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Sorridi, sei in onda (ma c'è da ridere?)

di Paolo Taggi - 05/04/2006

Fonte: Avvenire

Radio che si possono guardare, televoti, spettatori alla ribalta via webcam... Nasce la video-community che ci illude: «Il protagonista sei tu!»

 

Ormai una trasmissione tv, prima ancora che una trama, è un sistema integrato di mass media su cui crescono molti altri programmi, come in un gioco di specchi

 

Basta il minimo errore nel digitare il canale per scoprire nuovi universi tv. Fenomeni che andrebbero indagati più a fondo. Sull'807 del mio apparecchio, per esempio, mi appare Radio Radio Tv, la «prima talk radiotelevisiva italiana», come ama definirisi. Sono un abituale ascoltatore di questa radio, perché ha un'anima, un suo preciso perché. Della sua versione tv avevo solo sentito parlare, ma non l'avevo mai vista. Mi colpisce lo slogan: da oggi la radio la puoi guardare. È subito chiaro il rovesciamento di campo. Ma come? Non si era sempre detto che la forza della radio era nella forza evocativa dei suoni e delle parole? La televisione, come il cinema e le arti visive, non allude: rappresenta. Radio Radio Tv è alla ricerca di una nuova identità radiotelevisiva, che non si può riassumere semplicemente nella frase: 70% di radio e 30% (le proporzioni possono variare) di tv. Si tratta, appunto, di uno slogan. Che lascia aperte tutte le domande. Per ora, il modello è quello di una radio che viene ripresa. Non si mette in scena. Semplicemente vive. Riprenderla, dà un volto alle voci, e forse una diversa trasparenza. Ma in futuro? Il destino della radio è di essere una tv che ritorna alla semplicità assoluta delle camere quasi fisse, o addirittura ripresa in webcam? Un altro esempio. Il programma «Deejay chiama Italia» è sbarcato in tv. In sé, potrebbe non essere una notizia. Oppure risultare una notizia incompleta. Il fatto è che per ammissione dei protagonisti questo programma andava già in onda su Italia 1 nel 1984. Qualche estate fa, con esiti incerti, anche il glorioso Radio Anch'io radiofonico aveva scelto la strada estiva della tv. Senza alcuna modifica, semplicemente ripreso. Si diceva: non può funzionare. Non è televisione. Perché adesso si grida alla novità assoluta? Linus e gli altri dicono che la novità (la differenza sostanziale) sta nel modo di riprendere (e nella finalità): «Non ci sono telecamere (una tv non tv) ma ci sono i dietro-le-quinte e i fuori-o nda». Ancora una volta, il must è il backstage. Il dietro-le-quinte che diventa il vero motivo di interesse.

Un dado a molte facce
Ma non c'è solo questo. La vera novità, che rende oggi attuale un esperimento risultato vecchio già nel passato, è nei modi in cui si può vedere il programma. O sentirlo vedendolo: in streaming su Internet, o in podcasting video, scaricando le trasmissioni su Pc o su lettori video portatili. Siamo ancora di fronte ai percorsi convergenti dei media che utilizziamo ogni giorno. A un nascente sistema crossmediale. Dove un progetto di trasmissione - prima ancora che una trama o un meccanismo - è l'ossatura di un sistema integrato di mezzi di comunicazione nel quale e sul quale si alimenteranno programmi correlati di ogni tipo. Che si faranno da specchio l'un l'altro, diventando evento. Un sistema che - come scrive Max Giovagnoli - ha un proprio sviluppo sul piano orizzontale (in un singolo programma) e su quello verticale (tra le varie versioni del programma nei vari media). Che cosa guarderemo nel cellulare vuol dire anche dirsi perché. A quali bisogni indotti o spontanei risponderanno questi nuovi canali. Ma non solo questo. Forse è venuto il momento di capire quali sono le possibili morali della nuova favola mediale che abbiamo chiamato crossmedialità. Che è un dado a molte facce, come quelli dei giochi di ruolo. E impone un'avvertenza iniziale: riflettere su possibili elementi positivi e negativi non implica un immediato giudizio morale e soprattutto non significa che vantaggi e svantaggi siano facilmente separabili. In realtà si inscrivono l'uno nell'altro, in un gioco di incastri e di specchi, che solo per chiarezza di esposizione tenterò di separare. Partendo dai possibili vantaggi. Al Festival di Venezia di una quindicina di anni fa fece rumore un film giapponese: Dormire come sognare. Descriveva una società in cui le parole non avevano suono se non passavano attraverso un filtro tecnologico: microfono, citofono, telefono, radio , tv. Film anticipatore, più di quanto non siano state tante profezie sociologiche. La pur attenta rivista Megatrends agli inizi degli anni '90 aveva indicato come scenari per il nostro oggi la privatizzazione dello Stato assistenziale, l'era della biologia, il trionfo dell'individuo, la globalizzazione degli stili di vita, la rinascita religiosa. Mancava, clamorosamente, il fenomeno che più caratterizza questi anni: Internet, con tutti i suoi corollari. Tra i quali la comunicazione partecipativa, con la conseguente nascita di quelle folle personalizzate che si definiscono videocommunity. Quando, nel 1984 ho definito con Giorgio Simonelli «fantasmi del dialogo» i primi timidi spettatori che si affacciavano sulla ribalta televisiva grazie al telefono, non pensavo che un giorno quei fantasmi si sarebbero trasformati in una nuova forma di collettività sociale. Oggi quei fantasmi hanno trovato il modo di apparire e di specchiarsi. Appaiono - mentre ieri erano solo timide voci. Rimangono fantasmi, ma sono anche la forma postmoderna dell'ombra. Qualche volta prendono decisioni, magari con un televoto che andrà a sommarsi con centinaia di migliaia di altri. Altre si convincono di essere i veri autori delle storie che vedono accadere davanti ai loro occhi. Appaiono, ma in quanto «gente comune», identità appena accennate. Bisognava immaginare che al pubblico non sarebbe più bastato rispondere a un quiz, ma perché dovrebbe aver voglia di guardare ciò che lui stesso ha creato? Perché lo fa da sempre. Basta pensare al ruolo collaborativo fondamentale che ha da sempre in trasmissioni radiofoniche come Il ruggito del coniglio, ma anche Fabio e Fiamma. O le segnalazioni a Striscia la notizia. O i materiali inviati spontaneamente a Paperissima. Le tv e soprattutto le radio locali sono state il vivaio e la palestra che hanno preparato un nuovo pubblico partecipativo. Fino a trasformare l'idea di farsi da sé il programma come un privilegio da conquistare, un'abitudine da consumare e alimentare felicemente. È la logica del fai-da-te di McDonald. È la logica dei fan del Lego che sono chiamati a inventarsi il loro nuovo gioco. È l'onda lunga dello slogan ripetuto da più parti: «Il protagonista sei tu». Quando lo spettatore guarda la tv di oggi si immagina sempre in scena al posto del momentaneo protagonista. Non gli basta più vedere semplicemente la sua vita e non vuole più che sia un altro a renderla televisivamente accattivante. La convergenza dei media fa nascere la domanda di nuovi programmi, caratterizzati da nuove tipologie di interazione. Che si sviluppano in tre direzioni: il rapporto tra i telespettatori ed i programmi stessi (spot interattivi, videopartecipazione in tempo reale…); il rapporto tra consumatore e prodotti; il rapporto tra utenti e servizi (documenti da enti pubblici in tempo reale, pagamento fatture, eccetera). Trasmissioni di grande impatto popolare come Uno Mattina o Occhio alla spesa offrono con successo al loro pubblico la possibilità di intervenire via webcam. Di esserci, non solo in voce, da casa. Violando un altro confine, sfruttano un'occasione prima inimmaginabile. Eliminando le trappole dei provini e i tempi morti dell'attesa, i telespettatori non devono esibire capacità o competenze. Raccontano della quasi normalità. O la normalità del quasi. Tutti insieme, formano un nuovo reticolo fatto di vuoti persistenti, ma anche di inediti punti di incontro.

