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Dialogo sul silenzio e sulla postmodernità

di ermanno olmi e gianfranco ravasi - 17/04/2006

Fonte: avvenire.it

 

 

Dio, l’interiorità e la bellezza: faccia a faccia tra ermanno olmi e gianfranco ravasi

È la domenica di Pasqua. La preparazione alla festa cristiana della resurrezione di Cristo si è svolta nel tempo della Quaresima: che, nella liturgia cattolica, è il periodo dell'intensificazione della preghiera e dell'ascesi spirituale. Quindi della riflessione raccolta, nel silenzio - e in queste settimane Il grande silenzio, il film muto di Philip Groening dedicato alla vita dei certosini, continua a dominare i botteghini cinematografici. «Il silenzio è la più grande persecuzione: ma i santi hanno taciuto», scrive Pascal (I pensieri).

Perché i più oggi lo fuggono?
Gianfranco Ravasi: «Il silenzio per sua natura è una realtà radicalmente ambigua. Da una parte esiste il cosiddetto "silenzio nero", che è l'assenza dei suoni, delle voci. Nella Bibbia si legge: "Quando Dio maledice un popolo, fa cessare il canto dello sposo e della sposa". Cassiodoro, nel VI secolo, scrisse nelle Istituzioni una frase folgorante e straordinaria: "Se voi continuerete a commettere ingiustizia, Dio vi lascerà senza la musica". Nel silenzio».

E dall'altra parte?
Ravasi: «Dall'altra parte esiste il cosiddetto "silenzio bianco". Nelle religioni è fondamentale il nome di Dio: da dire, da invocare. Israele, nell'Antico Testamento, introduce l'idea che vada taciuto. Il profeta Elia va sul monte Sinai per ritrovare le radici della sua vocazione e vuole scoprire Dio con l'imperio, abituale, della teofania: i tuoni, il terremoto che sommuove la terra, le folgori che scorticano gli alberi... Invece lo scopre nelle frase: "E alla fine ci fu il mormorio di un vento leggero". In ebraico abbiamo soltanto tre parole: "voce, silenzio, sottile". Dio è una voce di silenzio sottile. Da lì in avanti comincia la grande via del "silenzio bianco", che non è assolutamente il terrore di star soli. L'uomo di oggi non è più capace di star solo perché ha sempre davanti il vuoto. E stare nel vuoto è un'assurdità. I giovani soprattutto ne hanno paura: difatti aumentano gli ingredienti del rumore , del suono violento. È nel "silenzio bianco", al contrario, che trovi un contenuto, una ricchezza, una varietà di esperienze, di parole, di sensazioni».
Ermanno Olmi: «Ti sento parlare e mi accorgo che quello che intuivo, che percepivo un po' confusamente, si mette in ordine. Non ho mai raggiunto la capacità di ordinare le cose: in modo per cui stanno nel loro posto, accessibili ogniqualvolta voglio aprire un cassetto. Nella mia mente non ci sono i cassetti, sta tutto insieme: ogni cosa si sovrappone all'altra creando talora anche delle suggestioni di cui non capisco tutti i significati, ma che sono piacevolissime. Considero una base di partenza, per questo nostro colloquio, le due nature del silenzio di cui hai parlato. Il primo, il silenzio nero, scuro: questo, più che silenzio, è il nulla. E tuttavia non riesco più a concepire il nulla dopo che ho potuto accedere a un incipit come: "In principio era il Verbo". E il Verbo era Dio. Vale a dire: la vita. Perché non riesco a coniugare la parola Dio in altro modo che nell'idea che ho dell'essere, della vita: di rinuncia al nulla. E allora, per me, il silenzio comincia proprio col Verbo».
Ravasi: «È verissimo. La Genesi come comincia? "In principio Dio disse: sia luce, e la luce fu". Prima c'è il silenzio. Ed è il nulla».
Olmi: «L'assenza di decibel non mi riguarda. Forse, se dovessi subire una condanna, la cosa peggiore sarebbe di mettermi all'interno di una stanza dove il silenzio è pneumatico. Ciò nonostante, udrei il silenzio che è dentro di me e mi parla, perché ha un'infinità di voci. Per questa ragione non ho paura neanche del silenzio nero, drammatico; dell'assenza di suono».

Questo silenzio che parla consente di fare scoperte sorprendenti?
Olmi: «Vivo, di queste scoperte. Può sembrare un paradosso, ma quello che più mi parla, facendomi fare delle scoperte, è il silenzio».
Ravasi: «Hai detto di una particolare voce silenziosa: un ossimoro, che parla della coscienza. Questa è una prima c omponente fondamentale che si sta perdendo».

