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notizie dal mondo 15-31 marzo 2006

di rivistaindipendenza.org - 05/04/2006

Fonte: rivistaindipendenza.org

 
Dal blocco allegato "Notizie dal mondo": 
 
a) America Latina stavolta in prima posizione. Due gli assi da seguire, tra loro intrecciati come da lettura delle notiziole al riguardo. Primo asse: i Trattati di Libero Commercio con cui Washington mira a legare a sé, bilateralmente, i paesi che lo sottoscrivono. Secondo asse: la sempre interessante realtà venezuelana che mostra come si possa contrastare l’imperialismo muovendosi come uno Stato che abbia una sovranità ed indipendenza effettive congiunte ad un orizzonte anti-imperialista e di progressivo radicalismo sociale di liberazione. Si tratta di un modo tra i possibili. Nella variabilità e, beninteso, parzialità di situazioni sono annoverabili l’Iran e di fatto, a suo modo, la resistenza irachena che ha per ora impantanato l’aggressività planetaria statunitense. Nello specifico, quindi: Colombia (15, 26, 31), Uruguay / Venezuela (15), Nicaragua (16, 22), Guatemala (16), Bolivia (16, 17, 21, 22), Salvador (17, 25), Perù (21, 23), Venezuela / Nicaragua (22), Salvador / Venezuela (22), Argentina (22), Ecuador (23), Venezuela (24, 26, 31).

b) Una raffica di notiziole su Euskal Herria (17, 20, 23, 24, 26, 30), alla luce anche della significativa decisione di ETA di tregua permanente. Il laboratorio basco resta esemplare innanzitutto perché mostra l’incidenza di una lotta politica nazionalitaria a tutto campo che sa condizionare il quadro politico anche istituzionale, pur nelle difficilissime condizioni di agibilità politica imposte dalla democrazia spagnola ai fautori del diritto di autodeterminazione del popolo basco. Non si può, insomma, prescindere dagli indipendentisti, anche se li illegalizzi e li incarceri. In secondo luogo –ricordiamolo– per la prospettiva di società anticapitalista che contraddistingue il pluriverso di forze sociali e culturali che si riconoscono nel movimento di liberazione basco. Conoscerne la storia e seguirne le lotte è assolutamente consigliabile.

c) Da seguire (sempre) anche l’area mediorientale: Palestina (16, 18, 20, 23, 28, 29, 30) e Israele (21, 30), senza perdere di vista Iraq e Iran (cfr. sotto). Superfluo spiegare perché.

 
Le notiziole di seguito segnalate hanno solo l’indicazione della data, ma non per questo sono meno rilevanti (leggere per credere –tanto per cominciare, appunto– la prima).
 
Unione Europea / Iran: 31 marzo.
USA. 17 marzo.
USA / Russia. 17, 21 marzo.
Russia. 27 marzo.
Russia / Cina: 23 marzo.
Afghanistan. 23 marzo.
Iran: 23 marzo.
Russia / Bielorussia. 24, 31 marzo.
Serbia-Montenegro. 27 marzo.
Iraq: 27, 30 marzo.
Catalogna: 19, 30 marzo.
 
 
Pace e bene.


Colombia. 15 marzo. Il voto arride a Uribe. I partiti che sostengono il presidente Alvaro Uribe hanno vinto le elezioni parlamentari di domenica scorsa, con 69 seggi (su 102) al Senato. Bassa l’affluenza alle urne (40%). La senatrice del Partito Liberale, Piedad Cordoba, ha definito «preoccupante» il risultato delle consultazioni per la presenza nel Parlamento di «una chiara rappresentanza del paramilitarismo». Il riferimento è, appunto, alla compagine che sostiene Uribe. Il nuovo periodo legislativo, che inizierà il 20 luglio, dovrà affrontare gli effetti della firma del Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, che Uribe ha accettato, nonostante danneggi gli interessi nazionali. Dall’anno prossimo, ad esempio, la soia colombiana dovrà fronteggiare la concorrenza del prodotto statunitense, che, oltre a ricevere sussidi da parte del suo governo, non pagherà dazi grazie al TLC appena sottoscritto tra Washington e Bogotà.

Uruguay / Venezuela. 15 marzo. Niente TLC con gli USA. Non è interesse dell’Uruguay sottoscrivere un Trattato di Libero Commercio (TLC) con gli Stati Uniti. Parola del presidente Tabaré Vázquez, in visita a Caracas. Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente Chávez. Secondo Tabaré Vázquez, il TLC è fonte di rapporti non equilibrati tra le parti. Anche Hugo Chávez ha respinto l’ipotesi di TLC, che «favorisce un solo paese» e ha condannato l’accordo raggiunto invece tra Bogotà e Washington.

Bielorussia. 16 marzo. Stepan Sukhorenko, capo dei servizi di sicurezza bielorussi (KGB, lo stesso nome dei tempi dell’URSS), ha denunciato che nelle loro «azioni illegali» l’opposizione anti-Lukashenko è aiutata da «funzionari delle ambasciate di Georgia, Lituania ed Ucraina». Il KGB «ha aperto il 15 marzo un’inchiesta penale su un progettato atto terroristico (…) Tutte le persone coinvolte in queste azioni saranno arrestate e processate in Bielorussia, indipendentemente dalla posizione che detengono nei loro Paesi», ha Sukhorenko. Secondo il capo del KGB, l’opposizione ha ordito questo scenario: la sera del 19 marzo, subito dopo la chiusura dei seggi, annuncerà di aver vinto in base ad un «falso sondaggio dell’istituto demoscopico Gallup» con l’obiettivo di attirare più gente possibile in piazza a Minsk per protestare contro i «brogli» a favore di Lukashenko. A quel punto scoppieranno alcune bombe tra la gente. «La vista del sangue e delle vittime», ha sostenuto Sukhorenko, «aprirà la strada agli organizzatori della protesta che daranno il via all’occupazione degli edifici ufficiali e delle stazioni, al blocco delle ferrovie e dello Stato». Per questo, ha aggiunto, saranno passibili di ergastolo o di condanna a morte quanti, in risposta all’appello delle opposizioni, scenderanno in piazza a Minsk la sera del 19 marzo per protestare contro l’esito del voto. «Queste azioni saranno considerate come atti terroristici», ha detto Sukhorenko citando un articolo del codice che prevede appunto il carcere a vita o la pena capitale per questo reato.

Bielorussia. 16 marzo. Alta affluenza alle urne in Bielorussia, dove Aleksander Lukashenko si avvia alla terza riconferma. Secondo Lidia Eremoshina, presidente della Commissione elettorale centrale, alle 14 ora locale (le 12 in Italia) aveva votato oltre il 70% dei circa sette milioni di elettori aventi diritto. Subito dopo aver votato nel suo seggio a Minsk, Lukashenhko, definito in precedenza dal segretario di Stato USA Condoleezza Rice uno degli «avamposti della tirannia», così replicava alle accuse di Washington di aver incassato centinaia di milioni di dollari vendendo armi ai “terroristi”: «Bush è il terrorista numero uno sul nostro pianeta». Dopo aver definito «matematicamente infondato» il rapporto consegnato al Congresso USA e contenenti quelle accuse, il presidente bielorusso ha denunciato come Bush «possa contare tra i suoi profitti anche quelli derivanti dal petrolio e dalla guerra», e rivolto ai giornalisti ha aggiunto: «Chiedo pubblicamente a voi di dire a Bush da parte mia che può tenersi tutto il mio denaro che sostiene di aver rintracciato in conti segreti». Quanto alle minacce USA di sanzioni, Lukashenko ha ironizzato: «Stanno cercando di spaventarci da nove anni e siamo ancora qui». Intanto, il responsabile degli osservatori russi, Vladimir Rushailo, ha detto che le elezioni presidenziali sono state «conformi alle leggi interne e all’altezza degli standard internazionali».

Palestina. 16 marzo. Ebrei antisionisti in visita al Parlamento palestinese. 14 rabbini appartenenti al movimento Neturei Karta, che alcuni mesi fa aveva spedito una lettera di solidarietà al presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, hanno ricevuto una calorosa accoglienza dal movimento palestinese di Hamas. Alla testa di questa delegazione, il rabbino Moshe Hirsh, un «ebreo palestinese» in passato consigliere di Yasser Arafat sulle questioni ebraiche. «Noi siamo dei veri ebrei che oggi sono venuti al Consiglio legislativo palestinese per proclamare il nostro appoggio nei confronti di Hamas », ha dichiarato il portavoce del movimento che considera il sionismo contrario alla legge talmudica.