Come in un videogame
Per rifarsi al videogame, quelle occasioni di scambio virtuale con gli altri che guardano sono dei check point, zone franche rispetto all'isolamento se non alla solitudine. I videogame in linea fanno incontrare, vivere, sfidarsi attraverso le loro creature di invenzione migliaia di persone in tutto il mondo, che non si conosceranno mai direttamente. Che credono agli scenari che contribuiscono ad inventare al punto da acquistare armi, esperienze, vite virtuali con soldi reali. Ispirate a queste esperienze, le videocommunity della nuova cross medialità eliminano il filtro del fantasy e chiedono al pubblico partecipante di togliersi la maschera e scendere in campo con la propria immagine ripresa via webcam o cellulare. Chi partecipa, parla, invia frammenti di diario della propria vita perché siano condivisi, cerca una relazione con persone che nella vita quotidiana mai avrebbe conosciuto. Oppure si propone creativamente, dovunque si trovi, superando d'incanto barriere spazio-temporali che lo possono portare - se ne ha la capacità - al cuore del media stesso. Nel centro del programma. Il sistema dei media non è più impenetrabile. Con le dovute cautele. L'apertura all'intervento creativo del pubblico rende sempre più incerta l'evoluzione del testo, il rischio sembra sempre più condiviso. Si passa dall'ideale «cosa accadrà poi se lui…?» a «che cosa accadrà poi se io?…». Come nel videogame, è necessario che lo spettatore prenda decisioni, apparentemente fondamentali per la continuazione del progetto-programma. È, in fondo, una risposta indiretta ma forte alla tendenza sempre più diffusa di affidare ad altri (personal trainer, guru, esperti a vario titolo) le decisioni forti che riguardano la propria vita. Nel mondo crossmediale non conta più - solo - esibirsi, ma essere pronti a vivere un'esperienza. Esperienza è la parola ricorrente che troverete non appena lascerete questo articolo in molti slogan pubblicitari, nei manuali di istruzioni dei giochi elettronici, ma soprattutto nelle parole di molti conduttori televisivi. Esperienza contiene molte cose. Riassume i vantaggi e ipotizza i limiti. Attraverso l'esperienza il telespettatore crede di poter inventare le mosse che sfuggono alle regole che i media hanno imposto finora come condizione necessaria, implicita nella loro natura. Crede di poter giocare alle regole e le regole stesse. Il dubbio che rimane raccoglie tutti gli svantaggi potenziali. Rispetto a questo nuovo rapporto spettatore/apparato chi è il giocatore? Siamo di fronte ad una innocua «ola» virt uale o l'ennesima allucinazione consensuale è l'ennesima invenzione dei sempre più persuasivi maghi di Oz?