Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Voi non ve ne andreste?

Voi non ve ne andreste?

di Stefano Bocconetti - 02/11/2009

 
 
Voi non ve ne andreste? Senza considerare la "boa luminosa", ovviamente. Che da sola sarebbe una ragione più che sufficiente per alzare i tacchi, e il più velocemente possibile. Ma, comunque: voi non ve ne andreste se il lunedì mattina quando - con un giornale sportivo sotto il braccio - andando al vostro bar dello sport, scopriste che la vostra voglia di fare quelle quattro chiacchiere viene condizionata da regole assurde? Per capire, e senza altre domande. E' come se, sempre quel lunedì mattina - quando magari la vostra squadra del cuore ha vinto, cosa che a chi scrive è un po' di tempo che non capita - arrivaste fra i tavolini del vostro solito bar. Tranquilli, come sempre. Solo che qualcuno a quel punto vi dice: puoi sederti a patto però che rispetti alcune "leggi". Scritte e inventate dal proprietario del locale. Certo, puoi parlare con chiunque. Ma solo se questo "chiunque" è seduto in un altro tavolino di questo bar. Con gli altri non puoi. Insomma, continuando l'esempio, in piazza passa Mario - e non ha voglia e tempo di sedersi - ma con lui non solo non ci puoi scambiare neanche un commento veloce sulla partita, ma - peggio - Mario non può sapere neanche che sei seduto a quel tavolino. E' come se ci fosse uno schermo, che vi rende invisibili. Naturalmente, i proprietari del locale fanno di tutto per rendere l'atmosfera più simpatica e invitante: vi regalano giochi, vi fanno vedere foto e - siccome tutti sono un po' esibizionisti - se sono le vostre, è anche meglio. Vi regalano qualche partita alle slot-machine. In cambio, però, dovete firmare un patto: dove non avete più diritto a tenere un segreto, dove non avete più neanche diritto ad essere dimenticati. Ditemi voi: ha qualcosa a che fare tutto ciò con la socialità? E una volta che avete scoperto tutto questo, non stareste alla larga il più possibile da quel bar?

Ovviamente, quel locale è virtuale ma ha un nome che ormai è sulla bocca di tutti: Facebook. Qualcuno si ostina ancora a chiamarlo social network, come se fosse una sorta di spazio sociale, di bar, o piazza. Quando, invece, con i suoi quasi duecento milioni di utenti - e con i suoi profitti da capogiro - è semplicemente la quinta potenza del G8. Da cui bisogna scappare al più presto. Perché la metafora di quel "bar dello sport" racconta benissimo cosa avviene dentro Facebook. Lì, la socialità è limitata: solo agli altri adepti del club. E di qualunque cosa discutiate, di qualunque cosa vi occupiate, le vostre parole e i vostri pensieri resteranno sempre e solo lì. Da "fuori" nessuno può vedervi. Sì, perché Facebook è "oscurato" su Internet. Google, per dirne una, non è in grado di "recensire" nessuna delle pagine dei vostri blog. Provare per credere.

Non basta? E allora parliamo della violazione al diritto ad essere dimenticati. A sparire. Su Facebook semplicemente non esiste. Perché - è stato accertato e Facebook è stata costretta ad ammettere - nessun iscritto può cancellare tutte le tracce di sè. Voi vi fate un account, insomma, una password ed entrate a chattare lì dentro. Poi, scoprite che è solo una moda, e decidete di andarvene. Cancellate la vostra password e il vostro identificativo. Pensate di sparire, ma non è così. I database di Facebook continueranno a conservare i vostri dati. Per sempre. Cosa avete detto, fatto, visto, cosa vi piace.

Già, ma a che servono quei dati? E si viene alla "boa luminosa", al faro. Che da sola dovrebbe tenere tutti alla larga da quei posti. "Beacon" era appunto un sistema inventato dai proprietari del cosiddetto social network per far soldi. Loro, i titolari di Facebook diciamo, inviavano i vostri dati - e quelli degli amici che vi contattavano - a ditte specializzate. Dati che valgono oro: per chi vende qualcosa, qualsiasi cosa, conoscere i vostri gusti e quelli di centinaia di vostri amici è una miniera inesauribile. E' il business del nuovo millennio. Quando s'è saputo dell'esistenza di "Beacon" qualcuno fra gli avventori del bar dello sport ha avuto la forza di ribellarsi. Esistono - ancora - leggi, norme a tutela della privacy, esistono regole ovunque nel mondo che impongono almeno l'accettazione del singolo per la trattazione dei propri dati riservati. Così "il faro" è stato disattivato. Ma i dati, anche di chi a quel punto se n'è andato, sono ancora lì. In mano a Facebook.

Ecco perché quel "posto" va boicottato, va evitato. Perchè è la fine della socialità. Anche delle nuove forme di socialità in rete. Ne è la negazione. E se non vi basta, o non siete interessati, c'è un'ultima ragione. Molto più semplice, "terra terra", diciamo: prima, prima di Facebook, una persona normale, come chi scrive, doveva spedire dieci/quindici "auguri" di compleanno all'anno. Ora, con le "bacheche" virtuali ne devi mandare almeno 500/1000. Ne vale la pena? Vale la pena continuare a discutere lì, dove ormai il dibattito si fa solo digitando i link, gli indirizzi che rimandano ad altre pagine Web, cioè a commenti fatti da altre persone? E vale la pena sapendo che qualcuno pensa di arricchirsi sulla vostra voglia di parlare?