La perdita da che cosa è determinata?
Ravasi: «Riflettere su se stessi, come invita a fare sant'Agostino nel suo famoso appello, è l'esercizio più esaltante e più difficile in assoluto. Nella propria coscienza si rintracciano infinite ricchezze e terribili miserie, che sono poi la grandezza dell'uomo. Scoprire l'Io, tutto sommato, è una straordinaria avventura. Non per nulla si è prodotta la psicologia. E adesso si deve ricorrere alle sue modeste risorse perché si è persa la grandezza della religione, del pensiero filosofico».

Altre componenti?
Ravasi: «La seconda è l'esercizio, l'ascesi. Noi preti, per primi, l'abbiamo rovinata perché l'abbiamo introdotta come un esercizio masochistico, un impegno faticoso, di rinuncia».
Olmi: «Un'autoflagellazione».

E invece?
Ravasi: «Ascesi, in greco, vuol dire esercizio. E l'immagine migliore, per me, è quella dell'acrobata e della ballerina. La ballerina che si muove freneticamente e fa degli arabeschi, stando in equilibrio su pochi centimetri di base, ha alle spalle, e così l'acrobata, un allenamento, una fatica: sudore e sangue. Ma lo fa con la libertà e la spontaneità più assolute».
Olmi: «Con naturalezza».
Ravasi: «In quel momento, non pensa: non calcola le figure».
Olmi: «Cadrebbe».
Ravasi: «Cadrebbe. Non è vero che mettere ordine sia semplice. Riuscire a scavare nella massa delle parole e trovare quelle capaci di cancellare il vuoto e di fare il capolavoro, l'armonia, il disegno, l'arte, è un'altra grande scoperta. Anche di chi scrive o crea opere artistiche. Quindi immagino l'esperienza di Olmi, che è infinitamente più alta della mia.

E la terza considerazione?
Ravasi: «La fede è ascoltare, non dire. Dire è di Dio: che apre e squarcia il silenzio del nulla. È un'altra dimensione perduta dalla cultura contemporanea. Basta seguire i dibattiti in televisione: il dialogo è scomparso; nessuno ascolta niente di quello che dice l'altr o; ognuno grida più dell'altro. La capacità dell'ascolto è un'esperienza esaltante: è anche la grandezza, credo, della musica. C'è quella battuta bellissima di Sacha Guitry a proposito della musica di Mozart: "Quello spazio di silenzio che c'è, appena finita una sua musica, l'ha scritto Mozart"».
Olmi: «È la risonanza dell'emozione che ti ha dato, una musica non scrivibile. E non risponde più a un ordine, frutto di un esercizio che ci deve essere. A volte è tale la fatica per mettere ordine che poi quell'ordine diventa intoccabile e contraddice l'esigenza che ogni cosa esistente ha».

Quale?
Olmi: «Quella di vivere. Vivere vuol dire trasformarsi continuamente: come nell'evoluzione della materia. La materia risponde a regole generali di un ordine prestabilito, dal quale non possiamo prescindere; ed è cosmico. Ma questo ordine è continuamente in trasformazione. Se dovesse diventare una gabbia, contraddirebbe la nostra ragione di esistere: di essere in cammino. Nell'ultimo film, Cento chiodi, ho trattato un po' questa cosa. Molte volte i libri sono un ordine che ci impedisce di vivere, quando prendono il sopravvento. E noi ci sottomettiamo a quell'ordine, rinunciando a farne uno nuovo esclusivamente nostro: individuale, originale. Anche la musica che Mozart non scrive è per ciascun ascoltatore una musica diversa. Ed è questo spazio che noi dobbiamo considerare come ragione del nostro esistere».

Non è avversato, mortificato, ostacolato dall'eccessivo rumore?
Olmi: «L'eccessivo rumore è l'altro pericolo per il silenzio: un suono talmente sovrastante e sovraccarico di decibel che ci impedisce di sentire. Accade di essere in certi luoghi, di parlare e di non riuscire quasi ad ascoltare per il chiasso. E tuttavia la macchina umana ha costruito l'apparto uditivo con una tale perfezione per cui riusciamo ad annullare gli altri suoni. Per farmi capire: se guardo una massa umana enorme, come posso cogliere un volto, uno sguardo? Bene: se ho dei motivi di innamoramento, in questa massa infinita di volti, nel momento in cui scorgo uno sguardo, quello sguardo annulla tutto il resto, vedo soltanto quel volto. E quando, dentro il rumoreggiare, arrivo a distinguere un suono che mi innamora, faccio una scoperta straordinaria».
Ravasi: «Il discorso sull'amore è un altro elemento importante. Sul silenzio dell'amore. Una lettera di Pascal alla sorella dice: "Nella fede, come nell'amore, i silenzi sono molto più eloquenti delle parole". Due innamorati veri, quando hanno esaurito il bagaglio delle parole, si guardano negli occhi. È il massimo della comunicazione. E avviene nel silenzio».
Olmi: «Mi ricordo che in un'intervista sulla bellezza mi venne di dire che nessun verso di Dante vale il silenzio di due innamorati. Che è un po' la storia della lettera di Pascal».

