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Rivelazioni sul caso Parmalat

di Andrea Cinquegrani - 26/03/2006

Fonte: La Voce della Campania

 


 Ve lo ricordate il super spot di casa Bistefani? Quel proprietario improvvisamente tramutato in uno strageneroso Babbo Natale, per la gioia dei consumatori, anche a costo di rimetterci di tasca sua? Ebbene, oggi quel Babbo Natale è tornato, è tra noi. E si chiama Bondi. Lo 007 delle imprese impossibili, lo stratega che grazie al suo sguardo lungo, lunghissimo, tutto vede e prevede. Con la capacità di uno stregone, di un mago e l’equilibrismo dell’acrobata provetto. L’uomo capace di far quadrare il cerchio, di trasformare il crac più clamoroso della storia italiana, quello targato Parmalat, nell’araba fenice, un titolo in grado di risorgere più forte e più solido che pria - direbbe Petrolini. Una gran mucca da mungere, da spremere fino all’ultimo milione di euro, per la gioia di parecchi. Ma soprattutto di alcuni. Vediamo di chi, mentre si è appena alzato il sipario sul maxi processo, con il primo interrogatorio dedicato proprio al super 007, Enrico Bondi, l’amministratore delegato della Nuova Parmalat, partito lancia in resta contro le banche.

Intanto viene “sospeso dal servizio” per tre mesi - una sorta di cartellino giallo - il numero uno di Capitalia e maxi finanziatore di Calisto Tanzi, Cesare Geronzi, il superbanchiere rigogliosamente cresciuto sotto la protettiva ala andreottiana, poi “trasversale”, ecumenico e di rubinetto facile per tutti, ora difeso dal senatore ds, dalemiano doc, l’avvocato Guido Calvi. Per la serie, triple capriole carpiate. Cerchiamo allora di ricostruire alcuni tasselli dell’incredibile puzzle. Moltissimi dei quali portano alle Americhe & oltre, altri arrivano fino in Campania.

GIUGNO BOLLENTE 
Giugno 2005. Un’estate bollente per l’economia del nostro paese. Animata soprattutto dagli “esiti” del super crac di Collecchio. E’ del 16 giugno la notizia che “per Parmalat si vota”. Si esce una buona volta dal tunnel, dopo il Natale nero del 2003, e il fermo ai box del titolo per oltre un anno? Pare proprio di sì. La notizia che arriva dal tribunale di Parma parla esplicitamente di «due mesi di tempo, dal 28 giugno al 26 agosto per dare il proprio assenso, in quanto creditori a vario titolo, alla conversione degli stessi crediti in azioni». 
I magistrati - Giuseppe Coscioni e Pasquale Liccardo - sono decisi: avrebbero ricevuto da Bondi i documenti, le carte necessarie e sufficienti per dar disco verde all’operazione. Il “prospetto informativo”, basilare per varare il tutto, avrebbe ricevuto l’ok da parte della Consob, il super organismo di vigilanza che purtroppo, spesso e volentieri, ha chiuso gli occhi sulle acrobazie finanziarie più spericolate (e i napoletani ne sanno qualcosa: dal crac Socofimm di fine anni ‘80 a quello targato Sim Professione & Finanza del gruppo De Asmundis a metà ’90).

Mancherebbe solo il sì da parte delle autorità di vigilanza di parecchi altri paesi europei coinvolti con i loro istituti di credito nella voragine, ad esempio quelle di Danimarca, Germania, Lussemburgo, Olanda. Regno Unito e Svezia. Ma i primi conti della massaia - a casa Bondi - si cominciano a fare. E con grande alacrità. Se il concordato va in porto, la Nuova formazione Parmalat vedrebbe questi protagonisti in campo: 27 e passa per cento in mano alla banche, 59 per cento per gli obbligazionisti, 8 per cento ai fornitori. «Nascerà così - c’è chi già commenta tra gli analisti finanziari - una società anomala dove alcuni dei principali azionisti saranno gli stessi indiziati di aver concorso al precedente fallimento del gruppo e il cui andamento in Borsa sarà condizionato dalle numerose cause pendenti, più che dal successo o meno delle attività industriali». Circostanze che si stanno puntualmente verificando, fra iperbolici successi di alcuni, contenziosi chissà per quanto pendenti e un titolo Nuova Parmalat in continua fibrillazione.

