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Intercettazioni. Un falso “tema d’attualità”

di Fabrizio Fiorini - 29/06/2010


 

Chi valuta l’importanza di una disposizione di legge, di una norma o di un uso in base all’autorevolezza o alla posizione giuridico – gerarchica del testo legislativo in cui questi sono inseriti, compie un errore di grosse proporzioni. Per esempio, senza disturbare lo stato comatoso dell’articolo undici della nostra carta costituzionale, basti ricordare del vincolo nazionale e sociale imposto dal dimenticato articolo due (“Principi fondamentali”), secondo cui compito della repubblica è quello di garantire i diritti dell’uomo anche in seno alle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e di richiedere l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Non è l’estratto di un regolamento condominiale: è una delle norme primarie dei principi fondamentali della nostra costituzione democratica, repubblicana e – pensate – antifascista; eppure un regolamento di condominio gode in questa repubblica di maggiore considerazione e attuazione. In Unione Sovietica, secondo esempio, era affermato il principio giuridico costituzionale secondo cui per ogni repubblica federata era contemplata la possibilità di separarsi dall’Unione. Poi però bastava non dico provarci, ma pensarlo, e ti gonfiavano come una zampogna.

Tralasciando l’ambito giuridico costituzionale, anche nel diritto comune alcune norme sono più “alte” di altre, pur essendo parte dello stesso corpo normativo, per via del fatto che attingono la loro “positività” da principi morali, o etici, o comunque comunemente ritenuti di alto valore collettivo. E sono proprio queste le più disattese o eludibili: il reato di “serie b” del borseggio, ad esempio, è un illecito doverosamente sanzionato, così come lo sono i reati di “serie a” della falsa testimonianza o del vilipendio al capo dello stato. Pur tuttavia, se rubo un portafoglio sul tram avrò delle ottime possibilità di trascorrere qualche giorno sotto chiave, mentre se testimonio il falso in tribunale potrò sempre appellarmi all’imperante relativismo delle coscienze, e se dico in pubblico che Giorgio Napolitano è un mascalzone potrò sempre opporre un etimologia aramaica della parola che dimostri come “mascalzone” significhi “colui che coglie margherite”.

Oggetto della legislazione sanzionatoria ordinaria, meri numeri nel mare magnum dei codici penale e di procedura penale del nostro ordinamento, sono le norme inerenti la riservatezza del cittadino e delle sue comunicazioni personali, che – l’attenzione mediatica di questi ultimi tempi ne è la riprova – appartengono alla citata categoria delle norme di rilevanza etica e collettiva. Oggi, anzi, il tema della privacy si è fatto religioso Verbo, ostentato feticcio terreno dello spirito dell’individualismo borghese, assurto agli onori della stanca ritualità civile in seno alla quale il cittadino che deve rinnovare la licenza di pesca alla trota si vede consegnare un modulo di cinquemila battute da un solerte funzionario pubblico che lo rende edotto: “e questa è la privacy”.

Al pari degli altri alati principi affermati indegnamente da ordinamenti antipopolari, anche su detta questione si rileva una discrepanza notevole tra il rilievo che gli viene attribuito e l’effettivo ed effimero valore impositivo della norma. La proposta di legge che è in corso di approvazione in questi giorni dal parlamento nazionale, per la quale parte della maggioranza di governo si è detta disposta a lavorare anche in estate e anche di notte, andando ad agire prevalentemente sull’articolo 240 del c.p.p., sancisce delle limitazioni all’utilizzo indiscriminato e alla pubblica fruibilità (soprattutto attraverso la stampa) dei contenuti di conversazioni private. In sintesi, i contenuti del provvedimento sono i seguenti: a) ammissibilità: l’opera di intercettazione telefonica e ambientale sarà contemplata solo in presenza di ipotesi di reati per i quali sia prevista una pena superiore ai cinque anni di reclusione, nonché per quelli commessi contro la pubblica amministrazione, o inerenti sostanze stupefacenti, armi, usura, molestie e pornografia infantile; b) durata: fissata in un massimo di sessanta giorni; c) poteri delle Procure: oltre all’obbligo della custodia d’archivio, ai procuratori sono attribuite funzioni di controllo dei centri di intercettazione e poteri decisionali sulla distruzione dei contenuti delle stesse; d) sanzioni alla stampa: agli editori e ai giornalisti che si renderanno colpevoli di pubblicazione di materiale vincolato dal segreto o di cui è stata ordinata la distruzione verranno comminate pesanti sanzioni pecuniarie e/o la misura dell’arresto fino a trenta giorni.

