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Bobby Sands che si lasciò morire di fame

di Siegmund GInzberg - 06/05/2006

 
Bobby Sands era stato il primo a iniziare uno sciopero della fame a oltranza dei detenuti nel famigerato Blocco H del penitenziario di Long Kesh in Irlanda del Nord, quella che fa parte della Gran Bretagna. Aveva un figlio che non aveva visto crescere. «Lo scorso Natale è stato il mio nono Natale qui in prigione. Ho perso molto a causa di ciò, compresa mia moglie che amo, e il figlio che amo. Ma ciò nonostante tornerei a rifare domani quello che ho fatto e a combattere, perché non sono pazzo. Non sono una bestia. Sono intelligente, responsabile, e ho ideali per cui generazioni sono morte».
Il 5 maggio 1981 moriva nel carcere di massima sicurezza presso Belfast, sinistramente soprannominato The Maze, il labirinto, dove erano rinchiusi i più pericolosi terroristi irlandesi, il detenuto Bobby Sands. Aveva compiuto da pochi giorni 27 anni. Era in prigione da 10 anni. Rifiutava di nutrirsi da 66 giorni

«Non provo piacere in prigione. Non mi fa piacere l'idea della morte», aveva scritto ai genitori prima di iniziare lo sciopero della fame che guidava. Poche settimane prima di morire era stato eletto parlamentare alla Camera dei comuni britannica. Prima della fine di quell'estate sarebbero morti altri 9 suoi compagni di sciopero della fame. Altri 13 si sarebbero salvati per il rotto della cuffia, convinti in extremis dai familiari a interrompere la protesta.

Non chiedevano di essere rilasciati. Né la liberazione di altri detenuti. La loro era una protesta contro le condizioni di detenzione. Non in particolare contro la durezza. Non venivano trattati coi guanti, c'erano stati casi di estorsione di confessioni, ma «il labirinto» non era Abu Ghraib. La protesta riguardava principalmente la cancellazione dello «Special Category» status che sino ad allora li aveva riconosciuti «prigionieri politici». Pretendevano di non essere considerati alla stregua di «criminali» comuni, essere esentati dal lavoro in prigione, di indossare i propri abiti e non l'uniforme dei carcerati (come forma di disobbedienza avevano deciso di coprirsi solo con delle coperte, da qui vennero chiamati blanket-men, gli uomini dalla coperta). Era una rivendicazione che suscitava reazioni tipo quelle che si sentono oggi sul se i «terroristi» vadano trattati o meno come «prigionieri di guerra». Denis O'Hearn, l'autore di una recentissima biografia di Bobby Sands, molto di parte e contestata perché acriticamente agiografica, non ha difficoltà ad ammettere che «al centro della protesta vi era la legittimazione della lotta armata fuori del carcere». Da una parte e dall'altra c'era la convinzione che il modo in cui sarebbero stati «categorizzati» i prigionieri avrebbe avuto conseguenze decisive sulla «guerra» in corso tra le autorità di Londra e la rivolta armata irlandese, e sul modo in cui il conflitto veniva percepito internazionalmente. Premier era Margaret Thatcher, la «signora di ferro», che poco prima aveva fatto la guerra all'Argentina, dominata da una feroce dittatura militare, per le Falklands, e non si poteva nemmeno pensare fosse disposta a concessioni a chi voleva l'indipendenza dell'Irlanda del Nord, sotto dominio britannico da secoli.

La risposta della Thatcher era stata brutale e netta - anche se probabilmente non diversa nella sostanza da quella che avrebbe potuto dare, nel pieno di una campagna sanguinosa di attentati (c'erano stati già migliaia di morti, moltissimi tra civili innocenti) qualsiasi primo ministro, fosse pure laburista. «Questo governo non gli concederà mai lo status di prigionieri politici, non importa quanti scioperi della fame possano fare. Un crimine è un crimine, non è politico. Il signor Sands era un criminale condannato. Ha scelto di togliersi la vita. Si tratta di una scelta che la sua organizzazione non ha concesso a nessuna della sue vittime», dichiarò. «Coi terroristi non si tratta», era la parola d'ordine. A tutt'oggi non è chiaro se Bobby Sands fosse personalmente coinvolto in atti terroristici, avesse partecipati ad attentati o avesse ammazzato qualcuno. Era stato formalmente accusato di essere membro dell'Ira e di aver prestato assistenza ai terroristi. Il referto ufficiale, per Bobby Sands, e per quelli che si sarebbero lasciati morire di fame dopo di lui, fu che erano deceduti per «malattia».

C'è forse di peggio. Documenti recentemente desecretati dal ministero dell'Interno, sembrano mostrare che il governo sapeva bene come si sarebbe conclusa la vicenda, e in qualche modo auspicava che morissero, fece poco o nulla per sbloccare la situazione, nemmeno ricorse all'alimentazione forzata, che pure aveva piegato scioperi della fame precedenti. Era l'esito che si aspettavano, e anzi avevano incoraggiato, pensando che ne sarebbe risultata non solo una conferma della linea della fermezza, ma anche un vantaggio. C'è chi dice che non fece molto nemmeno l'Ira. Ora si sa che c'erano state trattative segrete tra il governo e la leadership repubblicana. Un documentario trasmesso dalla tv di stato irlandese sostiene, con dovizia di testimonianze da parte di coloro che agirono da «intermediari» che ad un certo punto il governo di Londra offrì una proposta che corrispondeva grosso modo a quel che l'altra parte chiedeva, e avrebbe così potuto far cessare lo sciopero della fame e salvare almeno sei dei 10 che morirono. L'Ira chiedeva già molto meno che il ritiro delle truppe britanniche dall'Irlanda del Nord.