Palestina. 16 marzo. Indignazione e sciopero generale nei Territori Occupati contro l’assalto militare israeliano di Gerico. Scuole, negozi, edifici pubblici chiusi in segno di protesta per l’operazione israeliana che ha mirato al sequestro dell’esponente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e neodeputato Ahmed Saadat, oltre all’assassinio di due palestinesi, a numerosi feriti ed al sequestro di decine di prigionieri. Un assalto realizzato con il beneplacito di Stati Uniti e Gran Bretagna. Una conferma in tal senso è venuta direttamente dal primo ministro israeliano in funzione, Ehud Olmert, cha ha parlato di «sostegno totale» dei due Stati. L’azione rappresenta un attacco alla credibilità del presidente Abu Mazen, l’uomo che gli occidentali «appoggiano» per frenare Hamas, e l’ennesima violazione degli accordi firmati da Israele nel 2002 con l’Autorità Nazionale Palestinese. Questi accordi prevedevano di lasciare sotto custodia di guardiani britannici e statunitensi la sicurezza del carcere assaltato e distrutto di Gerico.

Palestina. 16 marzo. L’assalto israeliano al carcere di Gerico e la sua stessa distruzione sono «terrorismo di Stato». Lo ha detto l’Organizzazione della Conferenza Islamica. Secondo Wissam Rafidi, professore di 46 anni dell’Università di Bit Zeit, a Ramallah, e membro del comitato centrale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), «l’operazione israeliana debilita tutti gli accordi raggiunti con Israele e rafforza la posizione politica di Hamas di non riconoscere gi accordi firmati tra Israele e l’ANP». Lo stesso Saeb Erakat, principale negoziatore palestinese, ha ammesso l’«impatto devastastante sullo status dell’ANP» della vicenda. Erakat ha inoltre rilevato che il «messaggio» di Tel Aviv ratifica ai palestinesi che gli israeliani «pensano di andare avanti con i loro piani unilaterali». In interviste tra la gente effettuate da France Press, emerge che il sequestro di Saadat porterà solo più violenza e che «bisogna continuare con la resistenza». La Commissione Europea, dal canto suo, con piroette verbali, ha chiesto alle parti di «contenersi», ponendo sullo stesso piano aggressori ed aggrediti. Ha così mostrato ancora una volta la sua subalternità all’alleato principale degli Stati Uniti nella regione, Israele appunto.

Palestina. 16 marzo. Quella di Gerico era una prigione «atipica». I carcerieri erano funzionari dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), ma nelle torri e posti di vigilanza erano appostati permanentemente soldati (non «osservatori») britannici e statunitensi, che «sorvegliavano» la prigione, in virtù degli accordi tra ANP e Israele, USA, Gran Bretagna. I militari, armati fino ai denti, si sono ritirati 15 minuti prima che l’esercito israeliano mettesse il carcere a ferro e fuoco, senza proteggere l’integrità e la vita degli oltre 200 palestinesi prigionieri che stavano «vigilando». Tra gli incarcerati alcuni dei più qualificati dirigenti della sinistra palestinese. Tra questi Ahmed Saadat, che Israele accusa di essere tra i massimi responsabili della morte di Rehavam Zeevi, ministro del Turismo, celebre per la sua ideologia di espulsione massiccia di tutta la popolazione palestinese al fine di creare “Eretz Israel” (la “Grande Israele”). L’attentato, rivendicato dal braccio armato del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), costituì una risposta all’assassinio, il mese prima, del precedente segretario generale del FPLP, Abu Ali Mustafa, da parte dell’esercito israeliano. È stato uno dei più duri colpi armati che Israele abbia ricevuto nella sua storia. L’Alto Tribunale di Giustizia di Palestina aveva ordinato la scarcerazione di Saadat non esistendo prove a suo carico. Con le elezioni del 25 gennaio era divenuto membro del nuovo Parlamento palestinese. Ahmed Saadat anche recentemente aveva ribadito la posizione del FPLP sul conflitto: «la sola soluzione definitiva è la creazione di un unico Stato democratico in tutta la Palestina storica (Gaza, Cisgiordania e quello che è oggi lo Stato d’Israele), in cui tutta la cittadinanza abbia garantiti uguali diritti civili e politici. Questo indipendentemente dalla tendenza religiosa di ciascun individuo, nel caso sia credente. Questo è un progetto di pace, non di guerra».

USA / Iran. / Iraq. 16 marzo. L’Iran «accetta di negoziare con gli americani» per risolvere i problemi in Iraq. Così il segretario del Consiglio supremo della sicurezza. «L’Iran», ha dichiarato Ali Larijani alla stampa dopo un intervento in Parlamento, «accetta la richiesta del nostro fratello (il capo del principale partito sciita iracheno Abdul Aziz Hakim, ndr) per risolvere i problemi e le questioni irachene allo scopo di creare un governo indipendente».

Nicaragua. 16 marzo. Esponente sandinista denuncia ingerenze USA in Nicaragua. Daniel Ortega, segretario generale del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) ed ex presidente nicaraguense (1985-1990), ha denunciato oggi che l’amministrazione statunitense si sta impegnando a fondo per condizionare le elezioni nicaraguensi del 5 novembre prossimo ed impedire il trionfo del suo partito. In conferenza stampa Ortega ha detto che questo obiettivo è stato chiaramente indicato dal capo della Sicurezza USA, John Negroponte, che «si stanno muovendo formidabili interessi che favoriscono il capitale e la politica interventista» di Washington, ed ha indicato come esempio la recente visita in Nicaragua dell’ex presidente salvadoregno Armando Calderón Sol. Questi, con il beneplacito di Washington, si è incontrato con Arnoldo Alemán e Eduardo Montealegre per propiziare l’unità delle forze di destra. L’ex presidente Alemán, nonostante sconti agli arresti domiciliari una condanna a 20 anni di carcere per corruzione, guida ancora il Partito Liberale Costituzionalista, mentre il dissidente liberale Montealegre è notoriamente il candidato degli Stati Uniti. Calderón Sol ha promesso finanziamenti del capitale salvadoregno per la destra nicaraguense.

Nicaragua. 16 marzo. FSLN s’impegna con settori sociali del paese. È quanto scaturito dall’Assemblea Sandinista Nazionale tenuta ieri sera a Managua. Gli oltre 300 delegati hanno espresso appoggio ai lavoratori della sanità –in sciopero da circa quattro mesi- e a quelli dei trasporti. In uno dei documenti, il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) si è impegnato a sviluppare, in un futuro governo sandinista, un sistema di sanità gratuito, di qualità e che garantisca l’accesso alle medicine a tutti i nicaraguensi poveri. Respinte all’unanimità «le reiterate e costanti dichiarazioni d’ingerenza» dell’amministrazione USA. Ribadita l’opposizione al Trattato di Libero Commercio tra Stati Uniti e Centroamerica, il FSLN chiede l’approvazione di leggi che proteggano la popolazione dagli effetti nocivi dell’accordo. Chiesti, tra l’altro, la creazione di una Banca di Stimolo alla Produzione, l’applicazione di imposte alle compagnie petrolifere, il salario minimo, una legislazione di Sicurezza ed Igiene Occupazionale, ed una Legge dell’Acqua e Biosicurezza, per proteggere i settori vulnerabili. I delegati hanno dato mandato ai 38 deputati del FSLN all’Assemblea Nazionale di opporsi all’amnistia per l’ex presidente e reo per corruzione Arnoldo Alemán. Il 17 e 18 maggio prossimo, congresso straordinario per ratificare programma e candidati di FLSN e suoi alleati in vista delle elezioni del 5 novembre. Ortega sarà il candidato alla presidenza della Repubblica.

