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”Credeteci, non è colpa nostra”. Firmato: Goldman Sachs

di Roberto Marchesi - 15/04/2010

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“Per me si va ne la città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente... Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”.
Perdonatemi questo richiamo riverente al Divino Poeta, ma l’approccio di Dante nel momento in cui si accingeva ad entrare nei gironi infernali del primo libro della sua Divina Commedia è molto simile a quello di questo articolo. Anch’io mi accingo a traghettare in una significativa esplorazione del tempio massimo della finanza mondiale, quello della Goldman Sachs, moderna versione degli Inferi.
Addentrandoci nei lugubri meandri delle sue spregiudicate operazioni finanziarie, incontreremo anche noi i demoni e i dannati, proprio come ha immaginato Dante nell’Inferno, e ci racconteranno come gli uni hanno potuto arricchirsi a dismisura, mediante le loro diaboliche strategie finanziarie, salassando i loro lamentosi e sprovveduti compagni d’avventura, tutti peraltro protagonisti, e talvolta artefici, di altrettanti misfatti a loro volta ispirati dagli stessi demoni.
Nell’intervista pubblicata nel corrente numero in edicola di BusinessWeek, il demone regnante, Lucifero Goldman, si proclama assolutamente innocente nel merito delle malversazioni borsistiche compiute nel periodo 2006 - 2008 (ma che proseguono tuttora), e tutti sappiamo ormai che in quel periodo, quelle spregiudicate operazioni finanziarie (sia pure svolte in compagnia di numerosi altri speculatori che la imitavano), hanno portato al quasi completo collasso della finanza mondiale.
Tanto per cominciare ad inquadrare la situazione, cominciamo col ricordare che Goldman Sachs ha ricevuto anche lei, nel novembre del 2008, un cospicuo aiuto statale (bailout) di 10 miliardi di dollari per evitare il fallimento. Tuttavia Goldman è stata la prima, tra le grandi banche, a restituire con tanto di interessi già nell’aprile dell’anno successivo l’intera somma (liberandosi così immediatamente, oltre che dell’ignominioso debito, anche dell’odioso vincolo posto al tetto delle retribuzioni dei suoi managers).
Si noti peraltro che Goldman, dopo aver incassato e usato al momento opportuno l’ingente aiuto statale, nega ora altezzosamente di averne avuto veramente bisogno, ed entrando un po’ più a fondo nell’analisi degli eventi di quel periodo, potrebbe anche essere vero (ma allora perché l’ha preso?).
Goldman nel 2008 infatti non incassava solo i miliardi elargiti dal governo Usa ma, al pari di una gigantesca sanguisuga, succhiava buona parte dei 62/mld. di dollari (12,9 per la precisione) che Aig (American International Group) incassava a sua volta dallo Stato per non fallire.
Ma perché Aig doveva pagare a Goldman tutti quei soldi?
Qui dobbiamo scendere di un cerchio nel girone infernale per capire le alchimie finanziarie che consentono ai demoni della finanza di guadagnare sempre, anche quando gli altri perdono tanto o tutto.
Aig doveva pagare tutti quei soldi a Goldman (e a migliaia di altri soggetti) perché aveva accettato di garantire con contratti Swap le spregiudicate operazioni speculative sui derivati finanziari (che come si ricorderà venivano emessi in gran quantità anche a fronte di mutui subprime).
Goldman aveva già riscontrato alla fine del 2006 che il mercato finanziario, in particolare quello legato ai mutui subprime, dava segni di sofferenza, quindi, pur mantenendo provvisoriamente una posizione “neutrale” nelle contrattazioni borsistiche (cioè non spingeva al rialzo, ma neppure al ribasso con operazioni “short”) si apprestava tuttavia a prendere posizioni di difesa nell’eventualità di un crollo del mercato. E questa posizione di difesa si configurava appunto in massicce operazioni Swap con Aig.
Come noto lo Swap è sostanzialmente un contratto di assicurazione del credito (ma con molti meno vincoli contrattuali) per i quali, pagando una commissione a volte modesta si assicura l’operazione da perdite che, come si e’ visto, possono diventare massicce.
