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I nostri conti con il razzismo. I nostri conti con il sionismo

di Antonio Caracciolo - 13/04/2010


Do qui una nuova sistemazione, con questa scheda, ai numerosi miei interventi in rete, nuova forma di comunicazione che prescinde dalla carta stampa e da schemi consolidati di espressione del proprio. Speriamo ci lascino in pace, salvo voler instaurare un civile confronto al quale siamo sempre disponibili con chi riconosce nell’altro un soggetto umano con il quale si può sempre argomentare e controargomentare. Non è il caso di lor signori, che sono autentici razzisti nel momento stesso in cui pretendono siano gli altri ad esserlo. Ma non anticipiamo le argomentazioni. Se mai, ai miei 19 lettori registrati, mi occorre spiegare perché di includere nella lista di quelle che possono essere definite “recensioni” di libri non solo quelli che condivido in tutto o in parte, o sui quali in giudizio è ancora incerto, ma che che comunque hanno attirato la mia attenzione, ma anche quelli che non condivido affatto e che ritengo debbano essere criticati e confutati per varie ragioni. In questo caso perché sono mezzi di una “guerra ideologica” che non è mai cessata da quando le armi hanno taciuto in Europa nel 1945 con la distruzione di tutti gli stati europei, che per lo meno nella prima metà del secolo XX potevano dirsi ancora “sovrani”. Dopo di allora in Europa di stati sovrani più non ne esistono.

Non è la prima volta che sento il bisogno intellettuale, per chiarire a me stesso concetti faticosamente attinti dopo essermi – spero – liberato di un generale lavaggio del cervello che ha interessato tutte le generazioni, come la mia, nate nel dopoguerra. Diciamo che la nuova classe politica, che si è vista regalare la gestione del potere da parte dei vincitori, non è stata capace di guadagnarsi una propria autonoma e distinta legittimazione per una dimostrata capacità di saper risolvere i problemi dei popoli che uscivano dalla disfatta bellica, dalle vere distruzioni del dopoguerra: non solo distruzioni materiali, ma una profonda distruzione spirituale che per effetti della continuazione programmata della “guerra ideologica” spinge ad ogni perdita di identità, alla rinuncia al proprio storico, ad ogni autonomia e libertà di pensiero sostituita dal cervello sovrastrutturato della carta stampata, dei media, dei discorsi sempre più insulsi dei politici che occupano le poltrone del potere con relativi appannaggi.

Il pensiero di ognuno di noi si forma spesso se non sempre come reazione a qualcosa che non si condivide o di cui proprio non se ne può più. Ad evitare dispersione nelle trattazione di testi di cui mi occupo extra cathedram riunisco qui in una sola rassegna unificata e ora unita da links in forma di ipertesto, questa recensione di un vecchio libro del signor Giorgio Israel, con il quale non ho mai avuto nessun contatto personale, pur lavorando egli nella mia stessa università a qualche centinaio di metri più in là. Lui professionalmente si occupa di matematica, ma è molto attivo nel campo sionista da molto prima che io, filosofo del diritto, prestassi attenzione a questa dottrina politica, che nasce nella seconda metà del XIX secolo e che a mio modo di vedere ha i connotati più autentici del razzismo. Ed è curioso come da questa parte con intento spregiativo si gridi al razzismo senza guardarsi nello specchio. En passant, in un senso rigoroso, ripeto qui che non credo nella possibilità etica del razzismo in quanto distinzione dell’umanità in razze differenti. L’uomo vede sempre nel suo prossimo un uomo, non un cavallo o un cane. Possono certo esserci differenziazioni di carattere antropologico e morfologico come colore della pelle o dei capelli e tutto ciò che può differenziare un individui o gruppi di individui da altri, ma non si tratta della stessa divisione che può esserci fra una specie animale e un’altra, salvo poi la comune appartenenza alla natura vivente distanta dal mondo inorganico fatto di minerali inerti. Possono esserci e continuano ad esserci, oggi forse più di ieri, contrapposizioni fra gruppi di individui (o popoli) ed altri gruppi. Purtroppo gli uomini non hanno mai cessato di farsi la guerra. Anzi, la guerra più lunga della nostra epoca, che ha superato i cento anni, ed è forse la guerra più lunga di tutta la storia umana, è quella che inizia in Palestina nel 1882, quando un gruppo di ebrei che si dicono sionisti e pretendono di essere e rappresentare tutti gli ebrei sbarcano in terre abitate da autoctoni e pretendono di cacciarli sulla base di un’ideologia che era stata elaborata nelle sue fasi finali proprio in quegli anni. L’impresa sionista non si regge senza una martellante propaganda accompagnata da un lavorio fatto di azione di lobbying e di omicidi mirati.