Pascal non confessa anche di essere spaventato dagli spazi infiniti del silenzio eterno?
Ravasi: «I silenzi siderali... Perché l'ambiguità del silenzio non viene mai cancellata. Olmi ha detto un'altra cosa che non bisogna dimenticare: l'eccesso di parole, di rumore, di suono è silenzio. L'esempio paradossale l'abbiamo nella società contemporanea. La grande esplosione di suono, di rumore, di chiacchiera alla fine può essere negativa per l'evoluzione della specie. Il prezzo è la perdita della dimensione della delicatezza e della finezza».

Non si perde anche possibilità di un ponte fra la solitudine che l'uomo vive e Dio?
Olmi: «Perché mette Dio al di fuori! Se lo si mette al di fuori, sentirsi soli è inevitabile. Ma se non lo si considera al di fuori, la sua voce, che parla anche nel silenzio, è sempre con noi. È assolutamente sbagliato mettere Dio al di fuori di noi, come un interlocutore, qualche volta addirittura con la presunzione di imbrogliarlo: "Ti prometto questo, in cambio di...". È la negazione di Dio. Ha fatto un grande sforzo per essere in tutte le creature e lo mettiamo in anticamera ad aspettare».

La solitudine umana è un abbaglio?
Olmi: «Quella la sentiamo quando ci troviamo in quel buio nero in cui niente ci parla: nemmeno noi stessi. Se mi metto sul terrazzo, ad Asiago, e ascolto il silenzio del bosco, quel silenzio ha mille voci: il ronzio delle api, il fruscio di una lucertola, il vento... Ma il silenzio che è dentro di me è altrettanto vivo. Ognuno ha un suo silenzio. Qualche volta, alla fine della giornata, sei affaticato e confuso, perché hai fatto cose, hai lavorato, hai visto gente... E c'è un momento in cui tutte le voci rumorose tacciono. Ti parla il tuo silenzio. Guai se tu, per paura di lasciarlo parlare, tieni aperti i canali di quelle voci: saresti come dentro la camera pneumatica, dentro la confusione dei suoni»
Ravasi: «Pensiamo a che cosa è stato elaborato, nella teologia, sul silenzio di Dio: una questione apparentemente tutt'altro che positiva e invece estremamente produttiva dal punto di vista teologico».

Il silenzio di Dio che si ferma ed ascolta?
Ravasi: «In questo caso, che non ascolta. Dio è, per eccellenza, presenza; e, come tale, ecco la legge della parola sua e dell'ascolto nostro. Ma esiste, e questo è presente nella grande tradizione mistica, anche la percezione della sua assenza: del suo essere distaccato, indifferente del suo essere talora simile a un imperatore impassibile. Sono esperienze che fanno tante persone nel momento del dolore. Dall'altra parte, e Giobbe lo insegna, questo silenzio è forse una delle vie più alte per riuscire a scoprire il vero volto di Dio, e non un Dio "tappabuchi", modellato a propria immagine e somiglianza. Perché, attraverso la strada del suo silenzio, tu riesci a scoprire un Dio che ha un disegno trascendente, non riducibile al piccolo schema che gli attribuisci, come facevano gli amici di Giobbe spiegando tutto, compreso il male e il dolore. E invece Dio, col suo silenzio, ti insegna che esiste il mistero: cioè una grandezza che non è irrazionale e assurda; è una grandezza che ti supera e ti tra scende».

Il silenzio di Dio è allora, da un lato, elemento di scandalo?
Ravasi
: «Bisogna riconoscerlo. Quando sei davanti a certe vergogne dell'umanità chiedi: "Perché non interviene?". A questa domanda c'è, immediatamente dopo, una risposta: è un atto di grande rispetto di Dio per la libertà dell'uomo. Dio è presente perché, bene o male, tiene in vita l'uomo; bene o male, gli si presenta col rimorso. Ma non è come il dittatore o il tiranno che ti blocca la mano quando non si muove secondo il suo disegno. Egli rispetta la libertà della sua creatura».