POKER D’ASSI
Gennaio 2005. Il mondo finanziario nostrano & oltre fa segnare sommovimenti anomali. Il tam tam sull’ex impero di Collecchio e il suo prossimo destino rimbalzano nei mercati finanziari, tra advisor, operatori finanziari e gruppi speculativi: sembra quasi sia scattato il via - commentano in piazza Affari - per una specie di tombola, o di monopoli, dove i valori sono del tutto virtuali e “un po’ tutti cominciano a dare i numeri”. Più d’uno, tra vascelli, navi d’altura e pescecani di varia dimensione, è pronto a scendere in acqua. Prendiamo lo smisurato arcipelago dei fornitori (si va dai 450 euro per la celebre velina Elisabetta Canalis a mega istituti di credito, passando per piccole e medie aziende di mezza Italia, Campania abbondantemente compresa, dall’Irpinia fino ad Ischia), un mare in miliardi di euro, popolato sia dai cosiddetti “creditori privilegiati” che da quelli “chirografari”: tutti devono avere dei soldi, in concreto, ma c’è una scala di priorità, e su questa base i giudici del tribunale stilano una sorta di graduatoria. Che per i solo fornitori di Parmalat è di circa un centinaio di pagine.

«Senza contare - aggiungono gli esperti - i fornitori delle altre sei società controllate che rientrano a pieno titolo nella procedura concorsuale, a partire da Eurolat, l’ex municipalizzata del latte di Roma acquistata da Sergio Cragnotti e passata a Tanzi ad un prezzo stratosferico, imposto dall’onnipresente Geronzi (il quale si premurò subito di girare la somma nelle casse di Capitalia per turare le falle dell’ex patron della Lazio). E’ uno degli attuali capi d’accusa per Geronzi; l’altro riguarda un’operazione simile, questa volta per mettere una pezza a colori sulla sforacchiata azienda di acque minerali di Giuseppe Ciarrapico ( la Acque Ciappazzi ), altro patron calcistico, questa volta della Roma, e cliente eccellente dell’ex Banca di Roma.

Torniamo ai fornitori e ai loro… corteggiatori. Ora comincia l’asta e, per favore, occhio alle cifre e alle date. 3 febbraio 2005. Dagli uffici di Madison Avenue, a New York, della PrimeShares (per esteso, PrimeShares World Markets Group) parte una raffica di offerte ai fornitori del gruppo Parmalat, sollecitati a “vendere” i loro crediti per una cifra che subito fa rizzare le orecchie: 70 per cento. «Cifra alta, molto alta - commentano alcuni analisti finanziari - addirittura per crediti chirografari, quando nelle consuete prassi non si va mai oltre il 30 per cento. Certo, la procedura concorsuale si stava sviluppando ma la cifra appare del tutto spropositata». PrimeShares è a sua volta affiliato ad un altro gruppo, VonWin, per esteso VonWinAsset Management LLC, specializzati entrambi negli investimenti ad “alto rischio”. E quello su Parmalat, evidentemente, era ad altissimo rischio...

DAL SANNIO A LONDRA 
Passano meno di cento giorni, siamo a metà maggio, quando dall’elegante sede londinese del gruppo Advicorp - corazzata nel settore dell’acquisto di crediti difficili - parte un’altra sfilza di offerte, sempre indirizzate ai fornitori della galassia Parmalat. «Advicorp è disposta a pagare l’82 per cento del valore nominale del suo credito commerciale chirografario. La nostra offerta non è in azioni, come indicato dal piano di riparto dell’amministratore, ma in cash e il pagamento verrà effettuato in una tempistica alquanto rapida»: così efficacemente preannuncia la missiva. Per concretizzare l’operazione basta poco, ovvero sottoscrivere «la documentazione di cessione di credito pro-soluto che normalmente utilizziamo», e che Advicorp ha già usato in analoghe circostanze, come Cirio e Del Monte. A siglare l’offerta il numero due della società, Marco Massimiliano Elser, e Celestino Amore, che dal Sannio ha spiccato il volo verso i business londinesi. L’estate comincia a farsi bollente. La vista forse si annebbia, soprattutto per chi ha crediti “incagliati”. E i miraggi possono trovarsi dietro l’angolo. Per questo pare degna del miglior Totò alle prese con la vendita della fontana di Trevi l’offerta che a luglio parte da Cipro (Nicosia, 25 Aprhodites Street) verso i soliti, sbigottiti fornitori Parmalat: una misteriosa Sprand Limited arriva a varcare - udite udite - la soglia del cento per cento, offrendo addirittura il 105 per cento.