Guatemala. 16 marzo. Pressioni USA sul Guatemala per il TLC. Washington continua a premere per la riforma di almeno 10 leggi prima dell’entrata in vigore del Trattato di Libero Commercio (TLC). Una negoziazione che esperti, come l’economista Pablo Rodas, intervistato da Prensa Latina, definiscono «umiliante nel contenuto e nella forma». Tra le leggi che Washington vuole che si modifichino c’è quella sulle Comunicazioni, sulla Contrattazione di Stato e sulla Proprietà Intellettuale. Su quest’ultima la Casa Bianca ha detto esplicitamente che intende proteggere i brevetti farmaceutici ed i diritti d’autore dell’industria musicale e cinematografica statunitense. Sarebbero così fuori legge sia le cure medicamentose da estratti d’erba locale, sia le piccole imprese che le producono, sia le famacie che le distribuissero. Le richieste in materia di telecomunicazioni hanno come fine l’ingresso nel paese delle compagnie telefoniche statunitensi. Nell’elenco di leggi di cui gli Stati Uniti esigono la modifica, ci sono anche il Codice di Commercio, la Legge di Controllo Generale dei Conti e quella sull’Ambiente. Il viceministro dell’Economia, Enrique Lacs, che guida la delegazione guatemalteca ai colloqui a Washington, ha detto che la Casa Bianca vuole, «addizionalmente», cambiare regolamenti specifici in determinate aree, come le importazioni di prodotti agricoli. Significativa l’affermazione di Lacs: «Sono riforme di leggi interne di adeguamento al negoziato. Il TLC è lo stesso per tutti i paesi centroamericani».

Bolivia. 16 marzo. Liberi ieri, su cauzione (40mila euro ognuno), due dirigenti dell’impresa Andina, filiale della multinazionale spagnola Repsol YPF. Sul direttore generale di Andina, lo spagnolo Julio Gavito, e sul suo direttore delle operazioni, l’argentino Pedro Sánchez, pesa l’accusa di contrabbando di greggio. Inizialmente i due si erano dati alla latitanza, dando una pessima immagine della multinazionale spagnola. Poi si sono consegnati e hanno rilasciato dichiarazioni che il procuratore ha detto di ritenere utili all’inchiesta e che porterà, nei prossimi giorni, all’audizione di altri rappresentanti della compagnia petrolifera. Al centro dell’inchiesta un presunto contrabbando di 230.400 barili di petrolio per un ammontare superiore ai 9,2 milioni di dollari. Il ministro boliviano, Juan Ramón Quintana, ha assicurato, ieri, che il governo del presidente Evo Morales non interferirà nell’inchiesta in corso.

Euskal Herria. 17 marzo. Grande-Marlaska emula Garzon: «Ha obbedito alle direttive di ETA» e così finisce in carcere anche Juan Mari Olano, portavoce nazionale dell’organizzazione Askatasuna, organismo che si occupa del collettivo delle prigioniere e dei prigionieri politici baschi.
Nello specifico il giudice Fernando Grande-Marlaska, basandosi su rapporti di polizia, accusa Olano di essere stato «induttore di 108 atti violenti» e «parte integrante» della giornata di sciopero e mobilitazione (9 marzo scorso, ndr), iniziativa «promossa dal fronte militare (ETA, ndr) e posteriormente assunta, diretta e coordinata dai fronti politico-istituzionale e ‘di massa’».

Euskal Herria. 17 marzo. Arrestato, ieri, anche Juan Jose Petrikorena, responsabile stampa di Batasuna. Il giudice Fernando Grande-Marlaska gli imputa «il reato di integrazione in organizzazione terrorista» e «l’induzione di disordini pubblici con fini terroristici», con riferimento alla giornata di sciopero del 9 marzo scorso indetta in segno di protesta per la morte in carcere dei due prigionieri politici Igor Angulo e Roberto Sainz. Su Pernando Barrena, portavoce nazionale di Batasuna, il magistrato ha fissato una cauzione di 200mila euro, da depositare entro una settimana. Analogo provvedimento per Rafa Díez, segretario generale del sindacato LAB: per lui la cauzione è di 100mila euro. Contro Arantza Zulueta, avvocatessa del collettivo delle prigioniere e dei prigionieri politici baschi, il giudice non ha adottato misure cautelari.
 
USA / Russia. 17 marzo. Involuzione nei rapporti USA-Russia? Parrebbe di sì, stando a due documenti di recente pubblicati negli Stati Uniti. Il primo, “Country Reports on Human Rights Practices 2005”, datato 8 marzo 2006, è stato redatto dall’Ufficio della democrazia, diritti umani e lavoro del Dipartimento di Stato; il secondo, datato marzo 2006, è un rapporto speciale scritto da una “task force” indipendente dell’US Council on Foreign Relations dal titolo “Russia’s wrong direction: what the United States can and should do”. Il documento del Dipartimento di Stato prende in esame 196 Stati; alla Russia è dedicata una sezione di circa 30 pagine in cui si evidenziano gli sviluppi in senso negativo nel campo dei diritti umani. L’attenzione è rivolta soprattutto alle riforme legislative, alla nomina diretta dei governatori delle regioni da parte del presidente, alle continue restrizioni ai media, alla corruzione e all’arbitrarietà nella applicazione della legge e alle provocazioni nei confronti delle Organizzazioni Non Governative. A questo sommario elenco di problemi segue una analisi dettagliata di situazioni specifiche, alcune di politica internazionale, come la situazione in Cecenia e più in generale nel Caucaso, altre legate a fattori interni quali i fenomeni di prevaricazione (nonnismo) nell’ambito delle forze armate.

USA / Russia. 17 marzo. Mosca ha reagito soprattutto al rapporto dell’US Council on Foreign Relations. Il 7 marzo la Pravda ha titolato: «Un’altra guerra fredda pronta a scoppiare tra Russia e USA quando Putin e Bush lasceranno». In sostanza, solo i buoni rapporti personali tra i due presidenti consentirebbero al momento di porre in secondo piano i motivi di disaccordo tra i due Paesi. Il rapporto esamina in dettaglio, oltre ai diritti umani già ampiamente trattati nel documento del Dipartimento di Stato, problemi molto vicini alla cronaca recente e quindi ancora suscettibili di sviluppi tanto da indurre a pensare che se ne faccia un uso strumentale. Emergono tra tutti l’attitudine della Russia a considerare le sue esportazioni di energia come strumento di pressione politica, il contrasto tra le due potenze per l’influenza che ciascuna intende esercitare nel Caucaso, la divergenza di vedute che si sta manifestando sulla lotta al “terrorismo”. Quest’ultima in particolare è messa in relazione alle pressioni esercitate da Mosca su Kirghizistan e Uzbekistan per la chiusura delle basi USA e alla mossa a sorpresa con cui Putin ha invitato in Russia i rappresentanti di Hamas, che per gli USA rimane un «gruppo terroristico» palestinese.

USA / Russia. 17 marzo. Sui rapporti tra NATO e Russia, gli autori del rapporto dell’US Council on Foreign Relations non lesinano raccomandazioni e avvertenze: «Nel lungo termine l’esistenza del Consiglio NATO-Russia deve essere giustificata in termini analoghi a quelli di una effettiva appartenenza all’Alleanza. […] Gli USA favoriscono –e devono continuare a favorire– l’inclusione della Russia. Ma la sua integrazione, per dare risultati veramente positivi, deve avere solide basi. A quindici anni dalla fine della Guerra Fredda le basi sono molto più deboli di quanto dovrebbero essere». Tra gli esponenti del gruppo che ha redatto il rapporto spiccano l’ex candidato repubblicano alla vice presidenza nel 1996 Jack Kemp e l’ex senatore democratico John Edwards. La Pravda ha citato entrambi per aver dichiarato che il G8 non sarebbe una organizzazione di durata infinita e «potrebbe facilmente tornare ad essere di nuovo Gruppo dei 7».

USA. 17 marzo. L’amministrazione USA è pronta, malgrado l’Iraq, a compiere attacchi «preventivi» contro altri paesi che ritiene una minaccia. Bush ribadisce la dottrina preventiva degli Stati Uniti ed indica nell’Iran il «nemico numero uno». Washington rilancia come fece con l’Iraq di Saddam Hussein e dice: Teheran «appoggia il terrorismo» e «manca di democrazia». La «nuova» strategia non risparmia critiche anche a Cina e Russia. Sono queste le principali conclusioni della Strategia di Sicurezza Nazionale che l’amministrazione Bush ha reso pubblica ieri. «Non scartiamo l’impiego della forza prima che si producano attacchi, anche se persiste incertezza sulla data ed il luogo dell’attacco del nemico», recita il testo. Il documento si articola in una panoramica iniziale, nove capitoli e una conclusione. I nove capitoli hanno la stessa struttura: un breve richiamo alla Nss (National Security Strategy) del 2002, un paragrafo sui successi ottenuti e le sfide da affrontare e un paragrafo sulla strada ancora da percorrere. Tra le basi della dottrina preventiva: l’infallibilità delle informazioni di intelligence per prevedere la «capacità e le intenzioni del nemico», con buona pace delle menzogne sulle inesistenti armi di distruzione di massa irachene. In visita in Australia, la segretaria di Stato USA, Condoleezza Rice, ha ribadito le sue accuse all’Iran («è la banca centrale del terrorismo») ed ha aggiunto che si tratta di «uno Stato problematico governato da un piccolo gruppo non eletto che reprime i desideri della popolazione». Il documento contiene critiche alla Cina sia pur avvolte in un linguaggio involuto (vi albergano «forme antiche di pensiero e di azione» nella sua ricerca di risorse energetiche) e alla Russia (c’è un «impegno decrescente in tema di libertà democratiche»). La Siria, infine, viene considerata «patrocinatrice del terrorismo».