Ma come accettare la sua latitanza di fronte alla sofferenza dei bambini?
Ravasi:
«È quello che diceva il dottor Rieux nel romanzo La peste di Camus. È proprio quell'aspetto che ti fa capire che non esaurirai mai il mistero di Dio e dell'essere. Esistono dei margini nei quali di quel disegno tu vedi gli orli, ma non riesci a comprimerlo nell'interno di una teoria come volevano gli amici di Giobbe che dicevano: "Il bambino soffre perché ha peccato il genitore e deve riparare". Questo è un meccanismo perverso».
Olmi: «Una contabilità bancaria».
Ravasi: «Una tecnologia morale».

Tutti, o quasi, comunque, invocano il silenzio. E tutti, o quasi, lo fuggono. L'invocazione sta diventando una moda?
Ravasi:
«Il rischio della moda c'è. Anche se io direi: benedetta questa moda, di fronte a tutta la chiacchiera che c'è in giro. C'è quella, talora ridicola, della meditazione trascendentale. Il ricorso alla New Age, alle forme indiane di terapia dell'anima: miscelare messaggio e massaggio, yoga e yogurt, in modo da avere silenzio perché è molto raffinato ritirarsi in una casa di spiritualità. Tutto questo fa parte di un'esteriorità. Ma c'è un elemento autentico da considerare: l'uomo moderno ha raggiunto alti livelli nella tecnologia, nella capacità di spiegare in maniera meccanica la realtà. L'uomo si è convinto di poter spiegare perfino la morte; di riuscire ad allungare la sopravvivenza, esperienza tr a l'altro non del tutto esaltante. Qual è l'elemento positivo di questa vicenda "tecnologica"? La gente, a un certo momento, ha cominciato a essere insoddisfatta, a rendersi conto che la tecnologia non spiega tutto. Ed è entrata in crisi. Difatti, Woody Allen insegna, ecco il nuovo confessore che è lo psicanalista, ecco il trionfo degli strizzacervelli... Si sono rivolti anche alle grandi religioni. Ma il loro palato spirituale, rovinato dalla tecnologia, non riusciva ad assaporare i mistici, le grandi pagine religiose. Ecco, allora, il ritorno ai surrogati, agli omogeneizzati spirituali».
Olmi: «Tutti invocano il silenzio. Ma forse non hanno il coraggio di affrontarlo. Questi omogeneizzati di sostegno alla incapacità interiore di affrontare queste realtà sono una risposta a una necessità vera in termini di merce, non di valore. Perché può essere merce anche un'ideologia confezionata di comodo per far fronte in quel momento a un problema vero, ma che può costituire ragione di mercato per chi produce quella merce. Crei dipendenza da parte di chi ha bisogno di sostegno, e gli vendi una merce: lo psicanalista che consola. Alla fine paghi il conto, vai a casa, e qualche volta hai l'illusione di essere guarito; qualche volta ti accorgi che senza quella droga non vivi più. È una truffa. Ma la necessità del silenzio corrisponde anche a quell'esigenza di bontà di cui tutti avvertiamo il bisogno: perché sentiamo che il nostro prossimo non è più buono con noi e noi non siamo più buoni con il nostro prossimo».

Come mai?
Olmi
: «Siamo diventati estranei l'uno all'altro. Non si innescano più quelle disponibilità ad innamorarci del prossimo. Non si innamora soltanto la ragazza del ragazzo o viceversa, ma ci si innamora anche fra persone che si riconoscono in grado di entrare in sintonia. Allora, se io dico che sono innamorato di monsignor Ravasi (spero che nessuno ci sospetti di omosessualità), è l'innamoramento di chi sente che gli arrivano delle note, espress e in termini di pensiero, che sollecitano altre note. E quindi siamo in comunicazione, ci cerchiamo. Ecco: dobbiamo compiere uno sforzo per incontrare quello sguardo che ci suscita dentro un sentimento che chiede un dialogo. Se usciamo al mattino da casa, con un minimo di disponibilità a riconoscere nella massa anonima un volto che ci comunica una nota musicale, pur senza parlarci, ma soltanto per esserci scambiati pochi secondi uno sguardo, eh, allora, cominciamo a sentire risuonare dentro di noi un concerto».
Ravasi: «Bella questa immagine».
Olmi: «E infatti la cosa a cui tenevo molto nel film Cantando dietro i paraventi era proprio questa: quando gli uomini trovano le vie della pace, le donne riprendono a cantare nelle loro case».