 Mai porre limiti alla provvidenza. Ad ottobre si fa viva l’ennesima sigla, questa volta italiana doc, la bolognese Fast Finance, nelle sembianze del Babbo Natale Bistefani doc. Arriva ad offrire, per la solita operazione, il 140 per cento. Sono ben chiari, nella loro “proposta di acquisto”, i titolari di Fast Finance: «come preannunciato, a seguito dell’approvazione della proposta di concordato avvenuta sabato 1 ottobre - scrivono - tutti i crediti nei confronti del Gruppo Parmalat sottomessi al concordato sono stati convertiti in azioni della Nuova Parmalat che vi saranno accreditati nei prossimi giorni». Prosegue poi la missiva: «E’ sempre nostra intenzione procedere all’acquisto della vostra posizione, tuttavia a causa dell’impossibilità tecnica di procedere all’acquisto del vostro credito (in quanto il credito è stato convertito in azioni) vi proponiamo la firma di un contratto che preveda….». Che prevede il 140 per cento e passa dello stesso credito !

ADUSBEF ALL’ATTACCO 
Misteri & interrogativi, su svariati fronti, si moltiplicano. Quanti fornitori (ovviamente banche escluse) hanno venduto i loro crediti alle quattro fameliche società che nel giro di pochi mesi si sono fatte vive con offerte stratosferiche, dal 70 fino al 140 per cento? Quanti hanno ceduto alla prima, oppure alla seconda, terza o quarta sigla (soprattutto se i creditori-fornitori avevano problemi di liquidità)? Quali enormi plusvalenze hanno poi ottenuto le 4 sorelle, visto che alla fine di tutto il titolo è sbarcato sul mercato ad un valore triplo rispetto a quello in origine previsto? Ci sono dei “burattinai” alle spalle di questa incredibile operazione? «Tutto è stato studiato accuratamente a tavolino - osservano alcuni analisti - fin dal varo della legge Marzano dopo il crac, una sorta di Prodi bis per i salvataggi dei grandi gruppi. Al solito, quando fallisce una società di non colossali dimensioni, come è capitato tante volte, nessuno se ne frega, hai voglia a parlare di legge sulla tutela dei risparmiatori». E i risparmiatori, comunque, gli obbligazionisti che avevano puntato sul titolo Parmalat ci stanno rimettendo, E parecchio.

Secondo le valutazioni dell’Adusbef - la battagliera associazione che tutela i cittadini nei confronti di banche, assicurazioni & C, presieduta da Elio Lannutti, candidato dei Verdi alle prossime politiche - «ai risparmiatori è stata restituita una percentuale media tra il 12 e il 18 per cento del capitale investito»: si tratta di un esercito composto da ben 135 mila cittadini. Può essere molto istruttivo, a questo punto, seguire una mini cronistoria redatta proprio dall’Adusbef a fine 2005. 
Ecco cosa denunciano, senza peli sulla lingua, a partire dalla sbarco delle azioni Nuova Parmalat di maggio 2005: «appena arrivata in borsa l’azione, questa aveva un prezzo esorbitante, rispetto a quello fissato dalla quotazione, grazie all’accompagnamento di notizie circa ipotetiche OPA convenienti sull’azienda. Si ipotizzano quindi una serie di speculazioni di mercato tali da influenzare enormi somme di danaro». E ancora: «Laddove si dimostrasse che grandi investitoti cosiddetti “istituzionali” hanno posto in essere speculazioni atte a manipolare il mercato sfruttando informazioni riservate, certo si concretizzerebbe quella tipologia di illeciti rientranti nella fattispecie dell’insider trading». Per concludere, in modo esplicito: «proprio in relazione a tale rischio di speculazioni da parte di alcuni soggetti a danno dei tanti risparmiatori gabbati dalla vicenda Parmalat, Adoc, Adusbef, Codacons e Federconsumatori hanno presentato un esposto alla Consob chiedendo l’apertura di un’indagine volta ad accertare i soggetti attivi delle transazioni finanziarie che hanno avuto ad oggetto il titolo Parmalat nel periodo immediatamente antecedente ed in quello successivo alla data dell’immissione dello stesso nel mercato finanziario». Tempesta in arrivo sulle 4 sorelle pigliatutto?

