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Non dire gatto se non ce l'hai nel piatto!

di Fabio Mazza - 28/02/2010

    



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Tra le tante “perle” del politically correct nostrano, una delle più recenti è quella del licenziamento dalla Rai di Bigazzi, il noto “esperto di cucina” e tradizioni culinarie che partecipa alla trasmissione “la prova del cuoco”. La motivazione consiste nel fatto che lo stesso durante la trasmissione abbia rievocato un proverbio delle sue parti, in Toscana, che recitava esattamente “A berlingaccio (a carnevale cioè in dialetto), chi non ha ciccia ammazza il gatto”, suscitando la stupefatta reazione della conduttrice Elisa Isoardi, che, mentre l’anziano esperto narrava come storicamente, non essendoci modo di mangiare altri animali oggi più “popolari”, il gatto tenuto nell’acqua del torrente appeso per tre giorni e cucinato con particolare maestria fosse una vera delizia, lanciava sguardi di incredulità mista a compatimento, come se stesse guardando un vecchio rincoglionito che stesse proponendo una sorta di cannibalismo.
La reazione della direzione Rai non si è fatta attendere e subito il buon Bigazzi è stato “epurato” per non turbare ulteriormente, con i suoi discorsi da superato e cinico vecchio, le buone coscienze di chi al gatto compra cappottini, collarini d’oro e via dicendo. La stessa direzione che non trova nulla di riprovevole a mandare in onda programmi spazzatura dove vengono inculcati modelli deleteri al passivo e drogato pubblico televisivo. Dove “tuttologi” discorrono, senza alcun titolo che non sia la semplice notorietà, dei “massimi sistemi” ascoltati come luminari dall’esercito di mediocri abbruttiti davanti al malefico totem che campeggia nei loro salotti.
Figuratevi. Il problema non è impostare la prima serata di una rete con programmi spazzatura come l’ “isola dei famosi”; non è proporre modelli che stanno disgregando la società dall’interno; non è aver eletto il “mediaset way of life” come punto d’arrivo. Il problema è rammentare alle nuove generazioni, rappresentate egregiamente dalla Isoardi, che un tempo, quando l’uomo era ancora tale, e non un pollo di batteria, ammaestrato a ridere, piangere, applaudire da “madre” televisione, quando le esigenze della vita erano vagamente più ardue, e i ragazzi non erano aggrediti da quintali di cibo industriale di bassa qualità, venisse naturale, quando si aveva fame, mangiare quello che capitava. E che, prima che il benessere rendesse l’uomo una creatura infelice e senza spina dorsale, prima che sull’animale venissero rovesciati quegli affetti e quella vicinanza che erano tipici della comunità umana oggi disgregata, l’animale era, appunto, un animale. Ciò non voleva dire, si badi bene, che l’uomo fosse automaticamente crudele con la bestia e la sottoponesse ad angherie gratuite (che forse sono molto più diffuse oggi che allora): stava solamente a significare che l’essere umano aveva, forse, una più alta considerazione del suo “ruolo” nell’esistente; sicuramente che le esigenze della vita erano tali da non dare il tempo per moine e infrollimenti.
La reazione della Isoardi, è la classica reazione di una figlia della modernità e del benessere, che, dall’alto del suo frigo pieno e della sua vita nella bambagia, tratta come un barbaro e un incivile un vecchio che esprime semplicemente un dato di fatto. È il trionfo dei “viziati” di oggi, che, immemori di qualunque sacrificio fatto da chi li ha preceduti, sbeffeggiano chi aveva altri problemi oltre che quello di darsi ad aperitivi, di spendere centinaia e centinaia di euro in vestiti, e di pulirsi la coscienza con la tessera del WWF o di Greenpeace, senza nel contempo mettere minimamente in discussione i presupposti che hanno generato quelle situazioni emergenziali e di degrado. È la classica spocchia di chi, non capendo le cose, le tratta come forme inferiori e meno “evolute”, ritenendo l’avere animali obesi in casa, compragli cappottini e ciabattine, un progresso della società, una dimostrazione di sensibilità.
Le contestuali indignate reazioni degli “animalisti” sono quelle delle stesse persone che trovano scandaloso che altre culture apprezzino il cane come alimento, o che dissanguino animali in maniera che a noi pare crudele, e che vorrebbero moratorie internazionali per questi “crimini”, per far capire a tutte le popolazioni del globo cosa sia la civiltà, finanche nel campo alimentare. È inconcepibile, per tali persone, che i gusti, i costumi e il modo di approcciarsi alla realtà delle persone cambino a seconda della latitudine e del tempo. Incapaci di vedere la barbarie attuale della decadente “società” occidentale, stigmatizzano qualsiasi devianza dal modello imperante come “barbara”, come “inferiore”, come “incivile”.
Sono gli stessi animalisti d’assalto che stigmatizzano qualsiasi consumatore di carne come un essere senza sentimenti, crudele e non in “contatto con la madre terra”, con il corollario di medici ed esperti, tra cui l’esimio Professor Veronesi, che minacciano costantemente chiunque basi la sua alimentazione sul consumo di carne di malattie incurabili oltre che di essere insensibili al futuro del pianeta, perché, visto che la popolazione mondiale cresce, se l’uomo non smette di allevare animali non ci sarà più cibo per tutti. Di norma con un sinistro sottinteso che l’animale sarebbe migliore dell’uomo, che è per natura un essere malvagio (e qui non staremo a scomodare augusti pensatori per sottolineare come la degradazione dell’uomo a forme animalesche, paragonandolo, o ponendolo sullo stesso piano dell’animale, sia tipico portato della decadenza). Dimenticano codeste “anime belle”, come l’uomo sia onnivoro e che da che mondo è mondo, ben prima che esistesse il seitan, la soia biologica e via dicendo, si è nutrito di animali. Per inciso sono le stesse persone che, nella maggior parte dei casi, sono favorevoli alla fecondazione assistita, all’aborto indiscriminato, a “eguali diritti” (oh quale ironia) per gay e lesbiche, e che di solito vengono dalle frange post sessantottine che tanto male hanno fatto e fanno ancora alla nostra disgraziata società.
Da parte nostra diciamo solo che amiamo gli animali, di cui la nostra vita è circondata. Li amiamo a tal punto che li rispettiamo per quello che sono, cioè animali, e non vorremmo mai nel bene e nel male, dargli “diritti” di cui essi non saprebbero che farsi e che servono solo a far sentire i loro banditori più giusti, più equi e più umani. Lungi dall’apprezzare le crudeltà perpetrate ingiustamente sugli animali (leggasi vivisezione e allevamenti per esempio), espressione tipica della degenerazione moderna, siamo però anche contrari ad un “pietismo”, ad una visione sfaldata e sentimentale al limite dell’isteria (tipico connotato di società in disgregazione), edulcorata, buonista e ipocrita non solo della natura, ma di tutto l’esistente.