Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Padre J.M. Benjamin: “La Francia offrì asilo politico a Tariq Aziz”

Padre J.M. Benjamin: “La Francia offrì asilo politico a Tariq Aziz”

di Tiberio Graziani e Antonio Grego - 29/04/2010


 
Padre J.M. Benjamin: “La Francia offrì asilo politico a Tariq  Aziz”

Nella foto a fianco: padre Jean-Marie Benjamin assieme a Tariq Aziz


Tiberio Graziani e Antonio Grego hanno incontrato per “Eurasia” padre Jean-Marie Benjamin, prete cattolico e compositore musicale (è autore dell’inno ufficiale dell’UNICEF). Negli anni ‘90 ha focalizzato la propria attività sulla denuncia degli effetti dell’embargo internazionale a danno dell’Iràq, visitando il paese in più occasioni, scrivendo libri, realizzando lungometraggi e raccogliendo fondi a scopo umanitario. Nel corso di questa sua attività pluriennale ha stretto contatto con numerose personalità, irachene e non, di alto livello. Ciò gli permette di raccontare retroscena ancora ignoti, come fa in quest’intervista che “Eurasia” ha deciso di rendere disponibile a tutti sul suo sito.


J-M. Benjamin: Ci sono nella questione iraniana, che in realtà è una questione internazionale e strategica, quattro aspetti, quattro fattori da considerare e approfondire per non mischiare tutto e rischiare di fare confusione.

Il primo fattore riguarda la credibilità. L’Occidente e gli USA si sono bruciati con le loro montagne di menzogne sulle armi di Saddam e, pertanto, non sono più credibili a livello internazionale; quando si dicono tante bugie una prima volta, la seconda volta non si viene più creduti.

Il secondo fattore riguarda l’etica: nessun popolo dell’universo ha più diritto di un altro di dire che lui è buono e l’altro è uno “Stato canaglia” che fa parte del “Asse del Male”. Non si può ridurre un’intera popolazione allo status di “canaglia”; questo comportamento criminalizzante dovrebbe essere sanzionato dall’Onu, che non lo ha fatto e non lo fa perché, come sappiamo, è uno strumento nelle mani dell’Occidente.

Il terzo fattore da prendere in considerazione è politico, geopolitico e strategico: l’Iran è da considerarsi una potenza militare che rischia di scatenare una risposta veramente folgorante.

Infine il quarto è un fattore economico, perché la Russia, la Cina, l’India, ed altri paesi ancora, sono interessati a che l’Iran resti indipendente e non si trasformi in un altro Iraq, giacché tra i Paesi citati e Teheran ci sono dei contratti di collaborazione enormi, sia per il gas sia per il petrolio sia per le forniture industriali. La politica europea nei confronti dell’Iran è una politica senza senso: forse l’embargo poteva funzionare trent’anni fa, ma oggi, nel 2010, l’embargo economico non solo non funziona, ma danneggia soltanto le imprese europee.

Questi quattro fattori considerati insieme ed approfonditi singolarmente ci dicono che l’Iran si trova, nonostante tutto, in una posizione di forza. Non si può prendere in considerazione oggi l’attuazione di una politica come quella di Obama o Sarkozy, perché da come parlano si capisce che si tratta di neocolonialismo. Quando, come in Francia, si hanno in casa 42 centrali nucleari e le si vuole vendere anche a Gheddafi e si va a dire agli iraniani che loro non possono averne, chi gli ha dato questo potere? Il Padre eterno? No! Allora tacciano perché la legge è uguale per tutti.


Allora Padre Benjamin la storia si ripete: sembra ripresentarsi uno scenario già visto e vissuto, purtroppo, sulla pelle delle popolazioni del Vicino e Medio Oriente. Abbiamo di nuovo il principale esponente politico di un Paese considerato nemico degli USA, questa volta il presidente Ahmadinejad, che viene accusato di essere un dittatore, un despota e, analogamente a quanto successe qualche anno fa con Saddam Hussein, anche questa volta lo si accusa di voler costruire o di avere o di voler utilizzare armi di distruzione di massa. Si sta ripetendo esattamente lo stesso scenario?