Per un po’ Aig ha creduto di aver trovato il paese di Bengodi. Invece di fare il suo lavoro di assicuratore dei mutui, raccoglieva milioni di dollari in commissioni sui contratti Swap che solo in pochissimi casi, finché il mercato dei derivati “tirava”, generavano richieste di rimborso. Ma ben presto la musica è cambiata. Nell’estate del 2008 il mercato, dopo un breve periodo di stallo, ha cominciato a cedere sempre più vistosamente, e le richieste di rimborso si sono moltiplicate. Ma come al solito, quando il mercato smette di tirare, i demoni non si prendono un periodo di riposo, anzi, è proprio il momento migliore per loro, per scatenarsi con le operazioni “short”, cioè al ribasso.
E in questo tipo di operazioni Goldman non deve prendere lezioni proprio da nessuno. Per loro l’unico codice etico da osservare è quello insegnato da Gustav Levy (il suo mitico “guru” degli anni ‘70), che diceva: “Non date interviste, cercate di guadagnare il più possibile, ma senza dare nell’occhio”.
Naturalmente, dopo le continue richieste di rimborso sulle operazioni Swap, i rapporti tra Goldman e Aig si sono notevolmente “raffreddati”, tuttavia c’e qualcosa che nemmeno lo spregiudicato mondo dell’alta finanza tollera, ed è quando la finanziaria gioca al ribasso contro i suoi stessi clienti.
Poiché Goldman ha creato e venduto ai suoi clienti “tonnellate” di derivati finanziari, nel momento in cui essa ha cominciato ad eseguire le operazioni “short”, di fatto ha messo in corto circuito non solo il sistema in generale, ma i suoi stessi clienti. Che, per inciso, nel caso della Goldman, non sono esattamente gente qualunque. Per aprire un conto in Goldman bisogna partire da un minimo di dieci milioni di dollari. Ma ci sono anche investitori istituzionali, come diversi fondi pensione, e quando migliaia di individui sottoscrittori dei fondi si vedono decimati i loro risparmi proprio a causa della spregiudicatezza di chi dovrebbe invece consigliarli e proteggerli, non deve sorprendere se adesso Goldman Sachs è vista da tutti come il demonio.
Loro si difendono sostenendo che, attivando le operazioni “short” (sospese solo per un brevissimo periodo dal governo nell’autunno caldo del 2008), “avvisavano” i clienti che i titoli collegati ai mutui sarebbero scesi. Giustificazione più ipocrita non si potrebbe pensare, dato che tutti sanno che il normale risparmiatore non può far nulla, se non perdere carrettate di soldi, una volta che il mercato inverte la rotta. Se volevano avvertire i clienti dovevano avvisarli per tempo, non avviare operazioni “short” che provocano crolli a ripetizione delle quotazioni.
Critiche di questo tipo nemmeno scalfiscono la corazza imperforabile dei demoni della finanza, che respingono sdegnosi ogni critica sostenendo che non hanno fatto nulla di proibito.
Loro ritengono semplicemente di essere stati più bravi degli altri. Svalutando i titoli in portafoglio al valore di mercato (per la regola del “mark to market”) quando gli altri cercavano di evitarlo (tanto mettevano in conto ad Aig, controllata dal governo, le perdite!), e facendo operazioni al ribasso quando ancora qualche sprovveduto pensava che il mercato potesse riprendersi.
E “giustamente” quindi, dato che sono i più bravi, nell’anno che segna il record della disoccupazione in Usa, hanno fatto il record storico dei profitti a 13.4 miliardi di dollari.
Seguendo però la regola d’oro di Levy (non dare nell’occhio), hanno limitato la percentuale di tali profitti destinata alle proprie retribuzioni al 35.8% (era il 48% lo scorso anno!), che comunque consente a quasi duemila dipendenti di portare a casa più di un milione di dollari nel solo 2009.
Non tutti però in Goldman hanno digerito agevolmente il bel gesto della simbolica decurtazione. David A. Viniar per esempio, il Chief Financial Officer della Goldman (ovvero Lucifero in persona) ha dichiarato che questo taglio alla sua retribuzione è stata la più frustrante esperienza dei suoi 30 anni di carriera.
Se ci fosse ancora Levy lo avrebbe sicuramente ripreso. Forse gli avrebbe detto: “Nessuno ti impedisce di fare certe porcate, ma almeno stai zitto!”.