Denis Bradley, un prete cattolico che faceva da intermediario, dice che gli fu offerto un accordo che era quello che poi conclusero: che comprendeva il diritto dei prigionieri a vestirsi come gli pareva e non lavorare, insomma uno status che li distinguesse dai detenuti comuni. Richard O'Rave, che all'epoca era portavoce dei prigionieri, sostiene che a sabotare una conclusione meno tragica non fu solo l'intransigenza della Thatcher ma la pretesa - assolutamente inaccettabile in quel momento da Londra, perché avrebbe significato ufficializzare il negoziato - che fosse lo stesso Gerry Adams, leader del braccio politico dell'Ira, il Sinn Fein, a sottoscrivere in prigione l'accordo. Insomma, quei ragazzi sarebbero stati sacrificati un po' come lo sono i «martiri» suicidi. L'insinuazione che la scelta di proseguire lo sciopero della fame ad oltranza non fosse del tutto «volontaria» è stata respinta con indignazione. «Molti si offrirono volontari. Il nostro problema non era che mancasse gente pronta a morire, ma scegliere chi. Il consiglio militare dell'Ira era in realtà contrario allo sciopero della fame…» ha ribbattuto l'allora capo «politico» dell'Ira nel «labirinto», Brendan «Bik» McFarlane. Ma il punto non è questo. Bobby Sands certo si considerava un «martire» a tutti gli effetti, con connotazioni religiose non dissimili da quelle addotte dai martiri suicidi islamici. Scriveva poesie, in una, scritta dopo la condanna a 14 anni, si dice pronto a «percorrere la via solitaria/ come quella del Calvario. / e portare la Croce degli Irlandesi», come Cristo. Al cardinale Hume, che ne aveva deplorato il suicidio, un suo biografo ribatte: «Gesù Cristo avrebbe potuto salvarsi la vita quando venne portato dinanzi a Pilato, ma non lo fece. Dovremmo quindi concludere che il fondatore del cristianesimo commise suicidio?». E riferisce con esaltazione come fosse emozionato a ricevere in dono «un'immagina della Madonna da un sacerdote che lo incoraggiava a imbracciare le armi per il suo popolo oppresso».

Era cominciata, 4 secoli prima, come un conflitto di religione, tra cattolici irlandesi e inglesi oppressori protestanti. Poi, nel ‘700, la causa repubblicana irlandese era rinata con Theobald Wolf Tone, anch'egli venerato suicida prigioniero degli inglesi, sulle onde assai più laiche della Rivoluzione francese. Era ridiventato conflitto religioso agli inizi del ‘900 con Patrick Pearse, che non si suicidò ma finì sul patibolo. Ogni epoca trova i suoi fanatismi. E i suoi «martiri». Martiri convinti, «volontari», ma incoraggiati, utilizzati, improvvisamente creati, spesso dai loro persecutori. Finché non subentra, talvolta per vie imprevedibili, una soluzione politica a conflitti impossibili da sanare per vie militari. Quello irlandese ha radici che risalgono molto più addietro che il conflitto israeliano-palestinese. L'Ira ha alle spalle attentati e stragi non molto meno sanguinose di quelle di Hamas. C'era mancato poco assassinassero la Thatcher, ci hanno provato anche con Blair. Ha collaborato con quasi tutti i terrorismi del mondo. Eppure, a un certo punto avevano cominciato a parlarsi, e, dopo 36 anni di sangue, dopo un lungo periodo «col mitra in una mano e la scheda elettorale nell'altra», nel luglio dell'anno scorso hanno formalmente annunciato la fine della lotta armata. C'è chi ritiene che la svolta sia maturata proprio attorno alla tragedia del «labirinto»: quei martiri si erano ritorti contro Londra, l'Ira aveva cominciato a vedere i vantaggi del vincere le elezioni. Il terrorista Gerry Adams è diventato «rispettabile» anche per il modo in cui l'ha imposta ai suoi. Grazie anche all'incoraggiamento che aveva avuto dall'America di Clinton. Potevano essere «alleati» di Bin Laden. Ora si fanno in quattro per spiegare che l'Ira non solo non ha nulla a che fare, ma non è paragonabile ad Al Qaeda. Distinguere tra i «terrorismi», parlare con dei «terroristi» insomma sembra aver pagato. C'è ancora chi lo accusa di aver «tradito» Bobby Sands impegnandosi al dialogo. Tra questi la sorella di Bobby, Bernadette Sands-McKevitt, compagna dell'ancora alla macchia capo dichiarato della «Vera Ira». Cosa ne penserebbe Bobby della svolta non si può sapere. Ma quasi tutti i superstiti di quel tragico sciopero della fame sono oggi sostenitori convinti della nuova via politica.