Non solo si sta ripetendo, ma sembra il remake di un brutto film già visto. Solo che in questo caso il remake mi sembra ancora peggio dell’originale. Ma anche diverso, perché dovranno modificare alcune scene del copione originale, alcune impostazioni di fondo. La differenza è che l’Iraq di Saddam Hussein era già stato colpito da 12 lunghi anni da un embargo il cui effetto, ricordiamolo, fu provocare un milione e seicentomila morti (fui tra i primi a denunciarlo e si trova su internet il rapporto dell’Onu). L’Iraq era un Paese che quando è stato attaccato, e bombardato di nuovo nel marzo 2003, era già in agonia, sopravviveva senza mezzi propri; la produzione di petrolio, visto l’embargo totale, non poteva far fronte a tutte le necessità. Lì l’embargo fu imposto dopo le distruzioni di una guerra (la guerra Iran-Iraq) ad un Paese che era già stremato. L’Iran, al contrario, è un Paese forte. È forte economicamente, militarmente, politicamente; inoltre, occorre considerare che la configurazione geopolitica e strategica di tutta la regione è profondamente cambiata. Voler continuare a credere, dicendo montagne di menzogne alla gente come fecero per giustificare un intervento in Iraq contro Saddam Hussein, che la stessa procedura sia valida anche per l’Iran è un’illusione, perché non può assolutamente più funzionare. Mi stupisco che nessun giornalista, in nessuna conferenza stampa, davanti a Blair o a Bush, sia mai andato a chiedere: “Ma Saddam Hussein come farebbe a bombardare Londra in 45 minuti con un’arma di distruzione di massa, come dite voi, se non ha nemmeno un aereo in grado di decollare?”. Evidentemente se i servizi nordamericani ed il Pentagono non erano stati in grado di mostrare una sola immagine satellitare dei siti nucleari di Saddam, non è perché Saddam fabbricava queste bombe nei bagni dei suoi palazzi. Dunque, se sono riusciti a far credere, fortunatamente non a tutti, ma se non altro a giustificare, con argomenti così enormi, così stupidi, così incredibili, le menzogne su Saddam Hussein, se stavolta pensano che la cosa possa rifunzionare con l’Iran, ebbene non funzionerà più con la maggior parte dei governi. Nella questione iraniana, come pure nella questione irachena, ma ancor più oggi, bisogna identificare i vari fattori per i quali le sanzioni non saranno possibili, per i quali non si potrà più imporre una politica neocolonialista a questi Paesi autodefinendosi i “buoni”, i “democratici”; le democrazie occidentali puntano il dito sui Paesi del “Asse del Male”, sugli “Stati canaglia”, compiendo un gesto assolutamente vergognoso perché tutti questi Paesi sono membri delle Nazioni Unite e l’Iran, come l’Iraq, è membro fondatore delle Nazioni Unite. Quindi la politica della menzogna ha avuto un effetto boomerang, si è con il tempo rivolta contro di loro; ad esempio Blair, davanti ad una commissione d’inchiesta sulla guerra in Iraq, si è dovuto giustificare come un bambino che ha fatto il cattivo a scuola e deve raccontare perché ha sbagliato alla commissione scolastica. Invece è scandaloso che Bush stia nel suo ranch tranquillo, mentre è un criminale che dovrebbe essere portato davanti un tribunale internazionale per crimini di guerra. Quando si provocano deliberatamente, secondo la British Polling Agency di Londra, oltre un milione di morti tra i civili, soprattutto donne, bambini, anziani iracheni, dopo un embargo che aveva già prodotto un milione e duecentomila morti, si è colpevoli di genocidio. E che quest’uomo viva tranquillo, senza che nessuno pensi di fargli un processo o altro, è qualcosa di incomprensibile, direi più che vergognoso, disgustoso. Detto questo l’Iran di oggi non è l’Iraq di Saddam Hussein, anche perché hanno regalato l’Iraq all’Iran. Quando hanno messo gli sciiti al potere a Baghdad, hanno messo l’Iraq nelle mani dell’Iran. Dunque l’Iran si sente forte, perché? Perché primo lo è economicamente e militarmente, inoltre è appoggiato dai fratelli sciiti iracheni; ma il terzo che ringrazia Washington per la sua politica in Medio Oriente è Hezbollah. Potrebbe sembrare un gruppetto armato di collegiali, ma Hezbollah ha un’enorme potenza. All’inizio era appoggiato dall’Iran, è un fatto noto, e anche dalla Siria, ma adesso lo è anche da alcune fazioni e gruppi iracheni sciiti: il braccio destro e addetto stampa di Muqtada al Sadr, che ha una posizione di dissidenza verso le altre componenti sciite dell’Iraq, è regolarmente in Libano al fianco dei capi di Hezbollah. Dunque hanno creato già un triangolo molto pericoloso e l’effetto boomerang se lo prende in faccia Israele, perché Tel Aviv ha insistito presso Bush, prima dell’elezione che ha portato Obama alla presidenza, per spingere gli USA a fare un intervento contro l’Iran, come era stato fatto per l’Iraq. Ma Bush ha fermato gli israeliani dicendo loro che già doveva affrontare una situazione disastrosa in Iraq e anche in Afghanistan, e non era dunque possibile aprire un terzo fronte; inoltre occorre considerare una crisi economica che cominciava a spuntare come la punta di un iceberg e non si vedeva ancora cosa c’era sotto. Bisogna considerare che l’attacco all’Iran danneggerebbe l’Occidente per anni e anni, senza considerare gli effetti di una eventuale estensione del conflitto. Allora è per questo che, se vogliono ripetere la stessa impresa di manipolazione delle coscienze della gente come hanno fatto per Saddam Hussein, non funzionerà, perché le popolazioni ormai hanno avuto esperienza; hanno avuto sotto gli occhi il disastro iracheno che hanno combinato, tutti i governi hanno visto cosa hanno fatto coloro i quali hanno partecipato all’occupazione illegale dell’Iraq rimettendoci dei cittadini che potevano evitare di essere ammazzati. Quindi questa volta saranno molto più prudenti, soprattutto perché nel contesto attuale dell’economia mondiale in crisi un attacco all’Iran sarebbe un suicidio per l’Occidente.


