si accinga a studiare il pensiero di questi autori. Il testo è privo di note, sostituite da una bibliografia piuttosto ampia, relativa ad ogni capitolo di cui si compone.

L’autore sceglie di conservare l’etichetta “Presocratici” «per tradizione e per comodità» (p. 26), pur non ritenendo che caratterizzi aspetti di pensiero comuni a tutti gli autori, né che determini un periodo storico ben definito.

Trattando di un soggetto estremamente complesso e di difficile definizione, il quadro che questo libro offre non può che essere il risultato di una selezione soggettiva e personale di Casertano a partire dall’ampio e magmatico materiale raccolto nell’edizione di testimonianze e frammenti dei Presocratici curata da Diels e aggiornata da Kranz nel corso della prima metà del XX secolo. Il percorso che l’autore sceglie di seguire mantiene, peraltro, una sua plausibilità, come vedremo meglio nella descrizione della struttura del libro.

Il carattere agile di questo saggio, del resto, non preclude una visione critica da parte dell’autore, che appare evidente fin dal primo capitolo, dedicato proprio alla descrizione dell’oggetto di studio e a questioni di metodo.

Dopo avere osservato che è ciò che noi oggi intendiamo per filosofia a farci affermare o negare che la riflessione filosofica nasca all’inizio del VI secolo in Grecia, Casertano suggerisce di attuare un’indagine da lui definita come storico-critica e cioè tesa a non falsificare in modo anacronistico forme culturali del passato, ma, allo stesso tempo, finalizzata a rispondere agli interessi e alle domande della nostra cultura contemporanea. La sua indagine, infatti, inquadra l’origine delle nuove forme di pensiero manifestatesi per la prima volta a Creta e a Mileto, all’interno di una mentalità tradizionale mitica, e vi coglie le influenze delle culture del Vicino Oriente Antico.

Casertano, peraltro, sembra enfatizzare il carattere di rottura che queste prime forme di riflessione filosofica presentano rispetto alla tradizione precedente che, in alcuni passi del libro, viene considerata dall’autore – a nostro parere erroneamente – come basata su “certezze dogmatiche”. Il capitolo sulla poesia filosofica del VI e del V secolo, e quello su Empedocle, sembrano risentire di questa impostazione, per cui, pur considerando gli aspetti innovativi di questi pensatori in maniera chiara e originale – come avviene nel caso dell’opera di Parmenide, di cui viene acutamente messa in rilievo la riflessione nuova sul metodo della ricerca – trascura tutti quegli aspetti che presentano degli elementi di continuità con la cultura precedente, come l’espressione poetica e l’uso di immagini mitiche, considerati come meri strumenti formali, la cui scelta non sarebbe giustificata che per esigenze divulgative.

Dopo questo capitolo introduttivo l’autore segue, negli altri otto di cui il libro si compone, un percorso che, partendo da Creta, con Epimenide – considerato «come una figura di ”trapasso” tra una cultura di tipo sapienziale e la nuova cultura filosofica e scientifica che si andava affermando» (p. 33) – e dai “fisiologi” di Mileto, passa poi a considerare il complesso problema della ricostruzione del pensiero di Pitagora e della sua Scuola in età arcaica, optando per una scelta che privilegia su tutte la fonte aristotelica. Casertano, dopo aver poi trattato della poesia filosofica di Senofane e Parmenide, dedica un capitolo a Eraclito e uno a Empedocle. Inserisce quindi una sezione molto interessante sulla medicina e la matematica tra V e IV secolo, prima di trattare delle figure di Anassagora, di Diogene di Apollonia e di Protagora, con cui le nuove riflessioni filosofiche che fino a quel momento si erano sviluppate soprattutto in zone periferiche del mondo greco, come la Ionia, la Magna Grecia e la Sicilia, iniziano a diffondersi e a essere praticate ad Atene. Il libro si conclude, infine, con un capitolo sull’atomismo di Leucippo e Democrito di Abdera.

Nel ricostruire la storia di questi pensatori, Casertano individua dei nuclei problematici e delle linee di riflessione comuni. In molti di questi autori – a partire dai Milesii e dalla loro teorizzazione di un principio primo, fino agli atomisti – si può cogliere il tentativo di coniugare il molteplice, soggetto a cambiamenti, a nascita e a morte, con la ricerca di una realtà immutabile, ingenerata e imperitura, che sia a origine e a fondamento del tutto. A questa ricerca si connette la riflessione sul rapporto tra un’analisi logico-matematica del reale e un’osservazione fisica, biologica e cosmologica dei suoi fenomeni. Questa dicotomia emerge in maniera evidente a partire da Parmenide e dalla Scuola Eleatica, ma, nei suoi aspetti più propriamente matematici, si sviluppa soprattutto all’interno delle riflessioni dei Pitagorici e, in particolare, nella loro concezione del numero che, solo a partire da Archita di Taranto (V-IV a.c.), sembra essere considerato come un’entità concettuale distinta dalla realtà fisica.

