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Pandemìa farmacologica. Si salvi chi può

di Angelo Spaziano - 22/02/2010

Gli antichi greci dicevano che la vecchiaia, di per se stessa, è già una malattia. Bene. Si dà il caso che ai tempi di oggi il mondo occidentale invecchia sempre più rapidamente. Le nascite, infatti, dalle nostre parti si sono da tempo pericolosamente contratte, arrivando a raggiungere tassi irrisori, tali da non riuscire più a garantire neppure il semplice, naturale ricambio del “parco macchine”. Nello stesso tempo, le nuove avanzatissime tecnologie farmacologiche permettono oggigiorno di curare le più svariate patologie, allungando la vecchiaia dei figli di Adamo fino a traguardi solo pochi anni addietro del tutto impensabili. Il risultato di questa paradossale situazione è che le nostre società sono delle esauste gerontocrazie, dove i matusalemme prosperano a svantaggio degli ultimi arrivati.

L’Homo Sapiens è incorso più o meno nel beffardo destino del mitico Titone, il bellissimo marito di Eos, la dea greca dell’aurora, che ottenne dagli dei il peloso dono dell’immortalità. Solo che lo sprovveduto aveva dimenticato di chiedere anche l’eterna giovinezza. E fu così che Titone vedeva il suo corpo invecchiare lentamente giorno per giorno, anno per anno fino a diventare un fossile vivente macerato da terribili sofferenze, ma senza poter mai esalare l’ultimo, liberatorio respiro. Le implicazioni economiche di questo fenomeno sono completamente a carico del nostro già scassato sistema sanitario, sempre a rischio implosione. La crisi attuale, infatti, che sta passando come un rullo compressore su pressoché tutti i comparti dell’economia, fa letteralmente un baffo al settore farmaceutico, che gode di una salute invidiabile.

E’ noto che l’esistenza umana, raggiunta una certa età, procede lungo tristi binari chimici fatti di compresse, pasticche, iniezioni e cataplasmi vari. Ogni alba è scandita dal solito dolorino che richiede l’attenzione del dottore. I reumatismi, il colpo della strega, il ginocchio della lavandaia, l’alluce valgo, il cuore malandato, la bronchite cronica, i reni, la gotta, la gastrite. Ogni giorno è uno stillicidio di antinfiammatori, antidolorifici, ipotensivi, anticolesterolici, ipoglicemizzanti. A questa già difficile congiuntura occorre aggiungere la tendenza tipica delle nostre insicure e fragili società a usare, ma soprattutto ad abusare, dei farmaci. Le vere e proprie scorpacciate di antidepressivi sono la cartina tornasole del profondo malessere in cui versano le nostre “opulente” contrade.

Lo scrittore americano Charles Bukowski “amava” definire gli Stati Uniti «la terra delle mogli depresse», ma anche da noi in quanto a depressione e ipocondria non si scherza. Ogni epoca contemporanea, infatti, specialmente a partire dal dopoguerra, può agevolmente essere scandita al ritmo di originali “pietre miliari” farmaceutiche. Così, se negli Anni 60 si assistette al boom della pillola anticoncezionale, i Settanta furono testimoni della sagra del Prozac, gli Ottanta dei “cocktail” anti Aids, i Novanta del Viagra. Il terzo millennio è stato la culla dell’ecstasy, indispensabile ingrediente dello sballo del week end reclamizzato pure da tristi personaggi dello spettacolo da sempre adulati e coccolati dai massmedia.

Inoltre, grazie al degrado morale in cui è piombata la categoria medica, oggi tutto passa per la mente degli sciamani dell’ars medica tranne che prendersi cura in modo sano e disinteressato del paziente. Celebre la cinica maschera del dottor Tersilli, “medico della mutua”, bellissimo film interpretato da un Alberto Sordi in grande spolvero. L’arte medica, insomma, secondo gli antichi ma sacrosanti dettami di quella buonanima di Ippocrate, dovrebbe essere perseguita esclusivamente come una filantropica missione da svolgesi al disinteressato servizio dell’umanità. Tuttavia oggi ci si adopera, certo, ma non mirando al benessere dell’ammalato, ma soltanto al servizio della “major” farmaceutica di riferimento. Non è più l’integrità fisica e psichica del malato, insomma, a rappresentare l’obbiettivo primario del medico, ma al contrario, vengono artificialmente favoriti diabolici meccanismi finalizzati a tenere sotto scacco gli individui più bisognosi di cure, così da indurli a una subdola e cinica farmacodipendenza.

A questo scopo tutto fa brodo, pure i placebo o i prodotti scaduti rifilati ai parìa del terzo mondo. Recentemente il “promoter” di una grande casa farmaceutica statunitense esordì affermando che l’intendimento suo e del suo gruppo era di «vendere medicinali anche ai sani». Figuriamoci cosa accade ai malati di gravi patologie. In molti casi, le costose e “cruente” cure imposte dalle assatanate case farmaceutiche, assurte all’inquietante ruolo di autentiche cupole mafiose, potrebbero validamente essere soppiantate con l’impiego dei ritrovati della medicina alternativa, meno cari e meno devastanti per l’organismo, ma altrettanto, se non di più, efficaci. Si tratta cioè di pratiche mediche “light” che al posto delle micidiali “bombe” chimiche indiscriminatamente propinate a chiunque abbia la ventura di cadere nelle mani di questi boss della medicina, propone rimedi più soft messi a nostra disposizione da madre natura.