Salvador. 17 marzo. Menjivar, del FMLN, è stata proclamata nuovo sindaco della capitale, San Salvador. La candidata del Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale (FMLN), Violeta Menjivar, 54 anni, medico ed ex guerrigliera, ha vinto di stretta misura (44 voti di vantaggio) il testa-a-testa con il partito governativo di destra ARENA. Il FMLN amministra la capitale per la quarta volta dal 1997. «Il trionfo elettorale di una donna in Salvador è un trionfo della lotta per la democrazia, nonostante l’inconsistenza del sistema elettorale del mio paese», ha dichiarato Menjivar. La sua vittoria è stata riconosciuta dal Tribunale Supremo Elettorale dopo una serrata battaglia con l’esponente di Arena, Rodrigo Samayoa. Quest’ultimo si era autoproclamato vincitore a scrutinio non ancora ultimato, spalleggiato dal presidente Saca. Dal giorno successivo al voto, grazie anche al tam-tam dell’emittente radiofonica Maya Vision (legata al FMLN), migliaia di militanti del FMLN avevano vegliato nella piazza principale di San Salvador denunciando irregolarità e brogli, rimanendovi finché il Tribunale Supremo Elettorale ha accertato la vittoria di Menjivar.

Salvador. 17 marzo. Il FMLN ha ottenuto 32 deputati alle elezioni dello scorso 12 marzo ed è divenuto il partito con il maggior numero di rappresentanti nel massimo organo legislativo di El Salvador. Un totale di 3,8 milioni di salvadoregni hanno eletto 84 deputati dell’Assemblea Legislativa e 262 sindaci, oltre ad una ventina di deputati per il Parlamento Centroamericano (Parlacen).

Salvador. 17 marzo. Lo scorso 1° marzo è entrato in vigore il Trattato di Libero Commercio tra Salvador e Stati Uniti. Menjivar, neosindaca di San Salvador, ha detto che la sua amministrazione respingerà il trattato e non scarta «la possibilità di cercare accordi con istituzioni di paesi amici, come Venezuela, Bolivia, Argentina e Brasile». Ha espresso apprezzamento, infine, per l’Alternativa Bolivariana portata avanti dal governo del Venezuela.

Bolivia. 17 marzo. TCP, non TLC. «Non negozieremo mai un Trattato di Libero Commercio (TLC, ndr) con gli Stati Uniti». È quanto ha dichiarato il presidente Evo Morales, che ha proposto come alternativa il Trattato di Commercio dei Popoli (TCP). Il TCP «significa che il piccolo produttore, il microimprenditore, le cooperative, le associazioni, le imprese comunitarie, i poveri ed i loro prodotti, abbiano un mercato», ha spiegato Morales.

Australia. 17 marzo. «Lei è una criminale di guerra». Con queste parole un professore australiano ha apostrofato, a Sydney, la segretaria di Stato USA, Condoleezza Rice. Ed ha aggiunto: «Le sue mani sono sporche di sangue iracheno e non può lavarsele». La Rice ha ironicamente apprezzato la libertà universitaria in Australia ed ha detto di desiderare lo stesso per l’Iran, l’Iraq e l’Afghanistan. «Di quale libertà parla? Per gli iracheni lei è un’assassina», ha replicato il professore, che è stato quindi arrestato insieme ad altri manifestanti. Non è stata l’unica protesta che ha accompagnato la visita della Rice in Australia. Forte tensione anche nel corso della sua presenza al Conservatorio della città.

Palestina. 18 marzo. «Uno Stato palestinese entro i confini di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est». Questo chiede Hamas per rinunciare alla violenza e riconoscere il diritto d’Israele ad esistere. Lo ha dichiarato, alla televisione statunitense Cbs, Ismail Haniyeh, primo ministro palestinese. Hamas vuole dunque uno Stato palestinese nei territori occupati nel 1967. In pratica è anche quanto previsto dall’ONU. Finché questo non sarà realizzato («solo a quel punto potrà esserci lo spazio per colloqui»), per Haniyeh il diritto alla lotta armata continuerà ad essere rivendicato da Hamas.

Irlanda del Nord / USA. 19 marzo. Adams trattenuto all’aeroporto di Washington. Gerry Adams, presidente del Sinn Féin, è stato sottoposto ad una perquisizione straordinaria all’aeroporto di Washington, giacché il suo nome figura in una lista di «sospetti di terrorismo». Lo ha reso noto il congressista democratico Brian Higgins. L’incidente si è prodotto ore dopo la partecipazione di Adams ad un ricevimento alla Casa Bianca per commemorare il giorno di San Patrizio, insieme al primo ministro irlandese, Bertie Ahern.

Catalogna. 19 marzo. ERC voterà contro la riforma dello Statuto al Congresso. Lo ha deciso ieri la direzione di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC). Il progetto, modificato da accordi tra CiU (moderati autonomisti catalani) e PSOE (socialisti spagnoli), sarà sottoposto a votazione il prossimo 30 marzo. Carod-Rovira, esponente della formazione, ha spiegato che il testo è molto differente da quello uscito dal Parlamento e che non colma le aspirazioni del paese. La direzione del partito sarebbe disposta a cambiare atteggiamento se si producessero miglioramento nel testo. Prima dell’approvazione definitiva, il progetto dovrà passare al Senato, e se questa camera introdurrà modifiche, tornerà al Congresso.

Gran Bretagna / Iraq. 19 marzo. Triplicati i disertori, a tre anni dall’inizio del conflitto. Nel 2005 oltre 380 militari britannici si sono resi irreperibili sul fronte iracheno.

Bielorussia. 19 marzo. I bielorussi eleggono oggi il loro presidente. Circa sette milioni di bielorussi decideranno se prolungare il mandato dell’attuale presidente, Alexander Lukashenko, al potere dal 1994 e nella lista nera degli Stati Uniti, oppure votare uno dei tre candidati dell’opposizione (Alexander Milinkevich, Aleksander Kozulin e Sergei Haydukevich), che hanno il visto buono dell’Occidente. Un sondaggio recente dell’Istituto russo di Inchiesta dell’Opinione Pubblica segnalava che un 60% inclinerebbe per Lukashenko. Vari organismi internazionali hanno denunciato irregolarità, arresti e minacce in questa campagna elettorale.

Euskal Herria. 20 marzo. L’ETA rivendica 9 attentati compiuti da metà febbraio e denuncia «i politici carcerieri che utilizzano i detenuti come ostaggi politici». L’organizzazione politico/militare basca ha affermato che la «lotta per la liberazione» continua. ETA denuncia quindi la morte «sospetta» di due detenuti, Roberto Sainz e Igor Angulo, che riflette «la situazione di oppressione che soffrono ogni giorno i prigionieri politici baschi», ed i recenti arresti contro esponenti del partito illegalizzato Batasuna. L’accusa per alcuni dirigenti è di essere responsabili dei disordini avvenuti durante il recente sciopero generale nel Paese Basco.

Bielorussia. 20 marzo. Gli USA chiedono che la Bielorussia torni alle urne, dopo che l’OSCE ha giudicato una farsa il voto che ieri ha rieletto Alexander Lukashenko. Il portavoce della Casa Bianca ha ipotizzato l’adozione di sanzioni, aggiungendo che l’Amministrazione sta considerando anche «limitazioni di viaggio». Intanto il presidente russo Vladimir Putin si è congratulato con Lukashenko per la vittoria nelle presidenziali. Dopo la Casa Bianca è arrivato il Parlamento europeo che ritiene che Lukashenko «non possa essere riconosciuto come presidente legittimo della Bielorussia». Per Strasburgo, le elezioni non sono state «libere, corrette e democratiche» ed è quindi necessario adottare sanzioni.

