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Rund ru rama

di Guido Dalla Casa - 03/05/2010

 


Il titolo è il nome del corvo della Frazione San Gottardo, nella lingua dei Walser. Così venivano chiamati nei secoli quelli della frazione. Lassù, senza la strada, la frazione ha resistito, il numero di abitanti è calato fino a 14, ma ora sono 17. Dedico al villaggio le poche righe che seguono, e una meditazione sulla vita.
La foto mostra l’accesso al villaggio.

ESTATE  A  SAN  GOTTARDO
   Ci ritroviamo a San Gottardo, nei giorni di agosto: la frazione si riempie. Ci sono gli abitanti residenti, ci sono quelli che ritornano al paese la domenica o d’estate perché la famiglia è originaria di quassù, e coloro che provengono completamente dalla pianura. Io sono uno di questi, arrivato con la famiglia nel 1981, insieme alla “luce”, alla linea elettrica che ha raggiunto la frazione.
  La sera ci ritroviamo nella piccola piazza, dopo cena, quando il sole è tramontato e comincia a imbrunire, sotto il bellissimo campanile recentemente restaurato. Siamo di tutte le età, anzi di diverse generazioni: quasi ogni anno c’è qualche bambino “nuovo”.
  Seduto sul bordo di pietra, nell’angolo verso valle della piccola piazza, mentre  chiacchiero con mia moglie e con gli amici, alterno lo sguardo fra il campanile, con il suo grande orologio sempre in funzione, e la valle profonda al di là della rete che ripara il bordo della piazzetta verso il basso. Lentamente si va facendo sempre più buio.
  Ogni volta che volgo lo sguardo verso valle, mi sembra quasi di volermi accertare che la forra dell’Enderwasser sia abbastanza scura e profonda da difendermi, almeno per questi giorni, dall’invadenza della civiltà industriale e della sua scala di valori.   Non posso fare a meno di pensare che il principale di questi valori, la crescita permanente, è comunque un valore “impossibile”: la civiltà “della pianura” vive di questa espansione, quindi ha in sé la certezza della propria fine; resta il mistero di quando e come avverrà.
   Qui non ci sono asfalti, macchine, impianti a ricordare se l’invasione è già avvenuta; possiamo illuderci che questi problemi non esistano.
  Penso alle simpatiche galline di San Gottardo, che di giorno caracollano per le viuzze del paese e che si piazzano all’uscita delle case ad attendere le briciole sul prato, dopo l’ora del pranzo. Qui le galline sono ancora considerate come esseri viventi e senzienti, laggiù invece devono stare in orrendi capannoni, perché sono chiamate “risorse” per fabbricare uova e schedate con il metro dell’efficienza e della produzione.
   Abbiamo ritrovato il tempo ciclico, quello della Natura, mentre “nella pianura” viene riconosciuto solo il tempo lineare, quello che punta a semiretta verso il futuro: facciamo finta di essere riusciti ad integrare i due tempi.
  La forra dell’Enderwasser deve difendermi dalla densità di folla, di macchine, di rumori, dalla velocità e dall’efficienza, da questi valori così strani della nostra civiltà. “Agire sempre con un senso di urgenza” sembra essere uno degli imperativi in vigore. Ma c’è fretta di fare che cosa? E per quale scopo?  
  La civiltà industriale è così espansionista che vuole avere sempre nuovi adepti, ha bisogno di aumentare sempre i suoi seguaci, deve convertire tutti al culto della macchina, far gustare le gioie sublimi della catena di montaggio o della competizione aziendale. Non che per questo ci siano “colpevoli”, o ci sia un’azione intenzionale e cosciente da parte di individui o di gruppi: si tratta di processi che avvengono spontaneamente per il prevalere - nei secoli - di determinate scuole di pensiero.
  Così, mentre quassù andiamo in giro con un sacco in spalla o con la gerla di fieno, facendo una fatica o un esercizio comunque indispensabili, giù nelle città il sistema vorrebbe costringerci ad andare nelle palestre, a pagamento, per  rendere massimi i consumi.
  Il benessere è uno stato mentale, non un mucchio di oggetti.
  Mentre questi pensieri mi vagano per la mente fra una chiacchiera e l’altra, la valle  appare sempre più scura e profonda ad ogni sguardo e qualche stella appare nel cielo.
  Il numero di amici nella piccola piazza sta calando: già, perché quassù ci accorgiamo anche di una cosa che il mondo della pianura vuole far dimenticare, che l’oscurità è fatta per dormire e la luce del giorno per stare all’aperto, a respirare questa aria che ormai non si trova più tanto facilmente: l’alternanza fra il giorno e la notte è un altro dei cicli della vita di cui a San Gottardo riscopriamo il valore.
  Salutiamo i pochi rimasti e ci avviamo lentamente verso casa.

Meditazione a  San Gottardo (settembre 1995)
  Un essere vivente non ha confini definiti. Non è separato da tutto quanto lo circonda. Solo per motivi culturali - e quindi di linguaggio - faremo la distinzione fra corpo e psiche (o materia e spirito).
  Il corpo non ha confini materiali (respiro - aria - cibo - traspirazione, ecc.) ma è in comunicazione continua con il cosiddetto “esterno”.
Anche lo spirito non ha confini definiti (sentimenti, partecipazione, pensiero allargato, inconscio collettivo). Quindi l’ego è un’unità scarsamente definibile. Per poter “definire” qualcosa, si arriva sempre a dover comprendere una Totalità. Questa Totalità  (fisico-spirituale) è quella che le religioni teiste chiamano Dio, che non può essere distinto dal mondo, perché in tal caso sarebbe limitato, cioè non sarebbe più l’Infinito, e quindi non sarebbe più Dio.
  Per questo - ad esempio - si può pensare il vento come il respiro di Dio.
  Per non essere mortali occorre non essere un ego, perché la Totalità, che è al di sopra di ogni dualismo, è al di sopra anche del dualismo vita-morte: le comprende entrambe, come facce della stessa medaglia. I dualismi e le contrapposizioni sono un frutto culturale per specificare e catalogare, non hanno una esistenza oggettiva.
  Abbiamo visto che i confini dell’ego sono illusioni. Quindi la distinzione che si manifesta nella primissima infanzia (o forse nella vita prenatale) fra ciò che “sono io” e ciò che “non sono io” è soltanto un’illusione.
  Non ci può essere nulla che sparisce: ciò che ha la prerogativa di esistere non può né iniziare ad esistere, né cessare di esistere. Perciò, come essenza al di là dell’ego, siamo immortali, come il sole, il bosco e il torrente.
                                                                                       
Per chi volesse avere un’idea del luogo:
www.rimellawalser.it/s_gottardo.htm
www.klingenfuss.org/rimella.htm
www.fotoincollina.com/foto/foto.php?n=2&f=1