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Draghi: tra crisi del debito e mancanza di crediti

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi - 08/06/2010




La relazione annuale del governatore della Banca d’Italia è solitamente il documento economico pubblico più cauto, i cui argomenti sono scelti e misurati quasi con il bilancino di precisione usato per pesare oro e pietre preziose. Il tentativo di molti di ricondurlo dentro il minimo comun denominatore studiato per definire il sostegno alla recente manovra di tagli di bilancio è un po’ provinciale e comunque limitativo. Piuttosto bisognerebbe condividere la preoccupazione del governatore per la diffusa corruzione, per l’illegalità non solo fiscale e per la mancata riorganizzazione della Pubblica Amministrazione.

A nostro avviso, però, il discordo di Mario Draghi contiene alcune importanti criticità che necessiterebbero di un maggior approfondimento. Salta subito all’occhio il fatto che ha ripetuto più volte che “le banche centrali hanno fornito liquidità in misura senza precedenti” sia nel caso della Lehman Brothers che in quello più recente dell’euro. “Le misure eccezionali di espansione della liquidità hanno evitato una crisi sistemica”, ha ricordato.

Ma proprio questa liquidità è andata tra l’altro a coprire “disavanzi e debiti pubblici che sono aumentati vistosamente”. Per l’area dell’euro, “l’imponente creazione di debito pubblico, in una fase in cui arrivano a scadenza sui mercati quantità straordinarie di obbligazioni bancarie, ha improvvisamente accresciuto il premio di rischio su alcuni debitori sovrani”, ha spiegato Draghi, mettendo in luce questa grande e seria preoccupazione che assilla tutti i responsabili delle istituzioni di governance e di controllo dell’economia e della finanza.

I titoli di debito pubblico dei paesi dell’euro, che arriveranno a scadenza nel 2010, saranno di 540 miliardi di euro, a cui si vanno ad aggiungere nuovi titoli di debito per un totale di quasi 930 miliardi di nuove emissioni. Nel 2010 l’Italia dovrà rimborsare titoli per 250 miliardi. Poi 192 nel 2011 e 168 nel 2012. Rimborsare, come noto, significa semplicemente emettere dei nuovi titoli per rimpiazzare quelli vecchi. Il problema è trovare acquirenti disposti a comprarli ad un tasso di interesse equo e non punitivo.

Oltre al problema dei crescenti debiti sovrani, sta emergendo una forte competizione tra le banche europee e quelle americane per accaparrarsi i compratori istituzionali di bond. Secondo alcune stime, circa il 40% dei 2.000 miliardi di dollari dei grandi fondi americani è costituito da titoli di 16 grandi banche europee. Anche Draghi ha detto che “con l’insorgere della crisi greca, le forti tensioni di liquidità sul mercato interbancario sono tornate e l’operatività è concentrata sul brevissimo termine”. Attualmente gli investitori americani forniscono circa 500 miliardi di dollari in crediti a breve termine per le operazioni delle banche europee.

Il vento sta cambiano e alcuni fondi americani stanno cominciando a ritirare i loro finanziamenti dall’Europa. Non si tratta solo di giochi di geopolitica finanziaria, ma sono decisioni dipendenti dall’aggravamento della situazione debitoria negli USA. Un esempio per tutti è dato dalla recente richiesta del gigante assicurativo immobiliare americano di interesse nazionale, Fannie Mae, di nuovi aiuti di emergenza per 8,4 miliardi di dollari. Fannie Mae, che era stato salvato dal fallimento nel 2008 con fondi pubblici, ha in portafoglio 3.000 miliardi in ipoteche immobiliari il cui valore si sta deteriorando. Ha fatto registrare 11,5 miliardi di perdite soltanto nel primo trimestre 2010. Il totale delle sue perdite accumulato dall’esplosione dei subprime è di 145 miliardi. Quasi la metà del Pil della Grecia, per intenderci.

Anche se con tono pacato, Draghi ha ammonito che “le banche devono essere preparate ad affrontare periodi anche prolungati e ricorrenti di anomalie sui mercati”. Dopo le recenti esperienze, sarebbe irresponsabile lasciare al mercato il magico compito di rispondere a questa emergenza. Diventano perciò di estrema urgenza gli accordi tra gli stati e i governi del G 20 per approntare una nuova governance e nuove regole sulla finanza di cui lo stesso Draghi si è fatto portavoce come presidente del Financial Stability Board.

Affrontando poi, relativamente al nostro paese, il nodo centrale del rapporto tra ripresa economica e accesso al credito e solvibilità delle piccole e medie imprese, il governatore ha riportato che il “credito alle imprese era sceso del 3,7% a dicembre 2009 rispetto a settembre, in ragione d’anno”. Percentualmente, la flessione maggiore si è registrata di più per le industrie del Nord rispetto al già risicato accesso al credito del Mezzogiorno. Segnali di miglioramento sono stati spazzati via dalla crisi dell’euro.   

Come si evince dalla relazione della Banca d’Italia, “la recessione peggiora la liquidità dei prestiti bancari e nel 2009 le perdite su crediti dei cinque maggior gruppi bancari italiani hanno assorbito quasi il 70% del risultato di gestione”. Nonostante il recente pacchetto di aiuti finanziari UE, la BCE stima, ottimisticamente, che le banche europee dovranno affrontare svalutazioni per sofferenze creditizie pari a 187 miliardi di euro da oggi a fine 2011. Nello stesso periodo le stesse banche europee entreranno in competizione nei e con i paesi dell’UE perché “vedranno addensarsi scadenze di obbligazioni bancarie per importi significativi”.

In questa corsa dei governi e delle banche al finanziamento dei propri titoli, le PMI, il solo motore produttivo della ripresa insieme al lavoro, rischiano di trovare chiusi i rubinetti del credito. Sarebbe ingenuo affidarsi soltanto a una ritrovata buona volontà delle banche.

Riteniamo urgente che il governo renda operativo il progetto della Cassa Depositi e Prestiti di creare un fondo speciale per il finanziamento di progetti a lungo termine e tecnologicamente avanzati delle piccola e media industria italiana. Le PMI sono l’unico cammello che lavora. Può resistere a lungo alla siccità, ma anche lui senza acqua muore!