Casertano mette quindi giustamente in evidenza il fatto che, in questi primi pensatori, il principio ordinatore e di movimento non viene concepito come nettamente distinto rispetto alla realtà fisica e materiale, anche laddove esso assuma una sua specifica funzione, come nel caso di Philia e Neikos nella cosmologia di Empedocle, o di Nousin quelladi Anassagora. Tale indistinzione si verifica anche sul piano dell’uomo e del singolo essere vivente dove l’interazione tra l’anima e il corpo viene considerata molto forte e in cui, pertanto, anche la conoscenza sensibile non appare così distinta da quella mentale. In tal modo, non sembra esserci una netta differenziazione tra percezione, attività mentale conoscitiva e emotiva, come avverrà invece nel pensiero platonico e, soprattutto, in quello aristotelico. Questo porta ad un avvicinamento, pur nella consapevolezza di una netta differenza di livelli, tra l’uomo, gli animali, le piante e gli altri costituenti del cosmo. Casertano, considerando questa concezione comune ai diversi pensatori Presocratici, rifiuta di ritenere la teoria della metensomatosi – che implicherebbe una forte consapevolezza della distinzione tra anima e il corpo – come appartenente alle forme del Pitagorismo antico del V e del IV secolo, così come alle riflessioni empedoclee. Tale posizione dell’autore offre, in alcuni casi, spunti di riflessione interessanti, come nel passo in cui fa notare che, nel Fedone platonico, Simmia e Cebete, due tra gli interlocutori di Socrate, pur essendo seguaci del pitagorico Filolao, debbono venire persuasi, con diverse argomentazioni, sulla teoria dell’immortalità dell’anima.

Questo atteggiamento di Casertano, del resto, appare in linea con la sua svalutazione della pratica dell’incubazione nell’attività dei primi filosofi e nel rifiuto, sia del carattere chiuso ed esoterico del primo pitagorismo, che delle influenze che possono avere avuto su di esso credenze e pratiche rituali orfiche. Con lo stesso scetticismo Casertano considera l’influenza delle tradizioni orfico-misteriche sulla filosofia empedoclea, negando che vi siano in essa prescrizioni rituali come il divieto di avvicinarsi alle fave e di mangiare carni, così come l’idea di una trasmigrazione delle anime in vista dell’espiazione di una colpa. Se questo tipo di impostazione ha il merito di mettere in guardia chi sia tentato, sulla base di ipotesi non sufficientemente supportate dalle fonti, di trovare precise corrispondenze tra aspetti del pensiero presocratico e certe pratiche misteriche ed esoteriche, esso appare comunque troppo netto nel negare le influenze della tradizione orfica – di cui abbiamo testimonianze risalenti alla stessa epoca, nelle stesse aree geografiche – sulla filosofia di quel periodo. Questo porta inevitabilmente l’autore all’ipotesi un po’ riduttiva che, nelle Purificazioni, la autopresentazione di Empedocle come divinità immortale (DK31B112) e come demone che, allontanato dalle altre divinità, espia un’antica colpa, vagando tra il mare, il cielo e la terra sotto la forma di vari esseri viventi (DK31B115; B 117), sia solo il frutto di «un’operazione letteraria» (p.124), in un’opera destinata a una diffusione più ampia del poema Sulla natura.

Interessante appare inoltre l’individuazione, da parte di Casertano, di un filone di ricerca – che, partendo da Anassimandro, sembra trovare i suoi frutti più maturi nelle opere di Protagora e di Democrito – su una “storia” della natura in cui si ipotizza la nascita di una vita organica dalla materia e una trasformazione di tipo evoluzionistico delle specie viventi. Tali teorie sarebbero state poi abbandonate per molti secoli, a causa delle aspre critiche rivolte loro prima da Aristotele e poi dagli autori cristiani.

Nei Presocratici, a partire da Ippone di Samo, per passare a Parmenide e alla Scuola Ippocratica, appare inoltre comune una riflessione sul ruolo del maschio e della femmina nella generazione degli esseri viventi e sulla determinazione del loro sesso. Sembra degno di nota che, in questi autori, sia prevalente l’idea che entrambi i sessi concorrano allo stesso modo alla generazione dell’embrione, a differenza di quanto sosterrà poi Aristotele, considerando la femmina come semplice ricettacolo del seme maschile.

Un altro ambito in cui questi pensatori sembrano aver dato un primo importante contributo è quello della riflessione sul linguaggio e sul suo rapporto con la realtà. È con Eraclito, ma forse soprattutto con Parmenide, che questo filone di ricerca sembra prendere avvio, fino a giungere a risultati molto interessanti nelle opere e nell’attività dei Sofisti. Di questi autori Casertano rivaluta l’importanza anche sul piano etico e politico, andando contro una storiografia filosofica che ha le sue basi nelle testimonianze ostili di Platone e di Aristotele. Egli rivaluta, infatti, in particolare, il pensiero di Protagora, interpretandolo in base al contesto storico in cui è inserito, sostenendo che il suo «“discorso migliore”… non è il discorso logico, ma quello politico che si dimostra più idoneo ad un’intesa, ad un patto di accettazione da parte della collettività, perché meglio degli altri riesce a considerare – sia pure provvisoriamente, cioè finché non appaia e si affermi un discorso ancora migliore – una pluralità di aspetti utili alla città» (p. 179). E nei Sofisti, ma soprattutto in Democrito, inizia ad assumere grande rilievo il tema dell’educazione, considerata come un’attività che costituisce la natura umana (physiopoiei DK68B33).

Questo breve e chiaro saggio di Casertano si presenta, quindi, come strumento utile a chi si accosti per la prima volta al pensiero presocratico, pur con il difetto di non indicare sempre nome e opera da cui viene tratta una testimonianza, in modo da costringere il lettore a controllare direttamente sulla raccolta a cura di Diels e Kranz. I Presocratici. Anche se non è stato pensato come un’opera diretta agli specialisti, peraltro, questo libro appare non privo di interessanti spunti di riflessione anche per chi abbia già avuto occasione di accostarsi al pensiero di questi autori.
 
 
Casertano Giovanni, I Presocratici, Carocci, Roma 2009, pp. 239, € 16.50