Bielorussia. 20 marzo. Controllando la Bielorussia «si chiuderebbe l’accerchiamento della NATO  contro Mosca sul suo fianco euro-occidentale; inoltre in Bielorussia si trova il sistema di radar che avverte Mosca di virtuali operazioni dell’Alleanza Transatlantica», scrive Odalys Buscaron sull’agenzia cubana Prensa Latina. «Senza contare», aggiunge, «che Minsk rappresenta il bastione più importante per il Cremlino nello spazio post-sovietico». Questo per dire che, nonostante i suoi soli 200mila km2, la Bielorussia rappresenta un interesse geostrategico, non solo per essere rotta di uscita del gas russo.

Palestina. 20 marzo. Abbas potrà destituire Haniyeh se vi sarà crisi finanziaria. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Abu Mazen (Mahmoud Abbas), darà il via libera al governo guidato da Ismail Haniyeh (Hamas), ma se l’ANP si troverà in crisi finanziaria per il congelamento degli aiuti internazionali, potrà destituirlo. Lo ha detto oggi il negoziatore palestinese Saeb Erekat, citato dalla radio israeliana. Intanto il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) ha comunicato che non entrerà nell’Esecutivo. Alla stampa Kayed Al Ghul, membro dell’ufficio politico del FPLP, ha motivato la decisione perché «il suo (di Hamas, ndr) programma politico si contraddice con quello dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)».

Libia. 21 marzo. Gheddafi dice che il governo iracheno è illegittimo. L’esponente libico, Muhammar Al Gheddafi, ha dichiarato ieri, all’emittente italiana Sky TG24 che l’attuale governo iracheno non è legittimo dal momento che è stato eletto sotto «un regime d’occupazione straniera». Ha aggiunto che Saddam Hussein è ancora «il presidente legale» dell’Iraq, giacché «non è stato deposto dal suo popolo ma da una forza d’occupazione».

Iran. 21 marzo. La guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha chiesto agli Stati Uniti di andar via dall’Iraq. «Il nostro punto di vista sull’Iraq», ha detto Khamenei ai pellegrini nella città di Mashhad, «è chiarissimo: il governo americano dovrebbe lasciare il Paese, smetterla di provocare le tribù e di creare insicurezza, perché il popolo iracheno possa governare da sé il proprio paese. Non parleremo con gli americani di nessun altro argomento», ha aggiunto.

Iraq. 21 marzo. L’ultimo ministro degli esteri iracheno, Naji Sabri, era stato, all’epoca di Saddam Hussein, un informatore della CIA. A favorire il contatto tra Sabri e la CIA fu lo spionaggio francese durante una visita del diplomatico a New York, nel settembre 2002, per partecipare all’Assemblea Generale dell’ONU. Lo ha rivelato ieri sera l’emittente NBC. Dalla CIA avrebbe avuto oltre 100mila dollari. La collaborazione sarebbe finita dopo il rifiuto di Sabri a rifugiarsi in USA. Sabri non è comunque stato arrestato dopo l’invasione e l’occupazione del paese arabo.

Israele. 21 marzo. Olmert annuncia cambi di frontiera. Ehud Olmert, successore di Ariel Sharon alla guida di Kadima e del governo israeliano, insiste nel voler imporre nuove frontiere ai palestinesi con l’avallo degli Stati Uniti. In dichiarazioni alla radio dell’esercito, Olmert ha detto che le frontiere tra il territorio di Israele e quello della Cisgiordania «saranno sensibilmente differenti rispetto a quelle di oggi». Entro il 2010 Israele le stabilirà definitivamente. Della serie: annettere altro territorio palestinese per far sì che quello palestinese sia uno Stato bantustan.

Nepal. 21 marzo. La guerriglia nepalese uccide 13 poliziotti in un’imboscata a Kavrepalanchowk, 50 km ad est della capitale. Nel distretto di Jhapa (600 km circa a sudest di Katmandú e a 50 km dalla frontiera con l’India) attaccato un commissariato. Uccisi almeno dieci poliziotti. L’esercito nepalese ha reagito annunciando un’operazione nel distretto centrale di Dhading e l’uccisione di almeno venti guerriglieri. Si tratta dei primi rilevanti scontri dopo il blocco delle strade che la guerriglia ha imposto per sei giorni e che paralizzerà il paese fino a domenica. L’azione s’inquadra nell’offensiva militare dei maoisti che è combinata con una mobilitazione politica che sfocerà nello sciopero generale ed in una massiccia manifestazione di protesta contro il regime assolutista del re Gyanendra per i primi di aprile.

Uzbekistan. 21 marzo. L’ACNUR deve lasciare il paese. Il governo uzbeco ha ordinato ai membri dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) di abbandonare l’Uzbekistan entro un mese. L’ACNUR si stava dando da fare per impedire agli uzbeki che ricercano asilo in altri Stati di poter essere poi rimpatriati.

USA / Sudan. 21 marzo. La NATO è pronta ad intervenire nel Darfur, la regione del Sudan teatro da anni di scontri, se l’ONU gliene darà mandato. Lo ha detto a Washington il segretario generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer, in conferenza stampa. Poco prima era stato ricevuto alla Casa Bianca e aveva incontrato il segretario di Stato Condoleezza Rice, il suo assistente Nicholas Burns e il capo del Pentagono Donald Rumsfeld. Nell’incontro con de Hoop Scheffer, il presidente statunitense George W. Bush ha detto che, quando l’attuale missione dell’Unione Africana si trasformerà in una missione dell’ONU, «la NATO potrà muoversi con l’aiuto degli Stati Uniti per far capire al governo del Sudan che abbiamo intenzione di garantire la sicurezza della gente (nel Darfur, ndr)». Facendo eco a Bush, de Hoop Scheffer si è detto sicuro che, una volta ottenuto il via libera dell’ONU, «gli alleati saranno pronti a fare più di ora, costituendo una forza delle Nazioni Unite nel Darfur». Nei suoi colloqui a Washington, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica ha discusso, fra l’altro, i progetti di rafforzamento e di trasformazione della NATO per far fronte alle nuove «sfide» (leggi: politiche imperiali di Washington, ndr) e rafforzare la «partnership transatlantica» (leggi: dipendenza da Washington, ndr).

USA / Russia. 21 marzo. Mosca esprime preoccupazione per la nuova National Security Strategy degli USA. Ieri il ministro degli Esteri russo ha affermato che potrebbe peggiorare le relazioni bilaterali. Ne dà notizia la Ria-Novosti. La National Security Strategy, pubblicata il 16 marzo, «ribadisce che le recenti tendenze in Russia indicherebbero una diminuita aderenza alle libertà e alle istituzioni democratiche», ha proseguito il ministro russo, che si è chiesto: «ciò sta forse a indicare che si prospettano tempi difficili in un prossimo futuro per le relazioni russo-americane?». Il ministro ha quindi affermato che il documento dimostra una ulteriore ideologizzazione della politica estera USA. «D’ora in poi il criterio principale per lo sviluppo delle relazioni degli USA con gli altri Paesi sarà l’osservanza o la non osservanza […] della interpretazione americana della democrazia e della necessità di combattere regimi (politici, ndr) indesiderati dal punto di vista di Washington».

USA / India / Russia. 21 marzo. Washington esprime contrarietà alla decisione russa di fornire combustibile nucleare all’India. Lo segnala l’agenzia Xinhua. Questa transazione, ha detto Nicholas Burns, sottosegretario di Stato per gli affari politici, non dovrebbe avere luogo finché l’India non avrà onorato il suo contratto nucleare con gli USA. Il primo ministro russo Mikhail Fradkov, atteso in India il prossimo 23 marzo, dovrebbe firmare con il pari funzione indiano, Manmohan Singh, un accordo per la fornitura di 60 tonnellate di uranio. Gli USA hanno firmato agli inizi di questo mese un accordo che rende possibile il trasferimento di tecnologia nucleare all’India. In cambio l’India ha accettato di separare le sue infrastrutture nucleari militari da quelle civili e di porre queste ultime sotto «tutela internazionale», cioè statunitense.

