Un po' alla buona. Considerazioni ex post
di Gianfranco La Grassa - 02/04/2010

Parliamo pure con tono un po’ casereccio, familiare, senza eccessivo impegno. Ormai si saprà che non ritengo decisive le “elezioni democratiche” per le sorti del paese; almeno nel medio periodo in cui si vedrà presto che la crisi più che essere passata si renderà quasi cronica e non consentirà nuove opportunità di grande crescita economica. Tutto si giocherà sullo sviluppo, in quanto capacità di accelerare e orientare le trasformazioni produttive e sociali che comunque si verificheranno; e tale orientamento non si otterrà certo con l’economicismo reale di tutti coloro che credono di superarlo con l’effimero bla-bla sulla decrescita o sull’ambientalismo, con l’opposizione a qualsiasi scelta si faccia, ecc. In realtà, occorrerebbero decisioni politiche nette e recise di rafforzamento del sistema sociale oltre che economico; certamente senza chiusure autarchiche bensì invece di partecipazione, con una giusta combinazione di alleanze e competizione, alla lotta internazionale; non nel mercato “globale” secondo le ristrette vedute degli economi(ci)sti, ma nel nuovo contesto del multipolarismo in accentuazione.
Se c’è un elemento di soddisfazione nelle elezioni regionali, non sta affatto in considerazioni relative a motivazioni politiche, perché da questo punto di vista credo di essere strettamente neutrale e spassionato nel giudicare i successi o insuccessi dei vari schieramenti. Ho provato soddisfazione solo perché ho visto chiaramente “scornati” quelli detti “di sinistra”. A parte che simile denominazione è ormai sempre più cervellotica. Come si possano considerare di sinistra i tipi che stanno con un Di Pietro, ormai sfugge ad ogni valutazione razionale. Si tratta di puri “sfasciacarrozze”, energumeni dediti all’insulto e all’urlo roco. Per di più, non soddisfano più tanto tutti i dementi che circolano in quell’area, cosicché sono nati anche i “grillini”, ancora più energumeni, con la voce ancora più roca, l’insulto facile, ogni tipo di ragionamento politico assente (a dir la verità, si dovrebbe dire che è assente ogni ragionamento, anzi ogni organo deputato a tale compito negli esseri appartenenti al genere umano).
Siccome però costoro hanno una faccia, e questa ha comunque delle espressioni che assomigliano a quelle umane, è stata una bella soddisfazione constatare che queste non erano per nulla manifestazioni di giubilo. Hanno tentato, ma inutilmente, di essere contenti quelli del Pd, ulteriore accozzaglia informe di ex piciisti (che da vent’anni hanno ormai rinnegato tale provenienza) e di altri ex di varia estrazione, tra la Dc e il Psi e dintorni. Questa è appunto chiamata, inspiegabilmente, sinistra nel nostro strano paese. In ogni modo, questi ambigui personaggi davano ormai per scontata la fine dell’era berlusconiana, per sconfitti i loro incubi, quelli che hanno impedito a simili sciamannati di avere in mano, senza più alcuna opposizione, il governo del paese dopo la sporca operazione denominata, con linguaggio invertito alla Orwell, “mani pulite”. Ben si sa che, dietro di loro, vi erano i mandanti americani, i nostri confindustriali, ecc. Tra questi ultimi, però, è adesso più complicato vedere chi è rimasto maggiormente scornato, chi ha fatto solo buon viso a cattivo gioco. Le facce più lunghe sono al momento quelle dei politicanti della sinistra. Grande soddisfazione ho inoltre provato nel vedere sprofondare quella detta estrema, i vari rifondaroli, pidicisti e compagnia cantando; reperti archeologici e nauseabondi, ormai vitali quanto le tarme sommerse dalla naftalina. Si dirà che è rimasto Vendola. Tempo al tempo, andrà presto a giocare con la sinistra dei transfughi piciisti e rimasugli diccì-piesseì.
Ancor più grande è la soddisfazione di vedere tramortiti gli “intellettuali”, quelli dell’“egemonia” di sinistra, quelli che seguono i travaglini e i furiocolombini, quelli che annunciano sempre di andarsene dall’Italia poiché il popolo coglione vota a “destra”, quelli che da 16 anni urlano al fascismo montante: o perché non sanno più la storia o forse perché sono dei fasulli, la cui pretesa egemonia non conta più nulla, in quanto più nulla esiste nel loro cervello pieno di crusca e di semola (o di paglia e fieno). Da trent’anni almeno (facciamo 40?) non hanno più nulla da dire, si montano l’un l’altro come geni, firmano appelli pieni di idiozie facendole passare per grandi idee che infine, se seguite, monderebbero il popolo dalla sua rozzezza. Se ancora ci sono, se impestano giornali e TV, riviste e case editrici è però perché abbiamo la più meschina e troglodita classe dirigente economica del mondo, che paga tutta questa cianfrusaglia; quei riccastri (non più signori borghesi), le cui mogli e mantenute varie, mature, grassocce e non proprio Veneri, ricevevano in incolti salotti nel ’68 (e successivi) i “giovanottoni rivoluzionari”, non certo per “prendere” da loro le “avanzatissime idee” di riscatto sociale. Oggi, mancano quei giovanottoni, ma per il resto tutto è ancora più marcio e sfatto.
