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Israele: a scuola di razzismo

di Luca Mazzucato - 20/06/2010


Una manifestazione oceanica: centomila ebrei ultraortodossi in piazza per rivendicare orgogliosamente il loro diritto di praticare la segregazione razziale. Un colpo d'occhio impressionante nel centro di Gerusalemme, come in una scena tratta da Matrix, dove gli agenti portano cappelli neri a tese larghe invece di occhiali a specchio.

Altrenotizie si è occupato in passato di questa incredibile storia di razzismo e discriminazione, che nasce nella colonia illegale di Immanuel, nel nord della West Bank. Nel piccolo villaggio di tremila abitanti, quasi tutti Haredim (ebrei ultraortodossi), c'è una scuola privata femminile dove si insegna sotto stretta osservanza religiosa.

In questa scuola elementare sono ammesse soltanto bambine ultraortodosse e, fin qui, niente di strano. Ora, all'interno della comunità ultraortodossa ci s’identifica in base al paese di provenienza dei propri antenati: gli Ashkenazi sono immigrati in Israele dall'Europa orientale, mentre i Sephardi provengono dai Paesi Arabi e dal Nord Africa.

La scuola di Immanuel è off limits per le figlie di genitori sefarditi. I genitori ashkenazi difendono con orgoglio la loro scelta, notando che “è come mettere americani e africani insieme: non possono studiare nella stessa classe per via della loro differenza mentale.” Una delle madri ribadisce i concetti in un'intervista rilasciata al quotidiano Haaretz: “Solo bambini puri possono andare alla nostra scuola. Le bambine sefardite hanno la televisione a casa mentre noi ashkenazi parliamo solo Yiddish. Le bambine sefardite hanno una pessima influenza sulle nostre figlie.”

Un padre sefardita, la cui figlia è stata segregata, pretende che “il Ministero dell'Istruzione intervenga per fermare la segregazione una volta per tutte. Gli ashkenazi pensano di essere più intelligenti di noi, ma in realtà quello che non sopportano è il colore della nostra pelle”. I genitori discriminati hanno fatto ricorso alla Corte Suprema, che ha obbligato la scuola (che riceve ingenti contributi statali) ad accettare le bambine sefardite. In segno di protesta, i rabbini ashkenaziti hanno ordinato ai genitori di ritirare tutte le loro figlie (ovvero la quasi totalità delle alunne) dalla scuola a fine dicembre dello scorso anno, in pratica boicottando l'intera scuola e bloccandone le attività.

La Corte Suprema ha dunque ordinato ai genitori ashkenazi di riportare le figlie a scuola oppure di finire in prigione per due settimane. Come in Italia, è illegale tenere i figli a casa per mesi interi. Secondo l'avvocato dei genitori, “in una disputa religiosa la decisione del rabbino invalida quella della Corte, perché la Torah è più potente di qualsiasi autorità.” Dopo l'ennesimo rifiuto della comunità ashkenazita di riportare i figli a scuola e mettere fine alla segregazione, la Corte ha condannato i genitori ashkenaziti a due settimane di prigione.

Giovedì mattina, ventidue madri e quattro padri si sono dati alla macchia mentre circa trentacinque padri sono saliti sul bus che li portava a Gerusalemme, dove si sarebbero consegnati alla polizia. Al loro arrivo a Gerusalemme, i genitori in stato d'arresto sono stati accolti da una folla oceanica di ebrei ultraortodossi ashkenazi, che al grido di “dio è il nostro signore”, li hanno accompagnati fino alla stazione di polizia. Prima di costituirsi, alcuni tra i genitori sono saliti sul palco della manifestazione per arringare la folla. “Vado in prigione a testa alta”, ha gridato un padre, “Faremo quello che ci ordinano i rabbini, e loro si occuperanno di educare i nostri figli.”

Una contemporanea manifestazione imponente si è verificata a Bnei Brak, il sobborgo ultraortodosso a Est di Tel Aviv. Entrambe le dimostrazioni sono state pacifiche, a differenza dei violenti scontri dei giorni scorsi, in cui centinaia di giovani ultraortodossi si sono scontrati con la polizia a Giaffa e in altre zone del Paese. Secondo i rabbini leader della protesta ashkenazita, “niente del genere era mai successo dalla seconda guerra mondiale, vedere ebrei ultraortodossi arrestati e finire in prigione.”

La comunità ortodossa in realtà è spaccata in due. Il partito ultraortodosso sefardita dello Shas, che è membro del governo Netanyahu, si trova tra l'incudine e il martello, con conseguenze a tratti demenziali se non fossero così tragiche. Il rabbino Ya'acov Yosef, figlio del famoso rabbino e leader dello Shas Ovadia Yosef, è il promotore del ricorso dei genitori sefarditi alla Corte Suprema, che ha dato inizio a tutta la faccenda. Allo stesso tempo, lo Shas è un partito religioso e non può andare contro la legge degli Haredim, che prevale sempre sulla legge dello Stato. Come compromesso, giovedì Ovadia Yosef ha dichiarato di essere contrario a ogni discriminazione, ma allo stesso tempo criticando la decisione della Corte Suprema, perché contraria alla Torah (anche se in difesa della sua comunità etnica).

La manifestazione di oggi porta con sé drammatiche conseguenze per lo Stato ebraico. La comunità ultraortodossa, i cui uomini per lo più non lavorano ma vivono dei sussidi statali, ha assunto una posizione eversiva e si è apertamente schierata contro lo Stato e le sue istituzioni. Allo stesso tempo, le scuole religiose, dove i rabbini incitano alla disobbedienza e a volte al sabotaggio, non potrebbero sopravvivere senza i massicci finanziamenti del governo.

Non passa settimana ormai senza che i giovani estremisti ultraortodossi si scontrino con la polizia, per protestare contro l'apertura di parcheggi durante lo Shabbat o la costruzione di edifici su presunti siti religiosi. Secondo Yossi Sarid, editorialista di Haaretz, lo Stato ha coltivato e coccolato una serpe nel suo seno e manca poco ormai alla guerra aperta tra ebrei laici e religiosi, ormai latente da troppo tempo. Sperando che le frange più estremiste degli Haredim, ovveri i coloni armati negli insediamenti in West Bank, non decidano di prendere alla lettera le incitazioni dei rabbini e le loro maledizioni contro alcuni membri della Knesset.