Lei ha fatto riferimento a Israele, che avrebbe spinto Bush nel conflitto con l’Iraq e che avrebbe tentato di farlo con l’Iran. Secondo lei la lobby pro-israeliana, come è stata definita e ben documentata dai due professori universitari statunitensi Mearsheimer e Walt, è più o meno influente di prima nella formulazione della politica estera degli USA?

Guardate, è molto complesso rispondere perché si dovrebbe conoscere tutta la lista delle azioni di queste lobby in tutti i campi. Sicuramente è rimasta influente sui media, perché i media, lo sappiamo, sono non soltanto della lobby pro-israeliana, sono essi stessi lobby sioniste, e questo è ancora più grave. Non sto dicendo una verità così sconvolgente, basta andare a vedere come si chiamano i finanziatori e i proprietari delle reti televisive, dei principali quotidiani, eccetera e scopriamo subito a chi appartiene questo mondo mediatico. Negli USA la lobby è ancora potente e l’elezione di Obama non ha cambiato niente, visto che purtroppo controllano i media: televisione, radio, internet, ma anche la stampa, eccetera. Solo che ora devono tener comunque conto del fattore Obama, non possono nascondere certe cose, non possono andare a dire che è un matrimonio felice tra Netanyahu e Obama e che attualmente le cose vanno tutte bene, che si brinda al successo della loro politica perché è ovvio, sotto gli occhi di tutti, che sulla situazione delle colonie nei territori palestinesi, di Gerusalemme Est, eccetera, non c’è accordo tra Washington e Tel Aviv. Dunque i media, anche se le loro lobby sono potenti, non possono nascondere il dissenso e le cose che non vanno più come prima. Poi c’è il fattore economico, ed è importante perché regge il sistema dell’Occidente. Economicamente le lobby sioniste restano certamente molto potenti, solo che la crisi – e quando si parla di perdite di centinaia di miliardi di euro si tratta di montagne di soldi – non ha colpito solo i ricchi musulmani e cristiani, ma ha colpito soprattutto queste lobby nell’economia e nella finanza, che perciò adesso devono fare un po’ più attenzione. Anche quanti sono stati arrestati per truffe finanziarie sono praticamente tutti ebrei: dunque hanno ricevuto un colpo anche dal punto di vista economico e non sono ancora usciti da questa fase di difficoltà. Resta infine il piano della politica estera: prima potevano fare come volevano, Israele aveva il diritto di rifiutare le risoluzioni Onu una dopo l’altra, 72 credo. Quando c’è stato l’attacco a Gaza due anni fa, il massacro dei palestinesi di Gaza, c’era su “France 24”, la rete televisiva di notizie permanenti, il corrispondente da Gerusalemme e portavoce del governo israeliano, un certo Palmor, a dire in diretta: “Siamo dovuti intervenire contro Gaza perché Hamas non ha rispettato la risoluzione dell’Onu”. Cioè loro che ne hanno 72 che non hanno mai rispettato, usano questo come argomento contro Gaza: l’arroganza è tale che uno resta senza parole; come si riesce ad arrivare ad una tale forma di presa in giro della gente? Questa è purtroppo la politica di Israele, ma si cominciano ad intravedere anche altri aspetti per i quali loro dovrebbero preoccuparsi. Se vado a dire in televisione, visto che si festeggiano i vent’anni dal crollo del muro di Berlino, che ne hanno costruito in Israele uno dieci