Invece no. Si dichiara guerra indiscriminata a chiunque osi uscire dal coro del politically correct e lo si costringe al silenzio con un pervicace ostracismo, se non con la damnatio memoriae. Non occorre riandare molto indietro nella memoria per rammentare le squallide performance perpetrate dalle lobby farmaceutiche e dai loro accoliti. Si ricordino le umilianti mortificazioni di cui fu vittima il dottor Di Bella ad opera della ministra Rosi Bindi o gli infami episodi della Talidomide o la più recente epidemia di Smon provocata in Giappone dall’avidità delle industrie del farmaco. L’ultimo episodio di malcostume è stato quello dello scandaloso business dell’Influenza A, provvidenzialmente intervenuto a rimpinguare fraudolentemente le già rubiconde casse delle rapaci multinazionali del farmaco.

A causa dell’allarme astutamente diffuso sul morbo-patacca di provenienza centroamericana, si è favorito lo scriteriato acquisto da parte dei governi di tutto il mondo di milioni di dosi di vaccino risultate poi del tutto inutili. E nessuno fin’ora s’è preso la briga di fare luce sui perché di questa pandemia-burla, sulle tante bufale che ci hanno propinato e sui loschi magheggi delle case farmaceutiche e dei loro agenti. Si tratta sempre delle solite trame delle multinazionali dei veleni come la “Global Health Foundation”, dello stesso Bill Gates, o la Cfr, “Council on Foreign Relations” di Rockefeller.

Ora a fare gli untori ci si sono messi anche i cinesi, abituati a pasteggiare con riso e antibiotici. Non solo li ingurgitano loro, ma li propinano anche agli animali, i cui alimenti sono fraudolentemente infarciti di tutte le peggio schifezze chimiche e battericide. I contadini dell’impero di mezzo, infatti, usano alterare foraggi e mangimi per non correre il rischio di fare ammalare – e dimagrire – bovini e pollame, mantenendoli così sempre appetibili per il consumatore. Questa pratica, secondo le fonti mediche, rischia di creare generazioni di superbatteri resistenti a tutti i medicinali. Insomma, a causa del meccanismo superconsumista ora invalso tra gli orfani di Mao, si potrebbe favorire lo sviluppo di veri e propri ordigni di distruzione di massa. Armi di sterminio nascoste nei “drogati” organismi di un miliardo e mezzo di cinesi sempre più propensi a viaggiare e a diffondere morbi. Un miliardo e mezzo di bombe umane brodo di coltura di nuove generazioni d’indistruttibili batteri-killer pronti entro poco tempo a seminare il panico anche nelle nostre contrade.

Ci sono dati da cui emerge l’allarmante prospettiva di dover far fronte, in un prossimo futuro, a una pandemia accompagnata da un’alta resistenza agli antibiotici. Secondo notizie filtrate attraverso la spessa cortina di bambù, i medici dell’impero di mezzo non saprebbero più cosa fare e le medicine non funzionerebbero più. Esiste il rischio reale, insomma, di un ritorno alla situazione pre-penicillina, una deprecabile congiuntura in cui molti trattamenti medici si rivelerebbero inefficaci. Per questo quel che succede in Cina preoccupa moltissimo la comunità sanitaria internazionale.

Per capire come si siano sviluppati questi superbatteri basta rammentare il caso del Ddt, l’insetticida con cui si pensò di sterminare finalmente le zanzare e debellare la malaria. Esiste una regola di natura secondo la quale quel che non uccide rafforza. Questa condizione permise a pochi tenaci insetti sopravvissuti alla strage di sviluppare ceppi resistenti al Ddt. Lo stesso sta avvenendo oggi nel corrotto regno dei mandarini, dove l’abuso di antibiotici provoca lo sviluppo di superbatteri-assassini. Più interessanti, per comprendere le intrinseche e autodistruttive aberrazioni del “comunis-consumismo” sono le ragioni che spingono Pechino a questa follia.

L’origine della perniciosa abitudine va ricercata nella cronica mancanza di risorse messe a disposizione della Sanità dai satrapi della Città Proibita. Una penuria ormai cronica, che costringe gran parte dei nosocomi cinesi ad autofinanziarsi rivendendo al pubblico grandi quantità di medicinali. In alcune città gli antibiotici rappresentano un buon 50% delle medicine prescritte dai sanitari e vendute dagli ospedali. Nonostante i parametri dell’Oms fissino quote d’impiego di antibiotici non superiori al 30% si calcola che almeno il 60% dei pazienti cinesi, ovvero il doppio, sono curati con antibiotici in barba a tutte le indicazioni e regole di buonsenso.

Le conseguenze di questa pazzesca pratica economico-sanitaria sono inquietanti, perché persino un batterio come lo stafilococco aureo, prima eliminabile con una semplice dose di penicillina, adesso ha raggiunto percentuali di resistenza ai battericidi intorno al 70%. La situazione reale potrebbe però essere anche peggiore di quanto ammesso ufficialmente. Secondo alcuni esperti il regime avrebbe imposto il segreto sui dati più allarmanti. Le autorità infatti avrebbero un quadro abbastanza chiaro della situazione, ma il panorama sarebbe tanto devastante da spingere chi di dovere alla censura. E negli ospedali intanto i medici sarebbero alla disperazione, avendo scoperto di essere assolutamente impotenti a fronteggiare la situazione. A volte neppure gli antibiotici di terza o quarta generazione funzionano più. Per rendere un’idea del disastro provocato, i mostruosi nuovi superstaffilococchi sembrano insensibili anche ai farmaci che combattono l’antrace. Insomma, il pericolo giallo sconfina dall’economia al settore sanitario. Ma tutto scaturisce dall’amplesso contro natura tra il comunismo e il peggior capitalismo. Che per la nostra e l’altrui salvezza dovranno essere spazzati via. Insieme.