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Internet, blog e libertà: Obama vuole il tasto off

di Marcello Foa - 20/06/2010

All’esame del Senato un progetto di legge che dà al presidente il potere di bloccare l’attività del web. Lo scopo: proteggere gli Stati Uniti da possibili attacchi informatici. Ma gli internauti insorgono.

 
Immaginate una mattina, come tante altre. Avviate il computer, digitate un indiriz­zo familiare, come google.com. Ma qualcosa non va. Ap­pare una schermata: «Connes­sione impossibile». Pensate a un errore, verificate il cavo, la linea ad alta velocità. Tutto ok. Provate con un altro sito yahoo.com. Niente. E un altro e un altro ancora. Sempre niente. Pensate a una falla cir­coscritta. Ma poi accendete la radio e scoprite che il silenzio del web è mondiale. E che a de­ciderlo è stato Barack Obama. Una scena degna di un film di Hollywood. Eppure tutt’al­tro che fantasiosa. Mentre il mondo parla della crisi del­l’euro, della marea nera e, na­turalmente, dei mondiali di calcio, il Senato americano esamina un progetto di legge rivoluzionario. E inquietante. Lo ha presentato il senatore democratico Joe Lieberman. Tratta della necessità di pro­teggere gli Usa da possibili at­tacchi informatici. Preoccupa­zione legittima e condivisa dal­lo stesso Obama. Gli attacchi telematici rappresentano una delle nuove armi delle cosid­dette «guerre assimmetri­che », che già caratterizzano al­cuni conflitti geostrategici. Il problema, però, è che Lie­berman, anziché sollecitare il potenziamento di barriere tec­nologiche anti- hacker, propo­ne una soluzione estrema, mai contemplata fino a oggi. Il potere di spegnere Internet. Con un clic. In caso di emergenza, il pre­sidente degli Usa avrebbe la fa­coltà di obbligare i maggiori provider e i siti di interesse strategico (dunque pratica­mente tutti quelli più usati nel mondo come Google e Yahoo) a interrompere ogni at­tività. Il progetto contempla an­che la creazione di un «Centro nazionale per la sicurezza ci­bernetica e la comunicazio­ne », che avrebbe facoltà di pro­grammare tecnologie specifi­che e di imporre misure di si­curezza. A tutti. Negli Stati Uni­ti, ovviamente. Ma, all’occor­renza, anche all’estero. Senza eccezioni, sotto la minaccia di sanzioni stratosferiche. Un provvedimento estre­mo, che qualcuno negli Usa ha già paragonato alle leggi più controverse varate da Bu­sh nella guerra al terrorismo. Un provvedimento di cui, pe­rò, l’opinione pubblica non è consapevole. I grandi media non ne parlano benché l’iter parlamentare sia in fase avan­zata. La Casa Bianca tace, chia­ramente consenziente. Qual­che senatore repubblicano si oppone, ma poche, isolate vo­ci non sufficienti a svegliare la coscienza del Paese. Solo su Internet la notizia ha suscitato reazioni adeguate. Il popolo del web è preoccu­pato. Il provvedimento parla di «emergenza nazionale»; dunque non solo cibernetica. Potrebbe valere anche in caso di un attacco terroristico o una guerra. E allora, si chiedo­no in tanti, perché chiudere In­ternet e non la radio e la tv? Forse, insinua qualche blog­ger, perché negli Usa la rete web è tendenzialmente di de­stra, mentre i grandi media tra­dizionali sono più di sinistra e, comunque, più controllabili? Dubbi scomodi e, forse, vele­nosi, ma non infondati. Qualche mese fa proprio Obama si era schierato al fian­co di Google contro la Cina, di­fendendo la libertà di espres­sione sul web. E qualche gior­no dopo Hillary Clinton an­nunciò un programma per dif­fondere Internet senza limita­zioni in tutto il mondo, soprat­tutto nei Paesi sottoposti a dit­tatura. Ma negli Usa la Casa Bianca sembra intraprende­re, almeno in parte, il cammi­no inverso; a braccetto di altre democrazie occidentali. Co­me quella australiana, ad esempio, dove è già attivo un filtro per monitorare siti sco­modi. Il governo di Canberra di recente ha annunciato di vo­le­rlo rafforzare, trasformando­lo in una sorta di muraglia ci­bernetica. Una notizia inquie­­tante, di cui però i grandi me­dia non hanno dato conto con l’eccezione di Tim e . Anche la Nuova Zelanda, dal primo febbraio, si è dotata di un filtro web e proprio da febbraio, per una curiosa coin­cidenza, l’accesso a siti scomo­di, come Prisonplanet e In­fowars, è diventato problema­tico. Ma il passo più audace lo ha compiuto la Gran Bretagna do­ve a maggio, alla vigilia delle elezioni, la Camera dei depu­­tati, ancora una volta nel disin­teresse generale, ha approva­to una legge che consente di chiudere siti che violano «o po­trebbero violare» la norme a tutela del copyright. Ora tocca a Obama, poten­ziale Grande Fratello. A fin di bene, naturalmente.
Attenti: Obama avrà il potere di spegnere internet…

I grandi media non ne parlano, l’opinione pubblica è distratta dalla finale di nba e dai  mondiali di calcio, le news sono dominate dalla vicenda Bp-macchia di petrolio. Intanto però il Senato Usa sta esaminando una legge rivoluzionaria, presentata dal democratico Joe Lieberman, che darebbe  a Obama il diritto di spegnere internet. La misura è contemplata nel pacchetto per combattere il cyberterrorismo, ma i pochi che ne hanno parlato la ritengono senza precedenti e potenzialmente liberticida, come scrivo sul Giornale oggi.
In caso emergenza, il presidente degli Usa avrebbe la facoltà di obbligare i maggiori provider e i siti di interesse strategico (dunque praticamente tutti quelli più usati nel mondo come Google e Yahoo) ad interrompere ogni attività. Il progetto contempla anche la creazione di un «Centro nazionale per la sicurezza cibernetica e la comunicazione», che avrebbe facoltà di programmare tecnologie specifiche e di imporre misure di sicurezza. A tutti. Negli Stati Uniti, ovviamente. Ma, all’occorrenza, anche all’estero. Senza eccezioni, sotto la minaccia di pesanti sanzioni.

Si tratta di misure giustificate? O, come temono in tanti, stiamo assistendo al tentativo di mettere sotto controllo la Rete?

Negli ultimi mesi per la prima volta ben tre democrazie hanno introdotto misure che in qualche  misura limitano la libertà su Internet:

In Australia ad esempio, dove è già attivo un filtro per monitorare siti scomodi. Il governo di Canberra di recente ha annunciato di volerlo rafforzare, trasformandolo in una sorta di muraglia cibernetica. Una notizia inquietante, di cui però i grandi media non hanno dato conto con l’eccezione di “Time“. Anche la Nuova Zelanda, dal primo febbraio, si è dotata di un filtro web e proprio da febbraio, per una curiosa coincidenza, l’accesso a siti scomodi, come Prisonplanet e Infowars, è diventato problematico.

Ma il passo più audace lo ha compiuto la Gran Bretagna, dove a maggio alla vigilia delle elezioni, la Camera dei deputati, ancora una volta nel disinteresse generale, ha approvato una legge che consente di chiudere siti che violano «o potrebbero violare» la norme a tutela copyright.
Ora tocca a Obama, potenziale Grande fratello. A fin di bene, naturalmente.

Sono preoccupato. Fino a quando la Rete rimarrà uno spazio davvero libero?