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Certamente, la soddisfazione è solo momentanea. A questo però aggiungasi che chi non è affondato, nemmeno può però sostenere di aver vinto; parlo dell’altro schieramento che ancora una volta, con il solito linguaggio cifrato, viene denominato destra (a parte il successo della Lega, che mi sembra avere dei limiti, su cui adesso sorvoliamo). Anche questa destra non se la passerà liscia, non vedrà giorni sereni e di ritrovata compattezza. Si può quindi provare soddisfazione per la figuraccia della marmaglia di “sinistra” senza dover essere troppo preoccupati per il successo, non verificatosi, di un’altra accozzaglia poco invitante. Nel giro di un anno, vogliamo essere di manica larga, molti nodi verranno al pettine. Solo che effettivamente manca, o almeno non si vede all’orizzonte, una discreta, non pretendo esaltante, prospettiva. La situazione è “incartata”, infistolita.
Per iniziare, solo iniziare, ad uscirne, bisogna che “qualcuno” prenda atto di alcuni fatti; anche solo di pochi al momento. Intanto, che la putrefazione italiana è iniziata molto presto ed è dovuta a qualcosa che ho già rilevato in passato: l’abnorme accrescimento della spesa pubblica, dovuta in buona parte a certi accordi politici tra “avversari” (Dc e Pci) con aumento non tanto di investimenti utili e produttivi, quanto di personale (clientelare) dell’amministrazione pubblica e di ceti sociali comunque legati a finanziamenti a pioggia, insensati, senza criteri di efficienza e produttività. Anche il carrozzone dell’insegnamento, in specie universitario, è solo un enorme bubbone, che poi di fatto alimenta pure l’altro apparato guasto e malato dell’editoria, non certo atto a far cultura bensì a devastarla. E’ in questa parte della società che allignano i settori delle “scimmie urlanti”, dei maîtres à penser che non pensano nulla, che cianciano e sono ormai (per fortuna del resto!) lontani dalla popolazione, non esercitano proprio alcuna egemonia. Anche i cosiddetti talk shows (e spettacolini vari), considerati un portato del berlusconismo, sono il risultato di scuola, apparato informativo ed editoriale in mano ad un “sinistro” ceto intellettuale chiacchierone e salottiero; il cascame televisivo è semplicemente il suo specchio, solo ulteriormente deformato dall’ignoranza. In ogni caso il popolo, detto “bue” perché vota male, in realtà non rispecchia la demenza televisiva e giornalistica.
E’ evidente che occorre una disinfestazione radicale di questi settori sociali, con corrispettivo vantaggio per l’ammontare, e soprattutto la direzione, della spesa pubblica. Sono appunto tali settori sociali – con il loro sbriciolamento culturale e intellettivo, con l’attitudine al “salotto chic” degli intellettuali che ne fanno parte – a dare impulso alla frammentazione, alla disintegrazione di quella che ci si ostina a chiamare “sinistra”. Solo che se non c’è la disinfestazione, il disfacimento diventa un costo enorme per la società e anche una fonte di grave infezione. Tuttavia, non si dimentichi chi è all’origine del fenomeno: grandi industrie, ormai poco produttive, grande finanza anch’essa dedita a pratiche di scarsa produttività (anzi!). Sono questi settori economici che, per dotarsi di una cintura sociale protettiva del loro parassitismo, hanno influito per lunga pezza, e continuano ad influire, sulla politica affinché lo Stato con la sua spesa pubblica alimenti la suddetta cintura dei ceti sociali succhiatori di risorse senza alcun ritorno utile.
Non ho alcuna predisposizione per il “piccolo è bello”. Tuttavia – per necessità tattiche del momento, tenuto conto di quanto appena rilevato – sarebbe indispensabile attivare una solida politica di appoggio ai ceti lavoratori produttivi, con riferimento speciale ai cosiddetti “autonomi”, conquistando pure il favore di quelli dipendenti più attivi, meno conservatori, quindi meno sindacalizzati. Ed egualmente va appoggiato tutto un settore del credito di piccolo e medio taglio, mettendo “in riga” i sedicenti “grandi banchieri”, che hanno tanto potere e poche idee, se non quelle di continuare a taglieggiare i ceti produttivi, alimentando anch’essi le sfere sociali delle “scimmie urlanti” e del ceto intellettuale che sta devastando la cultura. Guarda caso, questi grandi banchieri (si veda l’articolo di G.P.) stanno “a sinistra” (quella che così viene impudicamente definita).
Deve solo aggiungersi la grande industria strategica, in particolare energetica. Lo abbiamo già detto, lo ripeteremo ancora. Abbiamo pure chiarito, almeno in parte, le ragioni storiche per cui tale industria è (meglio detto, era) pubblica. Così come ragioni storiche specifiche hanno creato in Italia, sempre a partire dai settori pubblici (ma di tutt’altro tipo), la schiera delle “scimmie urlanti” e degli intellettuali senza intelletto. Alcuni mutamenti s’intravedono, qualcosa potrebbe cambiare. Solo però se nasce un vero schieramento capace di decisioni nette e di mantenimento di un ordine severo nel mentre si mette in moto la disinfestazione e l’attribuzione di un diverso indirizzo produttivo a questo paese, alla sua industria e finanza, dando impulso e incoraggiamento ai suoi reali settori produttivi.