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Come la cura Prodi ha rottamato anche l'Europa

di Roberta Angelilli - 25/04/2006

 

 

 

 

Romano Prodi: storia di un anti-italiano. Con questo titolo, abbiamo voluto scrivere una nuova biografia non autorizzata sul candidato premier del centro-sinistra, soffermandoci sul suo passato più recente, che troppe volte viene dimenticato. Ci riferiamo al periodo che va dal 1999 al 2004, quando Romano Prodi è stato Presidente della Commissione europea.  Certo, ci sarebbe piaciuto raccontare ancora una volta delle gesta del Professore bolognese quando era presidente dell’Iri, di quelle discusse privatizzazioni che, in realtà, furono delle vere e proprie svendite del patrimonio economico italiano. Ricordare il destino di marchi prestigiosi e storici della nostra industria alimentare, da Motta ad Alemagna fino a Cirio, di fatto regalati alle multinazionali. Ricordare ancora che proprio dalla gestione Prodi nascono i guai dell’Alitalia, negli anni ’80 tra le prime compagnie al mondo, e delle acciaierie di Terni, che rappresentavano un polo industriale d’eccellenza. Si potrebbero rievocare, per l’ennesima volta, le polemiche sulle consulenze d’oro della società Nomisma, di cui il Professore è stato presidente fino al 1995, o sull’oscura vicenda di Telekom Serbia che, scandali politici a parte, fece perdere all’Italia 500 miliardi delle vecchie lire. Quello di Prodi è, infatti, un ritratto politico degno di Dorian Gray, che offre sin troppi spunti di riflessione. Come noto, il suo primo inquietante esordio pubblico fu nel 1978, nel corso del rapimento Moro, quando Prodi, dopo aver partecipato ad una seduta spiritica, raccontò che bisognava indagare su Gradoli, pensando che fosse un paesino vicino al lago di Bolsena. Indicò anche due numeri, di cui uno si accertò poi corrispondere al civico della strada dove si trovava il covo in cui fu detenuto Aldo Moro. Prodi è stato, poi, ministro di provata fede democristiana, uomo di potere durante quindici governi della Prima repubblica, nel pentapartito, nell’era Craxi e nei governi tecnici di Amato e Ciampi, fino al 1995 quando fondò l’Ulivo, diventando il leader, pro-tempore, del centrosinistra italiano. Ma su tutto questo si sono già versati fiumi di inchiostro: da qui la scelta di elaborare un dossier dove riepilogare le peggiori performance prodiane in Europa. È bene ricordare che Romano Prodi divenne presidente della Commissione europea nel maggio 1999, dopo un regolamento di conti interno al centrosinistra, che portò alla defenestrazione del Professore dalla Presidenza del Consiglio italiana. La sua nomina a Bruxelles ha rappresentato, quindi, una sorta di “cambiale politica” che la sinistra italiana ha imposto alla sinistra europea a titolo di risarcimento nei confronti di Prodi.

“Il guaio degli uomini è che essi dimenticano”, recita Merlino nel film Excalibur. Proprio per questo, vogliamo riportare alla memoria i fatti che tracciano la storia di un Prodi anti-italiano che utilizzò le istituzioni europee solo come un taxi per tornare a fare politica in Italia e che, pur di andare contro il Governo di centro-destra, non esitò a danneggiare il nostro Paese. Con l’aiuto di Alfio Krancic abbiamo cercato di raccontare almeno 7 buoni motivi per non fidarsi di Romano Prodi.

 

Primo motivo

Prodi è fuggito dalle responsabilità sugli scandali della Commissione europea: il caso Eurostat

Durante la presidenza Prodi, l’Eurostat, l’istituto europeo di statistiche, fu travolto da uno scandalo di consulenze d’oro e creazione di fondi neri. Tra il 2002 e il 2003,  il caso diventò di dominio pubblico e l’inchiesta penale della magistratura francese trovò le prove di un’ampia organizzazione di truffe ai danni dell’Unione. Il caso Eurostat ebbe una grandissima risonanza in tutta Europa perché coinvolse un istituto che ha un ruolo di vigilanza sui conti pubblici degli Stati europei e che, quindi, non può essere nemmeno lontanamente sfiorato da dubbi o sospetti sulla trasparenza e sulla correttezza dei suoi atti. Lo scandalo implicò numerosi dirigenti di Eurostat e, di conseguenza, la Commissione europea e il suo presidente. Si scatenò un assedio mediatico, politico ed istituzionale. La stampa internazionale chiamò Prodi direttamente in causa, ma lui si affrettò a dire di non saperne nulla, benché una pattuglia di eurodeputati avesse dimostrato, con più di cento interrogazioni, che Prodi non poteva non sapere. Nel gennaio 2004, in una lunghissima risoluzione, il Parlamento europeo arrivò ad accusare la Commissione Prodi di aver tenuto segreto lo scandalo e di essere intervenuta troppo tardi. Dopo alterne vicende lo psicodramma culminò con una vera e propria mozione di censura contro Prodi. A quel punto, la Commissione , messa alle strette, ammise la frode per più di cinque milioni di euro, liquidando il fatto come “un’eccezione deplorevole”, nel tentativo di autoassolversi.  Intanto, il presidente Prodi evitò di assumersi qualsiasi responsabilità e si fece notare solo per i suoi silenzi e per le sue assenze.