USA. 21 marzo. Generale della riserva USA ha chiesto ieri le dimissioni di Rumsfeld. Il generale Paul Eaton ha definito «incompetente strategicamente» il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld. Secondo Eaton, Rumsfeld «ha posto il Pentagono alla mercé del suo ego, della sua visione del mondo dell’epoca della Guerra Fredda e della sua fiducia poco realista nella tecnologia come sostituta del lavoro umano».

Perù. 21 marzo. L’incubo Humala scuote gli ambienti politici del paese. L’ascesa dell’ex militare Ollanta Humala, ormai al primo posto nei sondaggi per le presidenziali del 9 aprile, sta compattando gli altri candidati, in particolare Lourdes Flores (fino a ieri favorita nelle inchieste) e Alan García, uniti contro la minaccia “antisistema” dell’ex militare. Gonzalo García, teorico del movimento di Humala (“Unione per il Perù”), ha dichiarato che in caso di vittoria vi sarà una profonda trasformazione dell’economia, con la nazionalizzazione di settori strategici e il cambiamento del modello di esportazione: non più materie prime, ma prodotti industrializzati.

Bolivia. 21 marzo. «L’educazione è uno strumento di liberazione dei popoli». Queste le parole del presidente Morales nel dare avvio alla campagna di alfabetizzazione. Con l’aiuto dei governi venezuelano e cubano un milione e 200.000 boliviani delle regioni più povere impareranno a leggere e scrivere. Il metodo d’insegnamento cubano, denominato “Yo sí puedo”, verrà portato avanti –ha spiegato il ministro dell’Istruzione di La Paz, Félix Patzi– non solo in spagnolo, ma nelle lingue indigene guaraní, quechua e aymara.

Bolivia. 21 marzo. Nel corso di una cerimonia a Camiri (Santa Cruz), dove quarant’anni fa Che Guevara iniziò la sua lotta guerrigliera, Morales si è impegnato a nazionalizzare gli idrocarburi e a rifondare la compagnia petrolifera Ypfb (“Yacimientos Petrolíferos Fiscales de Bolivia”) entro il 12 luglio.

Bielorussia. 22 marzo. Ambasciatori dei paesi dell’Unione Europea, con giornalisti al seguito, visitano gli oppositori concentrati a Minsk, che rifiutano il responso elettorale, per presunti brogli, che ha portato alla rielezione presidenziale di Alexander Lukashenko. La delegazione, guidata dall’ambasciatrice della Lettonia, Maira Mora, era formata dai rappresentanti di Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia, oltre agli incaricati d’affari ceco e slovacco. Stéphane Chmelevsky (Francia) ha detto: «veniamo a vedere se il diritto costituzionale di riunione è rispettato».

USA. 22 marzo. “Giornata dell’immigrato” negli States. Per un giorno gli immigrati clandestini negli USA si assenteranno dal posto di lavoro in alberghi, cucine dei ristoranti, eccetera, per dimostrare che non si può fare a meno di loro. Questa manifestazione, assieme a marce e manifestazioni di protesta con migliaia di partecipanti a Washington, New York e Chicago, è legata al voto del Senato, previsto tra due settimane, sull’immigrazione. La Camera, nei mesi scorsi, ha approvato una legge sull’immigrazione, messa a punto dal repubblicano James Sensenbrenner, che prevede tra le altre cose maggiore libertà di arresto per le polizie locali, la criminalizzazione delle attività di chi assiste i clandestini, la realizzazione di una controversa barriera anti-immigrati lungo il confine con il Messico. Proteste dai vertici della Chiesa cattolica. L’arcivescovo di Los Angeles, cardinale Roger Mahony, ha espresso il proprio dissenso con un editoriale sul New York Times nel quale invita sostanzialmente alla disobbedienza civile. Mahony ha ribadito di aver dato disposizione perché i preti della diocesi non rispettino leggi che criminalizzano l’aiuto agli immigrati, anche a costo di finire in manette. «Negare l’aiuto a un altro essere umano vìola una legge di un’autorità più alta del Congresso: la legge di Dio», ha affermato l’arcivescovo di Los Angeles.

Nicaragua. 22 marzo. Comandante sandinista condanna aggressione USA in Iraq. Il comandante sandinista Thomas Borge, l’unico ancora in vita dei fondatori del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale ha detto oggi all’agenzia Prensa Latina che l’intervento degli Stati Uniti in Iraq costituisce il fatto più rilevante nella storia delle aggressioni, solo superato dai crimini del nazismo e della guerra del Vietnam.

Venezuela / Nicaragua. 22 marzo. Annunciato per aprile un accordo petrolifero tra Venezuela e Nicaragua. L’accordo tra l’Associazione dei Sindaci del Nicaragua e la compagnia statale “Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA)” per la fornitura del combustibile sarà firmata il 25 aprile, a Caracas, nel quadro di una cerimonia solenne. Lo ha annunciato oggi il sindaco di Managua, il sandinista Dionisio Marenco. L’accordo è frutto di un minivertice svoltosi a Cuba tra paesi latinoamericani e dei Caraibi, nel corso del quale il segretario del Fronte Sandinista, Daniel Ortega, ha raggiunto un accordo con il Presidente venezuelano, Hugo Chávez, per la fornitura al Nicaragua di petrolio venezuelano a basso costo. L’ambasciatore del Venezuela, Miguel Gómez, ha richiamato altre esperienze di questo tipo con Argentina ed Uruguay: «il pagamento del petrolio avviene con l’esportazione di carne e prodotti agricoli e la cosa interessante è che questa forma evita l’uscita di divisa straniera (dollari, ndr)». Il fine, in questo modo, è vanificare i tentativi «imperialistici» degli Stati Uniti di legare a sé i paesi latino-americani con i Trattati di Libero Commercio bilaterali. Secondo il sindaco Marenco, le favorevoli condizioni di pagamento concesse dalla PDVSA daranno l’opportunità di investire in progetti sociali. «Per esempio, potremo rinnovare tutta la flotta di autobus del trasporto pubblico, comprare case, rilanciare progetti di produzione». Il presidente venezuelano, Hugo Chávez, si è mostrato interessato a stimolare la produzione dell’agro-allevamento in Nicaragua, i cui prodotti costituirebbero la forma di pagamento. Marenco ha aggiunto che l’accordo è simile a quello firmato nei giorni scorsi dalla PDVSA con la salvadoregna Associazione Intermunicipale Energia per El Salvador (ENEPASA).

Salvador / Venezuela. 22 marzo. Dirigenti salvadoregni soddisfatti per accordo con Venezuela. I dirigenti dell’impresa “Energia per El Salvador” (ENEPASA) hanno manifestato oggi il loro ottimismo dopo l’accordo con la “Petróleos de Venezuela S.A (PDVSA)” per l’importazione di combustibile venezuelano. Questo consta di due direttrici: 1. creazione di un’impresa mista tra PDV Caribe e ENEPASA; 2. costruzione dell’infrastruttura necessaria per la ricezione, immagazzinamento e distribuzione di combustibile. Secondo Carlos García Ruiz, presidente di ENEPASA, l’accordo permetterà di trarre combustibile più a buon mercato. Ne beneficerà la popolazione perché con questa riduzione di prezzi si abbasserà pure il costo di altri prodotti e si riattiverà l’economia nazionale. Joaquín Herrera, presidente dell’Associazione del Trasporto Pubblico, ha preannunciato consistenti diminuzioni dei prezzi dei trasporti. Julio Villagrán, presidente dell’Associazione di Distributori dei Prodotti Derivati del Petrolio, è convinto che l’ingresso della PDVSA nel mercato salvadoregno degli idrocarburi costringerà le imprese transnazionali ad abbassare i loro prezzi. L’accordo è stato firmato lo scorso lunedì a Palazzo Miraflores, sede del governo venezuelano, alla presenza del presidente Hugo Chávez e del ministro dell’Energia e Petrolio, Rafael Ramírez. ENEPASA è costituita, fondamentalmente, da municipi governati dal Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale ed è nata come alternativa per uscire dalla crisi energetica.

