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Santo Scajola martire e compari

di Antonio Serena - 07/05/2010

Fonte: Liberaopinione.net


Bisogna ammetterlo, il dilemma posto dal caso Scajola è cornutissimo: bisogna capire se siamo governati da ladri o da scemi. Non è nostra intenzione voler anticipare il giudizio dei magistrati e nemmeno mettere alla gogna l’ex ministro (per ora non è indagato) per l’affaire dell’immobile acquistato al Colosseo, ma le dichiarazioni discordanti rese dallo stesso  Scajola in momenti diversi hanno aperto uno scenario inquietante.

L’ex ministro di Berlusconi ha infatti dichiarato: a) di aver acquistato nel 2004 un appartamento di 180 metri quadri nel centro di Roma pagandolo 610 mila euro e di non essersi mai avvalso dei 900 mila euro suddivisi in 80 assegni circolari  forniti dal gruppo Anemone; b) che quel versamento può anche essere stato effettuato, ma a totale sua insaputa.

Parliamoci chiaro. A parte la seconda dichiarazione che suona ridicola o sinistra (da dove sbuca un benefattore che ti paga  un immobile senza informarti  e senza aver nulla in cambio?), che razza di Fortunello è questo Scajola che compra un appartamento a Roma vista Colosseo a 3.400 euro al metro, quando il prezzo di mercato si aggirava (fonte “Casa & Case, supplemento al Sole 24 Ore del 24 luglio 2004) sui 17.000 euro al metro?

A parte le dichiarazioni delle proprietarie dell’appartamento che hanno dichiarato di aver effettivamente incassato la cifra versata dal gruppo Anemone, il ministro avrebbe potuto  dichiarare di aver pagato  l’appartamento  610 mila euro versando in nero il rimanente (come fanno, anche se con maggior discrezione, la maggior parte degli italiani). Avrebbe ammesso un’evasione fiscale  comunque poco dignitosa per un ministro della repubblica, ma per lo meno non avrebbe preso in giro gli italiani e ne sarebbe uscito da comune mortale.

Perché qui il problema non è più tanto quello del o dei reati consumati, ma quello di avere ai vertici delle istituzioni un personaggio che, dopo aver ricoperto molteplici incarichi istituzionali di alto livello, si dimostra tanto sbadato da dimenticare di aver ricevuto una somma di danaro  così ragguardevole; o così ingenuo da ritenere di aver pagato quell’immobile ad un prezzo molto più basso; o così bugiardo e sprovveduto – e qui la faccenda ha dell’incredibile - da negare, non tanto le testimonianze dei proprietari venditori dell’immobile, ma l’evidenza dei riscontri bancari che  comprovano l’operazione.

Il problema rimane sempre lo stesso. Quello che sconcerta, non è tanto l’accaduto in sé, quanto le dichiarazioni del navigato personaggio: “Un ministro non può sospettare di abitare in una casa pagata in parte da altri. Se dovessi acclarare che parte della mia abitazione è stata pagata da altri, senza saperne io il motivo, il tornaconto e l’interesse, i miei legali eserciteranno le azioni necessarie per l’annullamento del contratto di compravendita”. Altra ingenuità perché l’annullamento di un contratto di compravendita di immobile tra privati, stilato da un notaio, sottoscritto e registrato, a meno che non sia stato accertato un vizio di forma, difficilmente può essere annullato.

In questi giorni, nei corridoi di Montecitorio, i colleghi ironizzano sull’uomo caduto dal ministero per la seconda volta (la prima fu quando fu costretto a lasciare il Viminale per aver definito Marco Biagi, assassinato dalle BR, “un rompicoglioni che voleva solo il rinnovo della consulenza”) rispolverando i suoi molti soprannomi guadagnati nella sua lunga e variegata carriera politica: “caposcorta”, “sciaboletta” (per il suo piglio militaresco), “Skiola” (con allusione alla tratta aerea Albenga-Roma puntualmente ripristinata ogni volta che accedeva ad un ministero). Lazzi, risatine, sfottò di ogni tipo (“Adesso lo faranno Ministro alle dimissioni senza portafoglio con assegni”), com’è nelle migliori tradizioni di questi galantuomini soliti a sputare sul cadavere del compagno di partito  che fino a ieri ossequiavano. Gli dovrebbero maggior rispetto, loro: in fin dei conti è stato l’unico ministro di questa repubblica ad aver conosciuto le patrie galere, nel 1983, quando, sindaco democristiano di Imperia, si fece 72 giorni filati di gattabuia per una questione di tangenti al Casinò di Sanremo.

Il problema non è comunque tutto qui. Stranezze legate all’affitto o all’acquisto di appartamenti a prezzi ridicoli hanno in passato interessato parecchi politici, da Veltroni a Mastella a D’Alema a Marini a De Mita  e compagnia cantante. Del resto il Parlamento italiano  ospita un buon 15 per cento di persone condannate arrestate, inquisite, indagate, patteggiate, prescritte (più che nel quartiere di Scampia a Napoli) e, lo ripetiamo,  Scaloja per ora non è nemmeno indagato.

Il problema grosso – e sfuggito ai più – è che al ministro è giunta l’immediata solidarietà dei colleghi di governo: da  Roberto Maroni (si tratta “di una posizione assolutamente limpida: a lui ho espresso ed esprimo la mia solidarietà”), a Roberto Calderoli (“Scajola non è né cretino né disonesto: ha dato le sue risposte”). E qui la cosa si fa alquanto complicata. Che sia Berlusconi ad esprimere la solidarietà ad uno dei suoi uomini di fiducia è più che comprensibile; ma che addirittura scendano in campo personaggi come il ministro dell’ Interno e il ministro per la Semplificazione Normativa, esponenti di quella Lega che agli esordi esibì in Parlamento un cappio che doveva stringersi al collo dei disonesti della Prima Repubblica, pare un po’ troppo.

Scajola ha tutti i diritti di difendersi e di chiarire le sue contraddizioni, così come la magistratura ha il dovere di far chiarezza  con serenità sull’accaduto. Ma se alla stampa e ai cittadini si chiede di non mettere alla gogna chi prima non è stato condannato con sentenza definitiva, i signori politici – specie quelli che hanno costruito le loro fortune invocando mani pulite e ghigliottine – si esimano dal difendere aprioristicamente chi,  se non ancora condannato,  non è stato neppure assolto. Non rientra nei loro incarichi e declassa i ruoli da loro  ricoperti.