volte più alto e cento volte più lungo al confronto con quello di Berlino, nonostante che quasi tutti i media siano controllati da loro, non possono più pretendere di silenziare la gente con l’accusa di essere antisemita! Se si denuncia che stanno massacrando dei bambini ti rispondono accusandoti di essere antisemita. Ma tutto questo sta portando allora la gente ad una presa di coscienza, il mondo è stufo di sentire di un Paese che si comporta in questo modo perché ha avuto nella sua storia un dramma, una tragedia come la Shoa, perché non è l’unico popolo o religione ad averla subita. I cristiani sono stati massacrati per tre secoli dai romani: li mandavano in pasto ai leoni, che non è una fine tanto piacevole immagino. Anche gli armeni hanno avuto il loro massacro. In tutta la storia dell’umanità ci sono stati tanti massacri, e allora non regge più come pretesto l’aver avuto una tragedia nella propria storia per umiliare un altro popolo, per distruggere le loro case, per fare dei muri e decidere di guardare tutti dall’alto verso il basso. Questo la Cina, la Russia, il Brasile, il Venezuela, e molti altri Paesi in Africa e in Asia lo sanno e non sono più d’accordo con queste politiche unilaterali, sia quelle degli Stati Uniti che vogliono bombardare un Paese perché è “Asse del Male”, sia quelle di Israele che pensa basti avere un passato tragico perché tutto sia permesso. Non funziona più così oggi. Anche se è in parte vero che hanno tantissimi soldi e possono comprare i giornalisti, non possono comprare tutti quelli del mondo. Ecco qual è il problema adesso per Israele: non si trova più in una posizione favorevole, altrimenti avrebbe già bombardato da almeno due o tre anni l’Iran visto che ha pronti tutti i relativi piani. Ma c’è una cosa che loro dovrebbero sapere, dato che il Mossad è abbastanza ben organizzato (abbiamo visto in Qatar come hanno fatto fuori quel dirigente di Hamas con dei falsi documenti e tutte le coperture necessarie). Nello stretto di Hormuz passano moltissime navi piene di petrolio; quando sono vuote passano in acque internazionali, piene non possono perché toccherebbero e devono passare in acque iraniane. È noto che l’Iran ha recentemente inviato un satellite nello spazio, perché ha la tecnologia satellitare; grazie a questo satellite Ahmadinejad, dal suo ufficio, basta che prema un bottone per far saltare tutte le ventimila mine che ha disseminato sul fondale marittimo, e con essa tutte le navi che vi transitano. Così poi l’Occidente resterà per anni senza petrolio. In secondo luogo ci sono migliaia di missili iraniani puntati sui Paesi intorno, nel caso venga qualche aereo con intenzioni bellicose: questo si chiama effetto boomerang. Senza contare che gli amici sciiti iracheni non resteranno a guardare nel caso di attacco all’Iran. Ecco perché Bush si era rifiutato di attaccare l’Iran e adesso queste cose le sa anche Obama; inoltre c’è questa stretta collaborazione tra Russia, Cina e Iran. I Paesi che si affacciano sul Mar Caspio hanno firmato con la Russia un patto di difesa in caso di aggressione. Gli Stati Uniti non possono colpire economicamente l’Iran perché non lo permetteranno la Russia e la Cina, né l’India. La Russia e la Cina hanno accordi commerciali enormi con Teheran, tutti gli imprenditori europei e nordamericani