LA GIUNGLA DEGLI ADVISOR 
Carnevale, tempo di scherzi. Ma non troppo. L’advisor banking - il gergo è ormai sempre meno a misura di cliente - Advicorp a metà febbraio 2006 comunica di aver smobilizzato il 90 per cento delle azioni Parmalat che aveva in portafoglio, per un totale di «diversi milioni di euro». Ovvero, il bottino rastrellato presso i creditori del gruppo di Collecchio, per la serie made in Woody Allen “prendi i soldi e scappa”. Excusatio non petita, il plenipotenziario capitolino di Advi, Marco Massimiliano Elser, osserva che «il mercato non ha avuto adeguati ragguagli sui tempi», aggiungendo di «aver venduto tutte le obbligazioni quando Parmalat ha pubblicato le sue cessioni perché l’azienda aveva precedentemente promesso di non cedere più debiti». Parole sibilline. Pronunciate soprattutto da chi ha messo a segno un colpo miliardario, rastrellando da fornitori & c. di Parmalat e delle sue consorelle crediti a molti, moltissimi zeri.

E allora vediamo, in concreto, chi sono due fra i primattori del “rastrellamento”, ossia Advi e Fast Finance. Nasce una decina d’anni fa Advicorp, e a fondarla, nel 1997, è Andrea Giorgio Mandel Mantello, nato a Roma, residenza a Londra e cittadino austriaco. Adeguato il curriculum, degno d’un papiro egizio: che racconta di una proficua esperienza, tra il 2000 e il 2001, come advisor di una grossa compagnia statunitense in Israele. Ma prima di fondare Advi - viene precisato nel suo pedigree - mr. Mantello ha lavorato per nove anni alla SBC Warburg (fino a diventare il responsabile della SBC Sim Italia spa), più nota come UBS, ovvero il gruppo svizzero tra i più potenti al mondo, depositario di molti, inconfessabili segreti (e anche in quella sua esperienza era incaricato di seguire i business targati Israele). Non è finita, perché Mantello ha poi lavorato per due anni alla londinese Chemical Bank International ltd per poi passare alla nostra Banca Nazionale dell’Agricoltura, finita nell’orbita di Capitalia. Il numero due del gruppo, Elser, dal canto suo è originario di Roma (risulta residente in via Sistina) ma ancora cittadino Usa. Fratelli-gemelli, i due protagonisti di Advi, nati a una settimana di distanza: quella di fine settembre 1958. I casi della vita.

UBS & STANLEY Secondo le prime ricostruzioni dei magistrati che indagano sull’affaire Parmalat, UBS e Morgan Stanley - la star Usa nel settore finanziario - hanno fatto di tutto e di più per coprire quella colossale voragine: per la precisione, 720 milioni di euro in obbligazioni, fino a sei mesi prima del crac ufficiale. «Morgan Stanley - osservano in ambienti giudiziari - ha aiutato Parmalat a vendere titoli collegati per 300 milioni di euro». Ha fatto ancora di più UBS, che - secondo altre notizie riportate da Bloomberg - «avvertì i vertici della Parmalat che era possibile nascondere al mercato il costo della emissione di 420 milioni di euro in bond ritardandone la dichiarazione». Secondo uno dei magistrati inquirenti, Stefania Chiaruttini, «se le vere condizioni per la vendita delle obbligazioni fossero state comunicate al mercato, ciò avrebbe causato un serio contraccolpo nel prezzo di vendita degli altri bonds».