 

Secondo motivo

Prodi ha danneggiato

l’Italia con i suoi silenzi: l’ingiustizia dell’Assegno inglese

Romano Prodi si è contraddistinto anche per un silenzio complice e assordante sull’odiosa ingiustizia del cosiddetto “Assegno inglese”. Si tratta di una storia complessa. Dalla fondazione della Comunità europea, ogni Paese partecipa con una propria quota nazionale al bilancio comunitario. Da oltre vent’anni, l’unica a fare eccezione è stata la Gran Bretagna che ha contribuito in maniera del tutto irrisoria al bilancio dell’Unione europea, visto che l’Europa ha sempre restituito a Londra la quasi totalità della somma versata. Questo vero e proprio rimborso si chiama “Assegno inglese”. Nel 1984, il Premier britannico Margaret Thatcher, sostenendo che il Regno Unito era in una situazione economica molto difficile, pretese ed ottenne dall’Unione il rimborso di due terzi di quanto versava. I costi di questo sconto ottenuto dall’Inghilterra -di fatto un autentico privilegio- furono ripartiti tra gli altri Stati membri dell’Unione europea, ma in maniera diseguale. A pagare fu soprattutto l’Italia, che accettò passivamente un conto sempre più salato. Quando nel 2000 l’Assegno fu ridiscusso in sede comunitaria, il governo di Massimo D’Alema e il governo Amato non fecero nulla per cambiare la situazione. Anche Prodi, di fatto, preferí tacere. Così l’Italia è arrivata a “sborsare” a Londra una cifra record pari a un miliardo e mezzo di euro all’anno, cioè quasi tremila miliardi di vecchie lire, sottraendo preziose risorse allo sviluppo del nostro Paese, in particolare alle aree svantaggiate del Mezzogiorno. Nel dicembre 2005 la Gran Bretagna ha finalmente ceduto sul tanto discusso “Assegno inglese” e ha rinunciato a dieci miliardi e mezzo di euro dello sconto. Determinante è stata la battaglia fatta dall’Italia e in particolare dal ministro degli Esteri, Gianfranco Fini.

 

Terzo motivo

Prodi ha utilizzato le

istituzioni europee per

fare politica in Italia

Prodi ha utilizzato le istituzioni comunitarie per attaccare il Governo italiano di centrodestra. Anche per questo il Professore riuscì ad attirarsi le critiche di tutta la stampa internazionale e di buona parte del mondo politico. I mass media hanno spesso dipinto Prodi in modo pittoresco: “stile disordinato”, “scarsa padronanza delle lingue”, “manager incapace”, “uomo sbagliato per l’incarico di presidente della Commissione”, “allarmante inclinazione alle gaffes”. Addirittura l’inglese The Guardian sentenziò: “Prodi ha fallito in modo disastroso nel comunicare, persino in lingua italiana”, dopo che, nell’ottobre 2002, il Professore definì “stupido” il Patto di Stabilità, cioè l’accordo per far rispettare i criteri di Maastricht. Quell’aggettivo gli costò caro, perché nelle relazioni internazionali non sono particolarmente apprezzate le espressioni colloquiali quando si parla di argomenti tecnici. Un anno dopo, nel novembre 2003, il Professore diventò una sorta di zimbello delle istituzioni comunitarie, quando, presentando il manifesto politico L’Europa: il sogno, le scelte, scese in campo come leader dell’Ulivo in Italia. Per Bruxelles era inaccettabile la doppia veste di Prodi: non poteva avere, allo stesso tempo, l’incarico istituzionale europeo e il ruolo di leader dell’opposizione in Italia. Autorevoli quotidiani europei come il Mundo, il Times e il Frankfurter Allgemeine Zeitung consigliarono a Prodi di dimettersi e anche nell’Aula di Strasburgo si alzò un coro pressoché unanime: o l’Europa o l’Italia. Ma il massimo della performance contro l’Italia fu nell’aprile 2004 quando Prodi, in maniera del tutto atipica e impresentabile sia in termini di linguaggio che di procedure, annunciò con un comunicato stampa la presunta messa in mora dell’Italia per il possibile sforamento del 3% nel rapporto deficit-Pil. L’annunciato early warning (in termini tecnici “avvertimento preventivo”), così come è chiamata ufficialmente la procedura sanzionatoria, creò un evidente e naturale shock politico-finanziario. Peccato che non era vero assolutamente nulla:  il provvedimento, infatti, non fu mai formalizzato e, anzi,  il Fondo Monetario Internazionale smentì categoricamente Prodi.  Il settimanale inglese The Economist, per l’occasione, pubblicò un eloquente articolo di fondo dal titolo La Commissione europea si sta disintegrando.