che sono andati via a causa delle sanzioni sono stati benedetti dai cinesi, che hanno mandato i propri a sostituirli. Anche la Russia ha fatto la stessa cosa. Per quanto riguarda l’Iraq, malgrado tutte le spie occidentali che ci possono essere in quel Paese (tra un po’ ci saranno più spie che iracheni: ci sono il Mossad, il Sismi ed i militari italiani – anche se dicono che non ci sono più, ci sono eccome!) non è per niente sotto il controllo degli statunitensi. L’Iraq è un Paese che da sette anni ormai non è governato da nessuno, un Paese così grande che ha le frontiere con l’Iran, quasi mille km, con la Turchia, la Siria, la Giordania, l’Arabia Saudita e il Kuwait, dove il governo iracheno controlla a mala pena Bagdad e nemmeno controlla la zona verde. Se questo Paese non è controllato dagli iracheni né dagli statunitensi che si vogliono ritirare, da chi è governato? È governato dalle tribù locali. Io incontrai nel 2004 a Damasco 31 capi tribù iracheni e i capi di queste tribù rappresentavano sette milioni e mezzo di iracheni circa e dicevano: “Ma noi, Padre, fino a quando ci sarà un solo militare straniero che occuperà il nostro Paese saremo in guerra contro questi soldati”. Possono ripetere alla gente “Al Qaida, Al Qaida”, ogni volta che esplode una bomba al mercato, ma io avrei molti dubbi su chi mette queste bombe: perché in Iraq basta dare 50 dollari a un tizio per fare fuori qualcuno, e quindi basta prenderne quattro o cinque con 100 dollari a testa per piazzare una bomba; dato che oggi muoiono di fame li si può comprare facilmente. Prima gli iracheni, sotto Saddam, non li si poteva comprare, a differenza di oggi, li si poteva solo ‘affittare’. Mentre adesso li si può comprare e affittare, tutte e due le cose, perché sono disperati e non hanno di che vivere. Allora in un Paese così ridotto, che non è controllato da nessuno, possono far entrare e uscire di tutto, anche delle armi… io li manderei adesso gli ispettori dell’Onu a controllare un po’ tutto il Paese, non ai tempi di Saddam quando era proprio certo non vi fossero. Dunque è un disastro nel disastro, e adesso che gli statunitensi si sono messi nella stessa barca insieme con gli iracheni “comprati”, si trovano in alto mare e in mezzo alla tempesta, e ognuno pensa di buttare fuori l’altro per risolversi i problemi: solo non lo possono fare perché hanno bisogno l’uno dell’altro per tornare al porto. E’ questo il problema dell’Iraq, mi diceva un amico giornalista esperto del Medio-Oriente, Carlo Remeny. L’Iran lo sa, e lo sanno Hezbollah e Israele: questa volta un suo intervento coinvolgerà anche altri; adesso ci sono dei consiglieri militari russi, cinesi, che stanno lì in Iran. Ormai la sceneggiatura irachena del brutto film del 2003 la dovranno cambiare perché non può funzionare. Ci devono pensare bene, se attaccano l’Iran avranno una reazione folgorante e non solo dell’Iran: perché ad esempio tutti i serbi di Karadzic, che io prima dell’attacco nordamericano vedevo lì nel Rashid Hotel assieme a gruppi russi o d’altre parti del mondo, non sono mica andati in pensione: adesso si sono affiancati all’Iran e costituiscono delle cellule estere in tutto il mondo pronte ad intervenire nel caso l’Iran sia in difficoltà. Ci devono pensare bene veramente perché la reazione sarà tremenda.