Dal pm milanese Francesco Greco, poi, è partita la precisa accusa, a carico dell’UBS, di aver cercato di «manipolare i prezzi del mercato circa le garanzie Parmalat». Passiamo alla quarta sigla che ha cercato di acquistare i crediti Parmalat addirittura al 140 per cento. Ovvero Fast Finance. Il cui azionariato, pari a 1 milione e passa di euro, è tutto da scoprire. Vediamolo. In prima fila alcuni palazzinari bolognesi, la famiglia Di Stefano (Alvise e Jacopo), a bordo delle srl Nadus e Opera Immobiliare; il cesenate Lamberto Tavoli, in sella alla sua Montecristo (ovviamente immobiliare); Finross, spa che vede nel suo multiforme parterre societario, oltre ai fratelli Rossetti, anche la supergettonata Tamburi Investiments Partenrs spa. Nell’azionariato di Fast Finance fanno anche capolino la fiduciaria Sofir e la controllata Blu Opportunità.

Non è certo finita qui: perché la vasta platea azionaria conta su altre due sigle eccellenti, che - guarda caso - ci portano in Campania. La Gallo e C. spa, super consulente del gruppo Ambrosio, un tempo leader nel grano che ha portato alla voragine del Banco di Napoli poi finito in crac, svenduto alla Banca Nazionale del Lavoro per 60 miliardi di vecchie lire (neanche il prezzo di un Adriano qualunque, il centravanti dell’Inter) e poi “rivenduto” per quasi cento volte tanto all’Imi-San Paolo, tanto per coprire qualche buco made in Atlanta (non quella di Bergamo…). Ed Em.ro., cioè la cassaforte delle Popolari emilian-romagnole, nel cui azionariato fanno capolino svariate banche del centro sud: quelle di Sardegna, del Materano, di Foggia, dell’Aquila, di Crotone, di Lanciano e Sulmona, di Ravenna, per finire in gloria con la Banca della Campania.

DALL’IRPINIA A MANAGUA 
Una storia da raccontare, quella di Banca della Campania, che la Voce ha cominciato a ricostruire alcuni mesi fa. Nata dalla fusione delle Popolari dell’Irpinia (super sponsorizzata negli anni ’80 e ‘90 dai redivivi Ciriaco De Mita e Nicola Mancino) e di Salerno, è finita a sua volta sotto l’ombrello della BPER, ovvero la Banca Popolare dell’Emilia e Romagna. 
Cosa hanno fatto poi i suoi vertici? Un’operazione in perfetto stile Parmalat. Per non dire di più. «Hanno venduto sul mercato strane obbligazioni - racconta un imprenditore irpino - tutto il gruppo ha cartolarizzato crediti per oltre 10 mila miliardi di vecchie lire. Crediti contestati per almeno la metà, quindi difficilmente esigibili». Fatto sta che Bper ha ceduto i “presunti” crediti ad una sua creatura, Mutina, passando per strane “operazioni” presso notai londinesi. E chi le ha comperate, quelle obbligazioni, ora che fine farà? Staremo a vedere…

Intanto, un altro, ennesimo mistero, non è stato ancora chiarito: ma il tesoro di Tanzi dove è finito? Lo 007 Bondi sta rastrellando crediti a destra e a manca; il malloppo, però, pare ancora al rifugio in paradisi esteri. Ricordate il viaggio-premio natalizio di Tanzi nelle Americhe al primissimo scoppiar del crac? Quel viaggio, ancora oggi, non è stato decifrato. Almeno un paio le mete. Una forse per depistare, l’altra con ogni probabilità per “collocare” la cassaforte. Dopo una prima sosta, “culturale”, “per girar musei” a Madrid - come spiegò subito Tanzi - via alla volta dell’oceano. Tappa in Ecuador, scalo a Quito. Per ritrovare vecchi amici e visitare scavi e archeologie. Ma il “vuoto temporale” è un po’ troppo ampio. Tre mesi dopo, alla redazione della Voce arrivò un’informativa zeppa di dati, luoghi, nomi e circostanze. La tappa vera, quella per incontrare le persone giuste, sarebbe stata Managua, capitale del Nicaragua, dove esisteva una forte Parmalat Nicaragua, una delle svariate consorelle sparse al caldo dei tropici. Lì - veniva assicurato - c’era lo scrigno proveniente da Collecchio.

Qualcuno ha fatto qualcosa per trovarlo?