 

Quarto motivo

Prodi ha assecondato

l’invasione commerciale cinese

Gli anni della presidenza Prodi coincidono con le trattative chiave per l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) e soprattutto con l’inizio del boom commerciale cinese in Italia e in Europa. Dal 2000 al 2004 l’importazione di merci della Cina è aumentata del 700%. E questo senza contare le merci illegali e contraffatte. La genesi dell’invasione cinese ha inizio nel maggio 2000: proprio in quella data si chiuse l’accordo che ha dato il via libera all’ingresso del colosso asiatico nel Wto. Prodi non perse l’occasione per esprimere “soddisfazione”, per definire l’accordo “storico” e per dichiarare che l’intesa rifletteva “gli specifici interessi europei sul mercato cinese” ed avrebbe assicurato “molti posti di lavoro ai cittadini europei”. Tra il 2000 ed il 2004 ci furono ben tre vertici  tra Europa e Cina, durante i quali sarebbe stato possibile chiedere maggiori garanzie per le imprese europee. Ma queste occasioni non furono colte da Prodi che, invece, continuava a rilasciare dichiarazioni altisonanti e faceva finta di non vedere il disastro ormai alle porte. In realtà l’era Prodi si è conclusa con un bilancio catastrofico: 28mila aziende in crisi e 90mila posti di lavoro a rischio solo nel settore tessile in Italia.

Ma anche altri comparti strategici per la nostra economia subiscono una concorrenza sleale senza precedenti. Solo con l’avvento della Commissione Barroso, nel 2005, sono stati presi i primi tardivi provvedimenti per cercare di far fronte allo shock di importazioni cinesi. Peccato che dopo cinque anni di prodiana passività, il danno sia diventato quasi irreparabile.

 

Quinto motivo

Prodi ha cercato di boicottare Parma come sede per l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare

L’Agenzia europea per la sicurezza alimentare ha oggi sede in Italia, a Parma, grazie all’impegno del governo di centrodestra. Fin dall’inizio, la patria del parmigiano e del prosciutto era la candidata naturale, quasi scontata, per l’Authority, ma grazie alle proposte surreali del presidente Prodi è arrivata al traguardo solo dopo un percorso tortuoso e sofferto. Nel febbraio 2001 il presidente della Commissione lasciò tutti sbalorditi quando indicò la città di Lussemburgo come sede dell’Agenzia. Prodi spiegò che aveva fatto la proposta “con serietà” poiché aveva bisogno di “razionalizzare la distribuzione geografica degli Uffici della Commissione”. Esigenze pretestuose di chi aveva solo l’intenzione di remare contro l’Italia. Oltretutto il Lussemburgo non aveva mai presentato formale richiesta per l’Autorità alimentare, al contrario di Parma che aveva avanzato da anni la sua candidatura. Da sinistra a destra, si alzò un coro di proteste: Prodi venne definito un “grigio burocrate” e la sua idea di Lussemburgo una “cosa ridicola”.

 

Sesto motivo

Prodi ha svenduto i nostri vini di qualità

Prima o poi troverete sullo scaffale del supermercato l’Amarone della Valpolicella prodotto in Cina. E questo grazie a Prodi ed al regolamento varato dalla sua Commissione, il 316/2004, che, in barba alle dichiarazioni sulle necessità di tutela delle denominazioni di origine, ha dato il via libera alla produzione pirata dei nostri vini, aprendo la strada all’Amarone cinese, al Morellino cileno o al Brunello sudafricano. La Commissione Prodi ha di fatto autorizzato l’abuso delle menzioni tradizionali, nonostante la forte opposizione dei produttori. Anche le richieste del ministro Alemanno, per una più attenta verifica del testo, sono purtroppo rimaste lettera morta. L’euroburocrazia di Prodi ha così vinto contro secoli di tradizione e di eccellenza.

 

Settimo motivo

Prodi è riuscito a trasformare l’euro in un incubo

Prodi ha sempre avuto una vera e propria fissazione per l’euro ed era pronto a tutto per realizzare l’unione monetaria. Lo ammise esplicitamente a Strasburgo, quando affermò che aveva “personalmente” deciso di “forzare” la politica italiana per partecipare, fin dall’inizio, alla costruzione dell’Unione monetaria. Così Prodi fece pagare il costo di questa frettolosa operazione monetaria agli italiani con un balzello inventato per l’occasione. Infatti, nel 1996, Prodi costrinse i contribuenti nostrani a pagare la famigerata “eurotassa”.

Nell’anno cruciale delle trattative per l’euro, Prodi, pur di portare a casa il risultato, accettò supinamente un tasso di cambio sfavorevole per l’Italia, nonostante il costo eccessivo dell’operazione. E questo ha determinato l’inizio di una progressiva diminuzione delle nostre esportazioni. Diventato presidente della Commissione, Prodi restò sordo alle richieste di tanti cittadini che chiedevano l’introduzione della banconote da uno e due euro. Ma soprattutto accolse, senza alcuna opposizione, il provvedimento che limitava solo a sessanta giorni il periodo di doppia circolazione di lira ed euro. Accadde, quindi, quello che i consumatori temevano, cioè un’inevitabile confusione che ha creato il grande equivoco dell’“effetto raddoppio”: nella pratica quotidiana troppo spesso abbiamo assistito ad un’impennata dei prezzi e le “vecchie” mille lire sono diventate un euro.