Quindi evidentemente l’Iran ha molte opportunità che invece mancavano all’Iraq di Saddam Hussein perché è cambiato sostanzialmente, come abbiamo visto, il sistema dei rapporti di forza internazionali. L’Unione Europea si è manifestamente schierata con gli Stati Uniti, nonostante sul piano economico sappiamo esserci moltissimi interessi che legano le singole nazioni europee con l’Iran. Al di là delle dichiarazioni di facciata di vari capi di stato, come per esempio Berlusconi che ha detto l’Eni non firmerà più contratti con Teheran, lei ritiene che questi rapporti economici proseguiranno oppure no?

Se l’Eni dichiara che non firmerà più contratti con l’Iran vorrà dire che comprerà il petrolio iraniano da un’altra impresa, magari russa o cinese, con la quale intrattiene rapporti. Vorrà dire che non manderanno la fattura a Teheran ma la manderanno a San Pietroburgo, in qualsiasi altro Paese dove ci sono queste imprese multinazionali o anche a ditte più modeste, ma compreranno lo stesso. Lavoreranno lo stesso con l’Iran perché hanno bisogno di farlo, può darsi che non andranno direttamente in Iran ma compreranno il petrolio o il gas iraniano da una ditta straniera: è possibile con il sistema finanziario internazionale e senza contare le migliaia di società fantasma che servono esclusivamente per fare delle transazioni con certi Paesi e con le quali lavorano. Esattamente come facevano quando non potevano comprare o vendere all’Iraq certe cose: le vendevano ai giordani e i giordani le mettevano nei camion e le mandavano a Baghdad via terra. Queste dell’Eni e di Berlusconi sono tipiche dichiarazioni politiche per soddisfare l’ipocrisia occidentale che si nasconde dietro la maschera di democrazia, di libertà, che dà lezioni di morale al mondo intero; ma quando si leva la maschera vedi un mondo di menzogne, di manipolazione. Questo bisogna denunciare, bisogna far cadere questa maschera che nasconde il vero volto dell’Occidente. Quando parlo di Occidente intendo USA, Europa e Israele. All’Europa poverina gli basta la nuvola di un vulcano e già tutto resta bloccato, figurarsi le nuvole delle bombe.


Negli ultimi tempi la voce della Chiesa è stata pressoché assente per quanto riguarda il problema delle minacciate sanzioni o del nucleare iraniano, mentre in passato la Chiesa si è spesa molto per la questione dell’Iraq, come mai?

Si è vero, si è spesa molto con Giovanni Paolo II, per esempio quando ha risposto a Bush: “Chi vuole la guerra dovrà risponderne a Dio”. Questa era veramente una risposta che solo lui ha fatto e poteva fare. Vorrei però ricordare dell’incontro che organizzai nel febbraio del 2003, tra Tareq Aziz, ministro degli affari esteri e vice primo ministro di Saddam Hussein, e Giovanni Paolo II. Il 13 gennaio 2003 mandai un fax alla Segreteria di Stato scrivendo che avrei voluto provare ad invitare personalmente il vice primo ministro iracheno a Roma e se cortesemente si potesse sollecitare l’eventuale disponibilità del Santo Padre a riceverlo in udienza privata. Due giorni dopo Mons. Jean-Louis Tauran, che all’epoca era Segretario per i Rapporti con gli Stati, e cioè ministro degli esteri del Vaticano in Segreteria di Stato, mi diede il via libera e io organizzai tutto. Quando poi Tareq Aziz arrivò a Roma la Santa Sede mandò il Cardinale Etchegaray e tutti i quotidiani scrissero: “Si muove il Vaticano”; certo io faccio parte della Chiesa e per me non ha importanza se si è mosso prima Padre Benjamin e poi il Papa, però da quel momento su Padre Benjamin fu imposto un embargo per impedirgli di parlare nelle trasmissioni televisive; tutto per poi far parlare e agire solo le parti ufficiali. Ma cosa ha prodotto questo? Che il povero Etchegaray è andato a trovare Saddam in Iraq ed è tornato con un comunicato anonimo, che non diceva nulla, mentre io sparavo delle realtà molto più gravi e molto più “piccanti” e questo disturbava i potenti.

