Fiat: cuore americano, portafoglio lussemburghese, sudore italiano
di Giovanni Petrosillo - 18/12/2009
“Mark Jonne” (o’ amerikan) grande capo della Fiat e semidivinità trinitaria di cittadinanza italosvizzera-
canadese, è tornato a chiedere al governo italiano di allargare i cordoni della borsa,
prolungando gli incentivi alla rottamazione anche nel 2010, coll’obiettivo di far fronte alla crisi che
continua a togliere il fiato ai grandi attori industriali del settore auto, Lingotto compreso.
Fino a questo momento non mi pare che l’esecutivo si sia tirato indietro, ha invece fatto la sua
parte, al pari di tutti gli altri gabinetti europei e internazionali, attutendo i “colpi bassi” della debacle
finanziaria che rischiavano di scagliarsi sull’economia reale, aggravando la situazione occupazionale e
il malcontento generale, esasperato dall’assottigliamento dei risparmi, dall’inflazione galoppante e
dalla frenata dei salari.
Ma i problemi incontrati dai giganti dell’auto non sono tanto di natura congiunturale e per essere
affrontati adeguatamente devono essere inquadrati nei limiti storici di un settore tecnologicamente
stramaturo che ha ingolfato e saturato il suo mercato.
Il Ceo di Fiat, con il cuore negli Usa, il portafogli tra Svizzera e Lussemburgo e le mani protese
sulle mammelle dello Stato italiano, ha però una bella faccia tosta quando si appella all’azione degli
altri governi per rivendicare uguale trattamento anche per il suo gruppo in Italia. Una domanda va
subito posta a Marpionne: ma la Fiat produce i medesimi risultati delle sue omologhe straniere per
pretendere tanto?
Il Manager non fa che rammentarci che la Fiat è un grande patrimonio nazionale, una pilastro
industriale del sistema-paese, un’impresa da difendere perché è parte integrante dell’italian dream,
ovvero di quella penisola al volante che, a partire dagli anni ’60, fu sinonimo di boom e di prosperità
collettiva. Ma questa presunta coincidenza tra profitti della Fiat e benessere nazionale non è reale, o
almeno non più.
Qualche giorno fa Pierluigi Bonora su Il Giornale ha scritto un articolo di commento ad uno studio
della Confartigianato che riportava dati implacabili sull’andamento degli investimenti Fiat, soprattutto
sulla occupazione creata e sulla ricerca tecnologica effettuata.
Tra il 2004 e il 2008 l’occupazione nel gruppo torinese è salita del 23,1%, ma mentre negli
stabilimenti stranieri di un copioso +29,4% in quelli italiani solo del +15,3%. Praticamente doppiati
dall’estero. Il Ministro dello sviluppo economico Scajola aveva preannunciato che nuovi contributi
pubblici al settore auto sarebbero stati subordinati ad un incremento della produzione in Italia e
all’approntamento di piani industriali di lungo periodo, con i quali garantire e salvaguardare i posti di
lavoro in casa.
In Fiat non stanno prendendo in considerazione né l’una né l’altra condizione eppure battono cassa.
Ci aspettiamo, quindi, che Scajola sia conseguente con le sue affermazioni, soprattutto alla luce del
piano che Marchionne consegnerà il 22 dicembre al Governo per ottenere ennesimi interventi di
sostegno. Nutriamo speranza che non si crederà ancora alle bugie della Fiat mentre si manterrà ferma la
barra su ciò che è stato finora realizzato, cioè poco o niente e quel poco nemmeno a vantaggio degli
italiani. Poiché la tendenza della Fiat, come sottolineato dalla Confartigianato, è ad aumentare
l’occupazione all’estero dove già è presente il 58% dei dipendenti del gruppo (il 25,3% in Europa, il
21,7% nel Mercosur, il 6,2% in Usa eil 5,3% altre zone) Marchionne potrebbe farci il favore di
rivolgersi a quegli stati per tirarsi fuori dalla tormenta.
Nel 2008, solo per fare un esempio, la Fiat ha accresciuto l’occupazione complessivamente del
7,1% ma la distribuzione della stessa è stata ancora una volta favorevole all’estero (+7,8%) e meno al
Bel Paese (+6%). Il gruppo diretto dal Manager canadese realizza, inoltre, sempre come riportato
confederazione degli artigiani e delle piccole imprese, il 76% dei ricavi netti fuori dalla nazione. Ma il
dato più preoccupante è quello riguardante lo sviluppo tecnologico e la ricerca scientifica dove la
creatura degli Agnelli risulta fanalino di coda in Europa. Solo 3,3 mld di euro investiti rispetto ai 4,4 di
Peugeot e Citroen e i 4,6 di Daimler. Dagli altri grandi concorrenti la Fiat è così distanziata che
nemmeno vale la pena fare paragoni (Porsche 12 mld, Renault 6,1, Volkswagen 5,2 ecc. ecc.)
Vorrebbe voglia di chiedere a Marchionne cosa ne hanno fatto a Torino dei quasi 3 mld di euro che
lo Stato gli ha elargito nel solo periodo 1992-1999? In quale grande iniziativa di rilancio dell’azienda
sono finiti i soldi dei contribuenti italiani? Non basta parlare di sogni per essere credibili, ogni tanto
bisogna pure realizzarli.