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Ombre rosse su Bangkok

di Manuel Zanarini - 06/06/2010

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È finita...forse; anzi no, forse siamo solo all'inizio. La clamorosa iniziativa delle “magliette rosse”, che hanno tenuto sotto assedio per settimane il centro di Bangkok, lascerà un segno indelebile nella storia futura della Thailandia. Mai, prima d'ora, i “prai”, i ceti più bassi, erano entrati nell'agone politico nazionale, dominato da sempre, dall'elite finanziaria e militare della capitale. Questo ha generato sgomento tra gli analisti locali, increduli di fronte a ciò che stava accadendo, e nell'ignorante casta di “giornalisti” occidentali, italiani in primis, critici inizialmente, e poi pronti a salire sul carro dei vincitori (diventanti improvvisamente e “opportunamente” di sinistra, nel frattempo...), quando la reltà si è manifestata nelle strade e nelle piazze. Ho detto vincitori, e non ho sbagliato; infatti, se la cricca finaziaria e militare oggi al governo a Bangkok, senza alcuna leggitimità popolare, in quanto mai ha vinto le elezioni democratiche (e forse nemmeno legalmente, viste le ultimi inchieste della Corte Suprema thailandese), ha sciolto nel sangue l'accampamento sei “rossi”, quel che è certo è che niente sarà più come prima...una vera e propria rivoluzione è avvenuta in Thailandia.

Prima di passare agli scenari futuri, brevissimo riassunto delle puntate precedenti. Dopo settimane di assedio il governo di Abhisit aveva accettato di sedersi al tavolo delle trattative con le “magliette rosse”, ed era stata tracciata una road map, che avrebbe portato allo scioglimento della Camera in settembre, e a nuove elezioni verso la metà di novembre. A questo punto la medio-alta borghesia della capitale e l'esercito sono scesi in piazza, per chiedere che l'accordo che venisse stracciato e che scattasse la repressione armata, nei confronti di chi chiedeva solamente la democrazia nel Paese. Solo in quest'ottica vanno viste, e capite, le manifestazioni delle “magliette gialle” e di quelle “multicolori”, figlie di quei ceti sociali che godono dei benefici di uno Stato, che non riconosce alcun diritto ai più poveri (come recitava uno slogan dell'UDD: «se lo faccio io non va bene; ma, se lo fai tu è tutto giusto»). Purtroppo, anche i “rossi”, si sono spaccati sulla opportunità di scendere a patti col governo. Due fronti si sono messi in luce: quello “politico”, guidato dall'ex leader del partito Puea Thai, Jatuporn Prompan; e quello “movimentista”, guidato dall'ex generale dell'esercito, e capo dei reparti speciali thialndesi, Khattiya Sawasdipol, meglio conosciuto col nome di Seh Daeng (generale rosso in lingua Thai). Se la prima fazione, era intenzionata a trovare un'uscita politica alla vicenda, convinta che prima o poi l'esercito avrebbe scatenato un bagno di sangue; la seconda, che aveva dato vita al “servizio d'ordine”, completamente vestito di nero, era intenzionata a resistere a oltranza, anche perché, i contadini venuti dalle povere regioni del Nord e del Nord-Est del Paese, non erano intenzionate a lasciare la piazza, prima che l'esercito si fosse ritirato. Su questo ha fatto leva la fazione dell'esercito che voleva una soluzione di forza, la quale, penso, ha posto un out-out all'esecutivo di Abhisit: o ci pensate voi, o interveniamo direttamente noi. Così, il Primo Ministro stracciava la road map, oscurava i mezzi di comunicazione vicini agli insorti, ordinava lo stato d'emergenza, dando incarico all'esercito di sciogliere l'accampamento dei “rossi”. La sera prima, un cecchino militare uccideva a tradimento, durante un'intervista alla stampa estera, Seh Daeng, sparandogli in testa. Decapitate della loro “mente militare”, le magliette rosse non sono state in grado di reggere l'urto dei mitra e delle pistole dei militari, vedendosi costrette alla resa. A Bangkok, il risultato è stato quello di qualche incendio appiccato a banche e a enti pubblici; mentre al Nord e nel Nord-Est, sono stati presi d'assalto caserme, commissariati di polizia e municipi.

Questa la situazione oggi; il futuro? È molto difficile prevedere cosa potrà accadere. Da un lato, l'esecutivo si è assunto un grosso rischio: spaccare a metà il Paese, dimostrando ancora una volta che si regge esclusivamente grazie all'esercito. I dissidi interni sono emersi durante la votazione di fiducia posta su 4 ministri, nella quale, alcuni parlamentari di maggioranza hanno votato contro o si sono astenuti. Per quanto ancora, le elite di potere finanziario e militare potranno pensare di governare il Paese, senza appoggio popolare e legittimazione democratica? Dall'altra, i “rossi” sono fortemente radicati nel Nord e nel Nord-Est; ma, faticano a insediarsi nella capitale (anche se tra i morti durante gli scontri di piazza, si registrano per la prima volta, studenti e operai). Questo da un lato, li avvantaggia, perché nelle province più povere riescono a riorganizzarsi sia “militarmente” che politicamente; ma, dall'altro canto, li rende deboli di fronte all'opinione pubblica moderata, ancora schiava della propaganda militare e di regime. Inoltre, devono anche affrontare una forte “moria” delle loro guide: Thaksin costretto all'esilio e inseguito dall'ennesimo mandato di cattura; le guide politiche, Prompan in prima linea, in galera col rischio di una condanna per terrorismo, che prevederebbe la pena di morte; l'ala movimentista che dovrà trovare un sostituto all'altezza del “mitico” Seh Daeng.
Quel che è certo, è che siamo di fronte alla più grossa crisi politica della storia della Thailandia. Quando le masse entrano in politica, le cose non sono mai più le stesse di prima, come la storia dell'Europa tra le due guerre mondiali dovrebbe insegnare. La dinastia è in una fase di crisi forse inarrestabile; infatti, il re Bomiphol è vecchio e gravemente malato, e il figlio erede al trono non gode di seria credibilità tra il popolo. Il forte sentimento nazionalista, che ha permesso al Paese di non cadere nelle guerre fratricide che hanno devastato i suoi vicini (Cambogia, Birmania, ecc.), potrà ancora fare da collante in un tessuto sociale lacerato dalla voglia di cambiamento e repressione militare? Tra tutto questo c'è anche da considerare il separatismo islamico al sud, che sta approfittando della debolezza di Bangkok per colpire sempre più violentemente.