Bolivia. 22 marzo. Morales accusa Washington di essere dietro due attentati, ieri, a La Paz, contro altrettanti hotel che hanno causato la morte di due persone ed il ferimento di otto. Arrestati oggi, dalla polizia, con l’accusa di essere autori degli attentati, uno statunitense, Claudio Lestat, con precedenti penali per «terrorismo in Argentina» ed in altri paesi, ed una uruguagia, Alda Ribeiros. Secondo il presidente boliviano, che ha fatto il punto della situazione con il suo consiglio dei ministri ed i suoi più stretti collaboratori, gli attentati mirerebbero a «spargere paura, smarrimento, far ritenere che il governo di Evo Morales non è in grado di controllare» il paese. Il presidente boliviano ha anche accusato «imprenditori che non praticano la solidarietà» ed «alcuni gruppi oligarchici» che usano «agenti esterni» per evitare i mutamenti in atto nel paese. Il vicepresidente boliviano, Alvaro García Linera, ha dal canto suo rilevato che gli attentati si possono al momento ritenere «preoccupanti ma isolati».

Bolivia. 22 marzo. Il presidente di Repsol in Bolivia presenta le dimissioni. La petrolifera spagnola Repsol lo ha annunciato ieri. Julio Gavito, presentando le dimissioni, ha dichiarato «infondata» l’accusa di contrabbando di petrolio. L’inchiesta comunque prosegue.

Argentina. 22 marzo. L’acqua torna pubblica. Il governo Kirchner ha dato vita alla società anonima “Aguas y Saneamiento Argentino”, le cui azioni saranno per il 90% in mano allo Stato e per il 10% ai lavoratori. La decisione pone fine a un lungo braccio di ferro con la privatizzata “Aguas Argentinas” (gestita dalla compagnia francese Suez), accusata dall’esecutivo di inadempienze e irregolarità. Lo scontro si era acuito lo scorso anno, quando il governo aveva respinto la richiesta di un aumento delle tariffe e aveva contestato alla concessionaria la mancanza di investimenti e la presenza, nell’acqua potabile, di alti livelli di nitrati.

Euskal Herria. 23 marzo. L’ETA ha annunciato, in un comunicato pubblicato dal quotidiano Gara, che la tregua permanente inizierà alla mezzanotte del 24 marzo. L’ETA ribadisce che vuole giungere attraverso «il dialogo, il negoziato e l’accordo» ad un «quadro democratico» nel quale siano riconosciuti i diritti che «come Popolo ci spettano ed assicurare per il futuro la possibilità di sviluppo di tutte le opzioni politiche». Nel comunicato –in lingua basca, spagnola e francese– ETA invita Spagna e Francia a rispondere alla tregua «lasciando da parte la repressione e mostrando la volontà di una soluzione negoziata». Alla fine di questo processo «i cittadini baschi devono avere la parola e la decisione sul loro futuro» che gli Stati spagnolo e francese dovranno «riconoscere», «senza alcun tipo di limitazione». In questo modo, prosegue ETA, si otterrebbe «una vera situazione democratica per Euskal Herria, superando il conflitto di lunghi anni e costruendo una pace basata sulla giustizia. Ribadiamo il nostro impegno di continuare, in futuro, a compiere passi in accordo con questa volontà. Il superamento del conflitto, qui ed ora, è possibile. Questo è il desiderio e la volontà di ETA».

Euskal Herria. 23 marzo. Un’«opportunità di proporzioni storiche» per risolvere il conflitto in Euskal Herria. Così in conferenza stampa a Belfast Gerry Adams, presidente del Sinn Féin, si è pronunciato sul cessate-il-fuoco dell’ETA. Il Sinn Féin mantiene stretti rapporti con l’illegalizzata Batasuna. Adams ha anche scritto al presidente del governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, dicendo che «l’obiettivo del nostro partito (Sinn Féin, ndr) è la promozione della risoluzione del conflitto (basco, ndr) ed aiutare umilmente in tutto quel che possiamo». A suo parere, la chiave per progredire sta nello stabilire un «processo integratore di dialogo, nel quale tutti i partecipanti siano trattati con uguaglianza». Ha quindi chiesto a Zapatero «la cessazione immediata» dei processi contro i rappresentanti della formazione abertzale (patriottica, ndr), «incluso Arnaldo Otegi».

Serbia-Montenegro. 23 marzo. Il presidente della Federazione Montenegrina di Calcio, Dejan Savicevic, ha ricevuto l’incarico di guidare la transizione verso la messa in essere di una lega autonoma, cioè montenegrina. Savicevic, ex giocatore della Stella Rossa e del Milan, ha annunciato che «la nostra Federazione sarà indipendente in tutto, anche economicamente. Credo che avremo meno stress che dentro l’attuale Lega serbo-montenegrina». Ed ha aggiunto: «ormai non possiamo continuare a stare insieme (con la Serbia, ndr)». La repubblica balcanica del Montenegro celebrerà il 21 maggio il suo referendum di indipendenza.

Russia / Cina. 23 marzo. Conclusa la due giorni di Putin in Cina, iniziata il 21. Il presidente russo Vladimir Putin era accompagnato da una delegazione di circa 1.000 persone, tra cui i vertici delle maggiori società energetiche (Gazprom, Rosfnet e Transfnet) e il presidente delle ferrovie russe. Negoziati dozzine di accordi. Tra questi, Gazprom, la società russa che detiene il monopolio del gas naturale, ha firmato con la cinese Cnpc (China National Petroleum Corporation) un memorandum di cooperazione per la costruzione di due gasdotti dalla Siberia occidentale e orientale verso la Cina. Messe a punto, in generale, quattro aree di sviluppo cooperativo: scambi di macchinari ed equipaggiamenti, energia, banche e finanza, settore della IT (information technology). Il vice primo ministro russo Dmitry Medvedev ha dichiarato: «vorremmo che macchinari e IT giocassero un ruolo più rilevante (nelle nostre esportazioni, ndr)», aggiungendo che sarebbe nelle ambizioni di entrambi i paesi passare dai 30 miliardi di dollari di scambi commerciali del 2005 a 60-80 miliardi nel 2010. La Cina però guarda alla Russia –per ora almeno– essenzialmente come fornitore di energia. Secondo quanto scrive The Standard di Hong Kong, Pechino avrebbe anche un’altra carta da giocare. Per i finanziamenti necessari alla costruzione dell’oleodotto e per la sua gestione come infrastruttura in grado di generare utili, Hong Kong sarebbe nella posizione ideale per fornire ai governi cinese e russo ciò di cui le economie dei due Paesi sono carenti: il collegamento diretto con il sistema finanziario internazionale e una piattaforma legale che renda i suoi prodotti bancari spendibili nel capitalismo globalizzato. Il fatto poi che Hong Kong sia parte integrante di uno dei due Paesi renderebbe il ricorso alle sue risorse politicamente più corretto rispetto a una soluzione che coinvolgesse altre piazze finanziarie internazionali.

Russia. 23 marzo. La Russia ha iniziato la costruzione di un sottomarino a propulsione nucleare di quarta generazione presso il cantiere Sevmash a Severodvinsk. L’evento, riferisce Itar-Tass, è stato fatto volutamente coincidere con la ricorrenza del centenario delle forze nazionali sottomarine. L’ammiraglio Vladimir Masorin, comandante della Marina militare, ha dichiarato: «Questo è il secondo sottomarino della classe Borei, cui è stato posto il nome di Vladimir Monomakh. Per costruire questo sottomarino è stato assegnato un miliardo di rubli nel 2006. Il sottomarino sarà dotato dei nuovi missili strategici Bulava». «Entro un decennio», ha precisato l’ammiraglio, «saranno costruiti più di sei sottomarini di quarta generazione, che andranno ad ammodernare le forze nucleari strategiche navali».

Russia. 23 marzo. Gli ordinativi per la Difesa nell’anno 2006 saranno di nove miliardi di dollari, mentre le esportazioni di armi nel 2005 hanno raggiunto sei miliardi di dollari. Lo ha dichiarato ieri il ministro russo Sergei Ivanov, secondo quanto riferisce Ria-Novosti. Nominato lunedì 20 marzo presidente di una nuova commissione che sovrintende all’industria della Difesa, Ivanov ha aggiunto che la Cina è un partner strategico in molti campi, compresa la cooperazione militare. Pechino acquista da molti anni da Mosca sistemi d’arma ed equipaggiamenti russi. Oggi, oltre 120 caccia russi Su-27 e Su-30Mkk (Flanker, nella denominazione NATO) costituiscono la principale componente operativa dell’aeronautica cinese. Nello stesso giorno in cui il ministro Ivanov rilasciava queste dichiarazioni una delegazione russa al seguito del presidente Putin ha lasciato la Cina al termine di una visita di due giorni.