Come riaffermare, sull'impoverimento, sull'inquinamento etico e spirituale, sullo stato orribile di questi anni, che sono la conseguenza degli aspetti più deteriori della società moderna, l'urgenza di recuperare uno spazio per riflettere e sentire risuonare dentro di noi un concerto?
Ravasi:
«Io non sono felice di vivere in una temperie come questa. Ma non perché questo tempo sia più orribile rispetto al passato. Quando sono nato c'erano Hitler e Stalin che ammazzavano milioni di persone: il mondo era un sudario di sangue. Sa quel è la cosa per cui vengo tuttavia a darle ragione, in maniera convinta?»

No. Qual è?
Ravasi:
«È legata al fatto che, paradossalmente, siamo in un periodo difficile, tristo, proprio perché ci sono meno tragedie e drammi grandiosi. Non abbiamo più, ad esempio, il pensiero di un ribelle come Nietzsche, ma il pensiero debole. Si vive nella superficie delle cose: nella banalità, nel luogo comune, nell'ovvietà, nello scontato, nello stereotipo, nella volgarità... È per questo motivo che, alla fine, il silenzio non c'è. Il silenzio, nella forma alta di cui abbiamo parlato, è un'esperienza che richiede una maturità: delle persone, non degli esseri che vivono. Ricordo un'esperienza fatta con Mario Luzi a Firenze. Eravamo amici. Dovevamo andare a cena insieme: camminavamo sul Lungarno, era il tramonto, si accendevano le luci dietro le finestre e anche il riquadro azzurrino del televisore. E lui mi dice: "Non si sa se la gente è davanti a questo moloch, il televisore, con le mani alzate in segno di resa o in segno di adorazione". È un esempio drammatico. Come è possibile riportare queste persone a scoprire la coscienza, il mistero, il silenzio di Dio, la sua vicinanza, l'ascesi, l'esercizio che rende l'uomo creativo? O l'immagine meravigliosa che nasce dal caos primordiale, come diceva Olmi? Tutte queste cose, se non hai il silenzio, come fai a suggerirle all'uomo di oggi: banale, superficiale, ridotto casomai alla frenesia della musica, che è soltanto ritmo, oppure al chiasso della società?».
Olmi: «Mi viene da dire: attenzione, non vorrei che, in qualche modo, involontariamente, vendessimo anche noi della merce, magari convinti di suscitare un senso di tranquillità nel lettore che dice: "Ah, è così? Va bene, ho capito". Mi spaventerei di fronte a un esito simile. Alla domanda: "Cosa si può fare?", posso soltanto rispondere: "Cominciamo da noi stessi". Già questo ci farebbe capire se quello che ci vendiamo è merce buona o cattiva. Altra cosa: cominciando da noi stessi, in questo silenzio che si fa udire, mi piacerebbe che trovassimo un'idea di Dio non come un altro, ma uno di cui noi siamo parte e lui è parte di noi. Vorrei che questo silenzio mi suggerisse un Dio dell'arcobaleno nel cielo dopo il diluvio: ed è l'arco dell'alleanza. Vorrei che il silenzio suscitasse un Dio così. Purtroppo a volte ci sono dei silenzi che ci turbano e producono un Dio armato, lo stiamo vedendo in questi tempi, un Dio massacratore».
Ravasi: «Massacratore, sì, certo».
Olmi: «Ma siamo noi che lo produciamo. Quindi possiamo produrre un Dio dell'alleanza o un Dio armato».
Ravasi: «Fra l'altro questo Dio dell'esplosione, del rumore sup remo è il contrario del Dio di Elia, che era il Dio del silenzio o dell'alleanza».
Olmi: «Che sembra Dio. Per cui chiedi: "Perché massacra i bambini?", "Perché...?". Ma siamo noi che li massacriamo. E abbiamo bisogno, qualche volta, di giustificare il nostro atto, dicendo: "Perché è Dio che ce lo chiede"».
Ravasi: «Con argomentazioni religiose, parallele al fondamentalismo».

Come vi piace concludere?
Olmi:
«Quando le forze fisiche non ti sostengono più e senti che il rapporto col mondo si sta allentando, ma hai ancora a disposizione un po' di vita, cos'è che può dare senso al tempo che stai vivendo, se non l'ascolto? Che non è più l'ascolto dell'infanzia per scoprire il mondo, ma della vecchiaia che scopre il significato dell'esistenza».
Ravasi: «Ha ragione Pitagora: "Il sapiente (quando è arrivato al livello supremo della conoscenza) non rompe mai il silenzio se non per dire una cosa più importante del silenzio"».