Un provvedimento, quindi, che a una lettura superficiale potrebbe apparire encomiabile, ma che, grazie alla sua flessibilità e fumosità, non mancherà di dimostrare la sua vera natura e i suoi veri intendimenti: quelli di coprire le marachelle di una mediocre e truffaldina classe politica e di sanzionare pesantemente la stampa non allineata e comunque dissenziente. Un provvedimento, inoltre, che continuerà a permettere impunemente l’utilizzo spregiudicato della violazione della riservatezza del cittadino e l’indagine/criminalizzazione della dissidenza politica e culturale. Tutto ciò in base a due constatazioni.

Fatto n°1. Chiunque abbia avuto la ventura di attraversare una giovinezza sana, e che abbia pertanto militato o simpatizzato per formazioni politiche non conformiste, chiunque abbia insomma, nel corso degli ultimi decenni, reputato (in maniera condivisibile o meno) di dare alla propria esistenza uno slancio politico in una formazione che non sia stata propriamente quella dell’Associazione micologica o delle Contrite ancelle del cuore di Maria, conosce a menadito la pratica dell’intercettazione: telefonica, della corrispondenza, ambientale. Chi scrive, ad esempio, vuoi che probabilmente da giovane aborriva un senso della misura scoperto in età adulta e vuoi che il movimento extraparlamentare in cui militava era di stampo marcatamente radicale, non poteva dare un appuntamento telefonico da lì a trenta secondi a un proprio sodale nel tal luogo, senza che nel tal luogo si trovasse una alfetta bianca della squadra politica della questura. Se si andava al ristorante o al bar, nel tavolino di fianco prendevano posto i due soliti conosciuti personaggi, e ascoltavano. Eppure nessuno era sottoposto a procedimento penale o a indagini. Si dirà: è la consueta, normale prassi di tutti gli stati del mondo in cui ci sia una polizia e un dissenso. D’accordo. Però nessuno ha mai detto “a”. Casini non è andato in parlamento con la sua aria contrita a evocare lo spettro della Ddr; Di Pietro non è andato in piazza a strabuzzare gli occhi urlando “è l’Argentina di Pinochet!” (si, lui direbbe così). Né, per gli stessi motivi, lo farebbero adesso.

Fatto n°2. Esiste un programma chiamato Sigint (“signals intelligence”, ovvero “spionaggio di segnali elettromagnetici”) che, in seno al sistema conosciuto come “Echelon”, è preposto alla raccolta di informazioni a livello planetario tramite l’intercettazione di comunicazioni private e pubbliche qualunque sia il mezzo attraverso le quali queste si svolgono: telefono, fax, posta elettronica, chat, forum di internet, radio. Tale sistema, talmente perfezionato da contemplare anche la deviazione delle informazioni transitanti nei cavi sottomarini e che si svolge attraverso dei complessi motori di ricerca programmati per l’individuazione di prestabilite parole chiave, è stato messo a punto dalle centrali di spionaggio statunitensi della Cia, della National Security Agency e della National Reconnaissance Office e gode del sostegno logistico delle strutture militari e di intelligence di Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, nonché di tutti i paesi a sovranità limitata sottostanti all’influenza coloniale di Washington (Italia in testa: una importante diramazione della struttura è stata ubicata nella base statunitense di San Vito dei Normanni). Tale complesso sistema ha permesso agli Stati Uniti di ordire una fitta rete di controllo planetario, una vera e propria polizia politica internazionale che ha potuto – in barba agli ordinamenti nazionali, e in barba anche agli starnazzi della nostra opposizione – sorvegliare e indirizzare le dinamiche politiche di interi Stati o di interi gruppi di persone, nonché svolgere egregiamente mansioni di spionaggio industriale in favore di gruppi economici amici o allineati alle esigenze finanziarie nordamericane.

Perché il decreto sulle intercettazioni di cui tanto si parla in questi giorni ignora tutto ciò, e rivolge le sue attenzioni solo alla larghezza dei faldoni che le Procure devono diligentemente archiviare? Perché non si è opposto anche un vincolo di inammissibilità sulle intercettazioni inerenti la libera manifestazione del pensiero politico, o dell’orientamento culturale, o religioso, o sociale? Perché – soprattutto – non si è dichiarata illegittima ogni analoga attività messa in atto da strutture extranazionali o sovranazionali?

Una legge non è buona o cattiva di per sé. Essa è figlia dell’indirizzo politico e del valore sociale espressi dall’ordinamento che l’ha generata. Solo un buono Stato genera buone leggi. Un sistema marcio e autoreferenziale, invece, genera solo soprusi; e patetici tentativi di salvare una faccia che più nessuno ha voglia di guardare.