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L’Italia chiamò

di Francesco Mario Agnoli - 22/06/2010


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Il nostro ministro della Guerra, on. La Russa, quello che coglie ogni occasione per indossare la tuta mimetica e ama parlare dei nostri “eroici ragazzi al fronte” (se non altro è sincero: “fronte”, altroché “missione di pace”), ha trovato quattro parlamentari per proporre un disegno di legge che rende obbligatorio il suono dell' “Inno di Mameli” prima di ogni cerimonia pubblica (chissà poi perché tutte donne? Forse per attenuare i toni eccessivamente guerreschi del nostro per ora solo supposto inno nazionale?).
Pare che il disegno di legge preveda anche l'obbligo di esporre in tutte le classi delle scuole elementari il testo completo dell'inno, in modo che i cittadini italiani e gli aspiranti tali possano impadronirsene fin dalla più tenera età per cantarlo poi in coro in occasione delle partite della “nazionale” calcistica.
Tuttavia ci si può chiedere se l'on. La Russa e le quattro gentili firmatarie del disegno di legge l'Inno di Mameli lo abbiano mai letto per intero. Lasciamo pur perdere quel “Fratelli d'Italia” che molti sospettano (e non pochi ne sono assolutamente certi) non si riferisca a tutti gli Italiani, ma esclusivamente ai fratelli di loggia, e lasciamo perdere anche il richiamo a Balilla, che il celebre sasso “fischiante” lo tirò sì agli austriaci, ma solo perché alleati dei piemontesi e dei Savoia che avevano invaso, con intenti annessionistici, la Repubblica di Genova. Ma come la mettiamo con la strofa: “Son giunchi che piegano/ le spade vendute/ già l'aquila d'Austria/ le penne ha perdute./ Il sangue d'Italia/ e il sangue Polacco/ bevé col Cosacco/ ma il cor le bruciò”.
Ma come? L'Austria non solo è un paese amico, ma anzi fratello, dal momento che fa parte oltre che dell'Unione Europea addirittura della zona euro, della quale condivide con noi le scarse speranze e i molti travagli.
È vero che anche l'inno nazionale francese, la “Marsigliese”, non scherza con il suo invito a correre alle armi per formare i battaglioni contro soldati sgozzatori di donne e bambini e le bandiere da “abbeverare con il sangue impuro” dei tiranni e dei loro soldati, ma (oltre a essere musicalmente molto più bello), a parte un generico richiamo a non meglio specificate “coorti straniere” e ”mercenarie falangi” (si tratta probabilmente degli Svizzeri, che non fanno parte dell'Unione e comunque non vengono espressamente menzionati) è un affare privato fra Francesi, soldati del tiranno da una parte e seguaci della libertà dall'altra.
Al contrario, è ammissibile che il nostro inno nazionale prosegua, dopo centocinquant'anni dall'unità e novanta dalla conclusione della prima guerra mondiale, nella propaganda anti-austriaca?
È vero che in genere, anche per ragioni estetiche, si evita di cantare tutto l'inno e ci si ferma prudentemente alle prime strofe, ma adesso il ministro della guerra e le sue gentili parlamentari pretendono l'affissione e diffusione dell'intero testo, vampiri austriaci (e cosacchi) inclusi.
Ce n'è abbastanza per cacciarci dall'Unione europea e dall'euro (magari, da come vanno le cose, checché ne dicano economisti e politici quest'ultima eventualità non sarebbe nemmeno una disgrazia).
Un'ultima domanda all'onorevole Ministro della Guerra: il testo integrale dell'inno sarò affisso anche nelle scuole elementari del Sud-Tirolo alias Alto Adige?
Così, tanto per favorire l'unità e la convivenza?