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Incapaci di reagire

di Diego Barsotti - 14/06/2010


 

Il lunedì si presta sempre alle riflessioni. Perché c'è il tempo di sedimentare la scorpacciata di ragionamenti altrui ospitate da tutti i giornali. E quindi tirare le fila, anche se faticoso, è molto intrigante, soprattutto se si lascia la mente libera di effettuare acrobatici link.

Il commento finesettimanale sulle evoluzioni della crisi del resto sembra diventato uno sport mondiale, così come lo specchietto delle diverse manovre messe in atto dai vari Paesi, tutti più o meno concordi a misure che colpiscano l'Irpef sui redditi alti (non l'Italia), i redditi sul capitale (non l'Italia),  tasse su banche e imprese (non l'Italia, non la Spagna), prelievo sui dirigenti pubblici (qui almeno ci siamo!). La tassazione sulle transazioni finanziarie non sarebbe certo la panacea, ma sarebbe «il primo mattone  di nuove fondamenta che possano permettere di invertire una rotta finanziaria che rischia di avere effetti drammatici sulle democrazie europee e nordamericane», come ricorda Andrea Di Stefano sul Manifesto di domenica.

Ma in Italia neppure se ne parla. E grande spazio è stato assegnato invece  alla presidente dei giovani di Confindustria Federica Guidi (il nuovo che avanza, figlia del ‘padrone' della Ducati e storico vicepresidente degli industriali), che dopo aver esordito con «la crisi dell'Italia non è e non può essere considerata in alcun modo una crisi della globalizzazione, del capitalismo, né tantomeno dell'economia libera e del mercato», sentenzia che la malattia «è tutta europea, frutto di Stati che hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi, per garantirsi il consenso a spese dell'irrazionalità» (non c'è un po' di contraddizione?).

La ricetta di Guidi per uscirne, anzi addirittura due: una è tanto originale quanto coerente (la crescita, senza se e senza ma) l'altra invece è tanto insolita quanto grottesca visto che stiamo parlando di Italia: referendum abrogativo sulle  leggi tributarie e di bilancio, «così che il popolo diventerebbe responsabile di come e quanto tassarsi e di come le risorse debbano essere spese».

La seconda è già stata bocciata prima dalla sua presidente Emma Marcegaglia e poi dal ministro Sacconi. Vediamo la prima.

La crescita resta il dogma unico e inviolabile. Non c'è verso. I costi della crescita li riconosce perfino Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di oggi, crescita che «comporta danni irreversibili all'ambiente, perdita della ricchezza che proviene dalle diversità e pone di fronte al dilemma morale se sia giusto caricare i nostri nipoti dei costi del nostro benessere»... Ma poi la  sua risposta è sì, è giusto vivere sulle spalle delle generazioni future, perché questi sono solo piccole conseguenze di una crescita da inseguire ad ogni costo (ambientale, etico e sociale, appunto).

La crescita secondo Giavazzi permette infatti la mobilità sociale (forse intende lo spostamento del potere da padre in figlio e così via, vedi Ducati?), indebolisce la corruzione (?) rafforza il sommerso (??) e quindi la corsa europea ai tagli deve essere accompagnata da misure di liberalizzazione. O derogalamentazione, forse sarebbe il termine più corretto, rifacendosi anche alla rampante imprenditrice alla guida dei giovani di Confindustria.

Deregolare, perché davvero«non è il desiderio di arricchire, non è il basso desiderio di impadronirsi di beni e ricchezze, l' anima vera della corruzione italiana, il suo principale movente - scriveva Ernesto Galli della Loggia nel suo editoriale di sabato -  è il privilegio, l' ambizione innanzitutto di distinguersi, di appartenere al gruppo di coloro per cui non valgono le regole che valgono per tutti (...) La società italiana si è abituata a considerare il privilegio l'unico contenuto effettivo del rango».

Ma il massimo del privilegio ed emblema di questa opacità (figlia di una società sempre più derogata e  «poltiglia» per citare un'altra celebra e micidiale definizione del nostro Paese) sta nella possibilità di chiedere «favori», e naturalmente di ottenerli.

«Infatti si possono chiedere favori solo se si ‘conosce' e naturalmente si «conosce» solo se a propria volta si è ‘conosciuti', cioè se si è qualcuno». E' questa  secondo Galli Della Loggia la spiegazione della «profondità inaudita del narcisismo dilagante in Italia, specie tra i giovani, della spasmodica voglia di apparizioni e di carriere in tv».

Grazie all' intercettazione telefonica secondo l'opinionista del Corriere si era si rotta l'opacità del grande privilegio sociale, «quello dei politici e dei ricchi innanzitutto, e l' aura di riservatezza di cui esso si nutre. Nella sua versione italiana l'intercettazione telefonica diventa così la vendetta della plebe sull'oligarchia, la rivalsa della demagogia sulla democrazia. È lo sputtanamento, come è stato esattissimamente detto: lo sputtanamento demagogico, appunto, opposto alla pubblicità democratica. Una forma di giustizia violenta ed elementare, senza appello e senza garanzia alcuna. Una specie di linciaggio incruento. Ciò che è terribile è che la maggior parte di coloro che vivono in questo Paese pensi che sia questa, oggi, la sola forma di giustizia possibile. Ed ancora più terribile è che, probabilmente, hanno pure ragione».

E ciò che è terribile, aggiungiamo noi, è anche quello che ha dovuto ammettere l'Unità pubblicando il suo reportage dal mercato romano della Garbatella, dove il cittadino comune nulla sa e nulla vuole sapere del ddl intercettazioni, perché i problemi sono tanti ed altri, a partire da come si arriva alla fine di ogni mese.

La confusione allora non sta nelle cose, ma sta nella testa delle persone, dove il tarlo dell'opacità è stato insediato a forza da una sapiente strategia  di politica e di marketing per nutrirsi della stessa poltiglia che ha creato, e che rende instupiditi e incapaci ormai anche solo di stupirsi. Figurarsi se capaci di reagire.