Afghanistan. 23 marzo. «C’è da augurarsi che non entri nella campagna elettorale, ma il vero problema sollevato dal caso del musulmano afgano convertito è quello dei nostri impegni militari all’estero e di conseguenza di cosa stiamo a fare in Afghanistan». Lo rileva in una nota Enrico Jacchia, responsabile del Centro di Studi Strategici. «In Afghanistan stiamo con l’obiettivo di proteggere un regime che si è dato delle leggi penali-religiose per noi infami», si chiede Jacchia, «o ci stiamo per la ragion di Stato? Certo, la NATO è a Kabul in nome dei valori che difendiamo. Ma c’é anche un interesse politico-militare rilevante che sarebbe ipocrita nascondere». «Al Nord dell’Afghanistan», aggiunge Jacchia, «le immense regioni dell’Asia Centrale ex-sovietica hanno ereditato la tirannia comunista o il minaccioso espandersi dell’integralismo islamico. Se venisse meno il controllo militare della NATO sull’Afghanistan, l’integralismo islamico dominante in quel paese potrebbe dilagare in quell’area immensa e ricchissima di risorse, con imprevedibili rischi per il nostro Occidente. Non parliamo quindi», conclude Jacchia, «di ritiro delle truppe; manteniamole con abnegazione, pur sapendo che difendono una democrazia zoppa. Magari, turandoci il naso».

Iran. 23 marzo. «Non vi sono problemi se i negoziati hanno lo scopo di mostrare agli americani gli errori che hanno commesso in Iraq». Con queste parole la Guida Suprema della Rivoluzione Islamica, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dato il via libera definitivo ai colloqui diretti tra Iran e USA dopo 27 anni di gelo. I colloqui verteranno solo sulla questione irachena. Nel suo discorso alla nazione tenuto in occasione del Capodanno persiano –coincidente con l’inizio della primavera– il massimo esponente iraniano ha ricordato che la delegazione iraniana non si recherà a Bagdad per raccogliere «minacce ed intimidazioni». Khamenei ha ribadito che l’Iran chiederà il ritiro di tutte le truppe straniere dall’Iraq. I diplomatici USA hanno invece intenzione di chiedere a Teheran di cessare il suo sostegno per le milizie sciite e di favorire la formazione di un governo di unità nazionale. L’Ayatollah Khamenei ha inoltre confermato la linea della fermezza sulla questione nucleare, sostenendo che il suo Paese andrà avanti sulla strada dell’acquisizione delle tecnologie nucleari ignorando eventuali risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.

Palestina. 23 marzo. Delegazione di Hamas prosegue i suoi contatti in vari paesi arabi con l’obiettivo di ricevere sostegno politico e finanziario per liberarsi dalla dipendenza economcia dell’Occidente. Ieri è stata la volta di Abu Dhabi, capitale del Bahrein. La settimana prossima, rappresentanti dei potenziali donatori si riuniranno a Khartum (Sudan) per concretare le cifre. Hamas calcola che il suo nuovo governo necessiterà di 1.750 milioni di dollari l’anno.

USA. 23 marzo. Che tra gli immigrati, soprattutto quelli provenienti dall’America Latina, cresca il timore di un giro di vite sull’immigrazione, lo dimostrano gli eventi del 31 gennaio scorso a Filadelfia, in quello che per la comunità ispanica locale è ricordato ora come il Martes de miedo, il martedì di paura. Come ha ricostruito il Washington Post,  voci di una grossa retata indiscriminata della polizia hanno fatto fuggire migliaia di immigrati dai loro posti di lavoro. I banchi dell’Italian Market di Filadelfia, il mercato reso celebre dai film di Sylvester Stallone Rocky, si sono così svuotati.

Ecuador. 23 marzo. Gli indigeni non demordono contro il TLC. La Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (Conaie), dopo dodici giorni di proteste, con cortei e blocchi stradali in tutto il paese, contro il Trattato di Libero Commercio (TLC) ha annunciato una sospensione di pochi giorni delle mobilitazioni. La Conaie si riunirà il 31 marzo nella città andina di Riobamba, dove verranno definite le nuove azioni da intraprendere contro il TLC con gli Stati Uniti e per l’annullamento del contratto con la compagnia petrolifera Oxy, accusata di violare gli accordi per l’estrazione del greggio nella regione amazzonica. I dirigenti della Conaie rilanciano la richiesta di nazionalizzazione del petrolio e promettono che «la rivolta riprenderà dopo l’assemblea di Riobamba, se prima di allora il governo di Alfredo Palacios non si sarà impegnato almeno a convocare un referendum popolare per decidere sul TLC». Per tutta risposta il governo ha fatto sapere che manterrà lo stato d’emergenza finché il paese non sarà «totalmente pacificato».

Perù. 23 marzo. Dure condanne ai dirigenti del MRTA (Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru). In particolare Víctor Polay, in carcere dal 1992, si è visto comminare 32 anni di prigione. Unica concessione: la pena potrà essere scontata in un penitenziario civile, e non in un carcere militare e nell’isolamento come è avvenuto fino ad ora. Polay ha annunciato che ricorrerà in appello. Da notare che il rapporto della Commissione di Verità e Riconciliazione, pubblicato nel 2004, affermava che, a differenza di Sendero Luminoso, il MRTA non ha mai colpito la popolazione civile. Polay era già stato processato da un tribunale militare all’epoca di Fujimori: un processo farsa, dichiarato nullo alla caduta del regime.

Irlanda del Nord. 24 marzo. «Intolleranza unionista» ed «estremismo islamico». Politici unionisti hanno reagito furiosamente alle affermazioni del primo ministro britannico, Tony Blair, che ha paragonato l’«intolleranza unionista» all’«estremismo islamico». Lo ha fatto nel corso di un discorso nel quale ha difeso la presenza britannica in Afghanistan ed in Iraq. Gli oltranzisti del DUP (Democratic Unionist Ulster) lo ha accusato di calunniare la comunità protestante.

Euskal Herria. 24 marzo. Zapatero si presenterà al Congresso prima dell’estate se «verifica» il cessate-il-fuoco dell’ETA. Obiettivo sarà ottenere l’appoggio dei gruppi politici per avviare i colloqui con l’organizzazione politico/militare indipendentista basca. Lo ha dichiarato lo stesso presidente del governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, in conferenza stampa a Bruxelles al termine della riunione del Consiglio Europeo. Per il primo ministro spagnolo la partecipazione della sinistra abertzale (patriottica, ndr) al processo di pace è «fondamentale» e la dichiarazione dell’ETA «è un punto di partenza sufficiente».

Euskal Herria. 24 marzo. Batasuna pone, come suo «compito immediato» creare un «Tavolo di Soluzione». La Mesa Nacional (direttivo) di Batasuna ha rivolto un appello in tal senso all’insieme delle forze politiche, sociali e sindacali di Euskal Herria per un accordo di «basi, principi e compromessi» comuni per la messa in moto di un «Tavolo di Soluzione». La dichiarazione, letta oggi ad Iruñea, fa seguito alla tregua permanente dell’ETA.

Euskal Herria. 24 marzo. Rafa Díez invita ad attivare «un autentico tsunami sociale per soluzioni democratiche e per la pace in Euskal Herria». Il segretario generale di LAB (sindacato indipendentista basco), Rafa Díez, lo ha dichiarato oggi pubblicamente, presenti svariati membri dell’esecutivo.

Euskal Herria / Sudafrica / Spagna. 24 marzo. La ANC sudafricana invita Madrid al dialogo sui Paesi Baschi. L’African National Congress (ANC), che governa il Sudafrica dal 1994, ha espresso soddisfazione per l’annuncio dell’ETA, che ha definito «storico» ed ha esortato il governo spagnolo a cogliere questa opportunità per la pace. L’ANC è stata protagonista negli anni ’80 e ’90 di un processo di pace che ha posto fine a decadi di apartheid contro la maggioritaria popolazione nera sudafricana.

Sahara Occidentale. 24 marzo. Sudafrica e Algeria reclamano per il Sahara l’autodeterminazione. I presidenti di questi due paesi, rispettivamente, Thabo Mbeki e Abdelaziz Buteflika, lo hanno ribadito ieri in un comunicato congiunto. Il Sudafrica è uno dei paesi africani che ha riconosciuto diplomaticamente la Repubblica Araba Saharawi Democratica fondata dal Fronte Polisario.

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