Naturalmente, gli uomini hanno avuto nel tempo relazioni pacifiche secondo il modello hobbesiano per cui la pace è la prima cosa che si deve cercare per essere sicuri della propria vita. Solo se la pace non è possibile occorre essere pronti alla guerra. Piuttosto che insultare il nemico offendendolo e diffamandolo in tutti i modi possibile, è preferibile cercare di capire cosa pone gli uomini l’uno contro l’altro. Solo per questa via si può sperare di evitare l’annientamento reciproco e costruire una pace su solide fondamenta. Fatte queste premesse di carattere generale, incomincio a dire qualcosa sul libro che intendo criticare.

È irritante e indisponente fin dalle prime righe. Mi chiedo se come metodo sia preferibile finire di leggerlo e poi darne un giudizio oppure dire subito ciò che ne penso via via che leggo. Trattandosi qui di scrittura sulla rete e non a stampa, credo sia possibile e preferibile questo secondo metodo. È comodo perché mi ci si posso dedicare quando trovo del tempo o dell’interesse per proseguire nella lettura, che potrebbe anche cessare dopo un certo numero di pagine. I libri si possono capire nel loro contenuto fin dalla prima pagina e non è detto che occorre giungere alla fine. Diceva un autore a me caro, che un dotto di mestiere mediamente “compulsa” duecento o trecento libri al giorno. Mi chiedevo come potesse fare, adottando il metodo della lettura sequenziale. Poi forse ho capito cosa intendeva dire e a quale metodo si richiamasse.

Basta con le ciancie, pur necessarie, perché danno inizio ad una nuova rubrica, unificata in una precedente, in pratica tutta di recensioni, dove ho però giò distinti volumi classificati come “freschi di stampa”, cioè di recente, oppure “testi di studio”, non recenti ma sempre successivi all’anno 2000, il cui contenuto – dal mio punto di vista – conserva intatta la sua validità e le cui informazioni devono essere acquisite e fatte proprie. Con i “Delenda”, scelti sempre fra libri usciti dopo il 2000, si tratta invece di “fare i conti”, espressione che conduce all’idea di “disputa” o più precisamente di “guerra ideologica”, un concetto che ho scoperto sfogliando gli archivi della seconda guerra mondiale mentre era ancora in corso. Quella “guerra ideologica” non è mai cessata ed il libretto di cui ci occupiamo ne è un reperto. Ho detto: “libretto”. Mi occupo qui soltanto di 166 fogli di carta, scritte su ambo le facciate. Non della persona che ha stampato quelle pagine e con la quale non desidero avviare nessuna astiosa polemica. Vorrei che ciò fosse chiaro, anche se non ci spero.