I francesi, invece, hanno accolto le mie informazioni con molto interesse. Anzi, durante il soggiorno a Roma di Tareq Aziz, la Francia gli ha offerto l’asilo politico, proponendogli di non tornare a Baghdad ma a Parigi. Ho passato io il messaggio a Tareq Aziz che mi ha risposto: “Ringrazio il presidente Chirac e il Governo francese ma non posso accettare, non posso lasciare il mio popolo sotto le bombe e non stare con loro”.

Dunque il problema è questo: dalla Chiesa io non sono stato mai ostacolato, mai messo a tacere, anzi mi hanno pure difeso in alcuni momenti quando ne avevo bisogno e ci mancherebbe altro, sono un sacerdote! Poi ho sempre detto solo la verità, non è che mi sono inventato niente. Però adesso la Chiesa non si espone più perché subisce quella tremenda strategia che consiste nel far chiudere il becco a chi provoca un ‘disturbo morale’, anche solo morale, ad un’impresa pianificata di menzogne come stanno costruendo sull’Iran. Come hanno già fatto sull’Iraq. Certo non possono dire al Papa: “Non fare dichiarazioni sull’Iran” o cose simili, perché nessuno può imporre al Papa, se non il Padre Eterno, di stare zitto, però possono organizzare una bella campagna di denigrazione, di scandali, come si vede adesso sui ‘preti pedofili’. Ma scusatemi: come è possibile non capire che tutto questo è stato orchestrato? L’ha detto persino Calderoli su “Sky TG24” (l’ho sentito alcuni giorni fa) quando la giornalista gli ha chiesto: “Ma chi ha orchestrato questa campagna così forte?”; lui ha risposto che dietro tutto questo c’è la massoneria e altre lobby. Ma quando dicono ‘altre lobby‘ perché non hanno il coraggio di dire che sono lobby sioniste? Perché è vero, sono duemila anni che non sanno che inventarsi per denigrare e far crollare la Chiesa. Lì non solo c’è questo problema ma è che devono far tacere una autorità morale che ha potere su un miliardo di persone, i cristiani. Con un argomento come quello è molto facile. Arrivano oggi denunce che cinquant’anni fa un sacerdote ha molestato un bambino; ma perché hai aspettato cinquant’anni per andare a dirlo? A denunciarlo? E loro rispondono che avrebbe dovuto denunciarlo il vescovo… ma allora perché i genitori invece che dal vescovo non l’hanno denunciato alla polizia? Allora è talmente ovvio che è tutta una manovra per denigrare la Chiesa e l’autorità del Papa proprio in un momento cruciale, per non correre il rischio che dica alcune cose a favore di un Paese sotto minaccia di aggressione. Soprattutto perché l’impatto delle parole del Papa è forte non solo in America Latina, dove sono in maggioranza cattolici, ma anche in Europa. Se dice qualcosa il muftì della moschea di Damasco se ne fregano, ma se il Papa dice una cosa a favore dell’Iran questo creerebbe un bel po’ di turbamento. Questo aspetto non è il solo l’aspetto per cui vogliono screditare il Papa, vogliono anche vendicarsi per la beatificazione di Pio XII, perché c’è il vescovo inglese Williamson che ha fatto quelle dichiarazioni che non piacciono, e perché c’è quella vecchia diatriba su chi abbia messo in croce Gesù Cristo.

Assisi, 22 aprile 2010