Inizia con una citazione di Zola, un autore che intervenne nell’affare Dreyfus. Ho nella mia biblioteca un ottimo libro di documentazione, acquistato per 50 centesimi su una bancarella. Non ritengo però che la «questione ebraica oggi» abbia a che fare con la situazione che gli ebrei vissero in Europa dopo la rivoluzione francese, quando a seguito della emanicipazione ottennero dappertutto l’equiparazione dei diritti, dando luogo ad un duplice fenomeno: l’assimilazione nelle società in cui vivevano e che avevano concesso loro gli stessi diritti, oppure ad una sorta di doppia (oggi tripla) cittadinanza: uno stato nello stato. Il primo libro che ha affrontato la storia del cosiddetto antisemitismo – termine relativamente recente a fronte di un fenomeno ben più antico – è stato Bernard Lazare, pure lui ebreo, che si opponeva a Drumont che molto aveva scritto sugli ebrei della sua epoca. Dal libro di Lazare è interessante un’osservazione che è sempre citata e che forse è la sostanza di tutto il libro: ma come mai che nel corso della loro storia religiosa, più che antopologica, direi, gli ebrei in tutte le epoche ed in tutte le latitudini si sono attirate le ostilità di tutti i popoli “ospiti” con i quali sono stati in contatto? Lazare ne concludeva che la causa dovesse essere ricercata negli ebrei stessi.

Credo che Lazare non sia ben visto dal sionismo. Vi sono poi state altre storie dell’antisemitismo, che sto leggendo tutte quante. Sono anche queste faziose e irritanti. Per fare un solo esempio: dell’ebreo Spinoza viene fatto un precursore delle camere a gas! Con i finanziamenti che vengono profusi a piene mani, costoro possono riempire biblioteche con le tesi più assurde. Al tempo stesso, ad esempio il caso Eisenmenger, ogni tesi contrario è soffocata senza scrupoli di sorta per i mezzi adoperati. Ogni libro che suoni critica al sionismo deve superare tantissime difficoltà per uscire alla luce. Senza poi parlare dei nuovi mezzi di comunicazione: la rete. Anche di questo blog è stata chiesta la chiusura da parte di personaggi che preferisco non nominare. È questo il loro spirito liberale, il loro “amor” del prossimo, che si alimenta di “odio” e produce l’«odio» e che non saprebbe vivere senza “odio” verso il prossimo e suscitato ad arte nel prossimo.

Insomma, è del tutto arbitrario collocare la «questione ebraica» dell’«oggi» con quella di «ieri». Per citare un’altro ebreo, storico di mestiere, Ilan Pappe, questi dice che oggi si è antisemiti se non si è antisionisti. È un moto che rinvia alle cose spiegate da Jakob Rabkin, un autore che Israel scrive di aver conosciuto di persona in Sud Africa. Deve essere stato però uno di quegli incontri che si fanno nei convegni, dove approdano le persone più disparate, che in modo o nell’altro vengono spesati da qualcuno in vitto, viaggio e alloggio, e magari con annesso onorario. Esiste anche qui un’industria. Se appena Jacob Rabkin, si fosse informato meglio di Giorgio Israel, non gli sarebbe certo venuto in mento di chiedere proprio a Giorgio Israel la diffusione dei suoi libri e delle sue analisi in Italia! Non so se avrò mai modo di incontrare anche io di persona Rabkin, ma gli direi che questa era davvero una bella ingenuità da parte sua!

Quindi sbagliata la citazione di Zola, che apre il libro di Israel: non ci azzecca nulla ed è già una forma di falsificazione della “questione ebraica oggi”. Naturalmente, ci si può ben occupare di quel periodo, ed è pure interessante farlo e lo facciamo in un ben diverso contesto. La mistificazione consiste fondamentalmente nel voler confondere l’antisionismo politico e filosofico con l’antigiudaismo religioso del passato, peraltro lecito in quanto si limiti ad ad critica teologica e filosofica e non riguardi l’aspetto persecutorio, di cui nella storia sono state vittime non solo gli ebrei, ma ieri come oggi ogni genere di spiriti liberi e oppositori e avversari politici. Paradossalmente, come ha detto di recente un altro ebreo, in un dibattito televisivo che non ho registrato, i sionisti si sono assunti una gravissima responsabilità nei confronti del giudaismo: quella di aver identificato l’avventura coloniale di Israele con l’ebraismo stesso. Ci vuole molta informazione per distinguere fra le due cose, ma la reazione che Israele con la sua politica suscita, in ultimo perfino nel faraone Obama e suoi vassalli, finirà fatalmente per coinvolgere tutto l’ebraismo.