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L’esempio di Putin

di Giacomo Gabellini - 28/07/2010



La recente affermazione di Putin, secondo cui il collasso dell'Unione Sovietica sarebbe stato "Una delle maggiori tragedie del Ventesimo Secolo" fu accolta, nel migliore dei casi, come un’esagerazione partigiana, laddove si trattò di una valutazione precisa su quello che fu l'evento cruciale che ridisegnò i granitici equilibri geopolitici sui quali si era retta, per i cinquant’anni precedenti, la cosiddetta "Guerra Fredda".
Già Mikhail Gorbaciov, con la campagna di ristrutturazione denominata "Perestroijka", aveva dato il via a un inarrestabile e irreversibile processo di conversione dell'economia sui dettami neoliberisti, resi necessari, secondo questo sopravvalutatissimo uomo politico, dalla "trasparenza" ("Glasnost") che richiedeva lo zeitgeist dell'epoca. Boris El'cin raccolse l'eredità di Gorbaciov e radicalizzò le sue riforme, convinto che la neonata nazione russa avrebbe tratto enormi benefici dall'apertura delle proprie frontiere al libero mercato e all'afflusso di investimenti stranieri, per lo più americani. Ebbe così inizio la drastica campagna di privatizzazione del tessuto industriale di stato, depredato da infimi individui in odore di mafia che nell'arco di pochi mesi diventarono oscenamente ricchi, a fronte del drammatico impoverimento della popolazione russa. I critici di questa sconsiderata politica economica furono immediatamente zittiti dai tanti "analisti" prezzolati che consideravano questa fase di trasferimento di reddito dal basso all'alto una normale ed inevitabile tappa in vista dell'instaurazione di una economia di mercato affine a quelle occidentali. Peccato che la Russia cadde inevitabilmente in una forte recessione economica, e vide il proprio PIL precipitare a livelli disastrosi (-19% nel 1992). L'insuccesso dei tentativi di reprimere i riottosi ceceni del 1995 si sommò ai fallimenti economici, e gettò ulteriore fango sulla figura, già ampiamente screditata, di El'cin, che a quel punto si abbandonò docilmente tra le grinfie dei magnati che aveva contribuito a far arricchire. El'cin, come uomo politico, era ormai al capolinea. A raccogliere la disastrosa eredità lasciata da costui fu un abile funzionario dei servizi segreti di nome Vladimir Putin. Putin, preso atto della gravità della situazione, piazzò immediatamente i suoi fedelissimi nei ruoli chiave del governo federale russo e diede immediatamente il via ad alcune misure volte al riassestamento della dilaniata economia del paese, "invitando" i nababbi a guardarsi bene dall'interferire. Roman Abramovich, magnate dell'alluminio (e non solo), recepì al volo l'avvertimento e si fece immediatamente da parte. Altri suoi pari decisero invece di opporsi a Putin, pagando a caro prezzo le conseguenze derivanti da questa scelta; Boris Berezovskij, incriminato per corruzione e condannato in contumacia nel 2006, (e accusato dal giornalista, poi assassinato, Paul Klebnikov di essere a capo della mafia russa) se la diede a gambe nel 2001, trovando asilo politico in Inghilterra (numerose prove sul suo coinvolgimento nell'omicidio della giornalista Anna Politkovskaja sono emerse di recente), mentre Vladimir Gusinskij, al centro di uno scandalo bancario, scappò in Israele. Mikhail Khodorkovskij, ex numero 2 del colosso energetico Jukos, è stato invece condannato nel 2003 a 9 anni di carcere e imprigionato. Recentemente sono emersi suoi presunti coinvolgimenti in una truffa legata ad ambienti petroliferi ed è stato aperto un nuovo processo a suo carico. Il 28 maggio di quest'anno, il quotidiano "La Repubblica" in mano al duo luciferino Scalfari - De Benedetti ha, guarda caso, presentato un intero reportage su costui, asserendo che "Giunto a pochi mesi dalla fine della pena di otto anni, inflittagli nel 2003 per evasione fiscale, Khodorkovskij si è visto raggiungere da un'accusa che non pare molto credibile, che ha indignato il presidente americano Obama e sollevato un'ondata di proteste da parte delle organizzazioni umanitarie di tutto il mondo". Si notino le "stranezze" del caso; in Italia il gruppo editoriale in mano a Scalfari e De Benedetti muove attacchi di natura "etica" ai vertici di Finmeccanica, una delle poche aziende autonome parzialmente statali ed allo stesso tempo imposta una parallela campagna mediatica in difesa di un individuo come Khodorkovskij, tirando in ballo i soliti "diritti umani" e sottolineando (osservare la coerenza) lo sdegno di Obama (notoriamente attento alla tutela dei diritti umani, come dimostrato dalla decisione di non chiudere Guantanamo, in quanto “Non rappresenta una priorità”). Due campagne diametralmente opposte, una giustizialista e l'altra garantista, finalizzate al medesimo scopo, quello di fornire alla "manina" finanziaria d'oltreoceano quegli strumenti mediatici indispensabili per tentare di allineare tutti i paesi, compresa la Russia, sulla direttrice atlantica seguita a suo tempo pedissequamente dal vecchio Boris El'cin. Putin, del tutto indifferente a questo tipo di attacchi, ha continuato a tirar dritto per la sua strada. Tessendo alleanze strategiche con Iran, India, Turchia, Brasile, Venezuela e Cina, intrattenendo buoni rapporti con i paesi dell'Europa occidentale (ma non con i burocrati di Bruxelles, filoatlantici per vocazione) e mantenendo legami stretti con gli stati confinanti, Mosca è tornata alla ribalta, ovviando, seppur parzialmente, l'enorme voragine lasciata dal collasso dell'Unione Sovietica. Questa linea politica lanciata da Putin, estremamente pragmatica e scevra da sovrastrutture ideologiche legittimanti, ha consentito alla Russia di ridimensionare con la forza le manie di grandezza del primo ministro georgiano Saakashvili (durante la crisi dell'estate 2008) e di rispondere diplomaticamente ai ricatti energetici perpetrati dal presidente ucraino Juscenko, salito al potere con la sedicente “rivoluzione arancione” (una delle tante rivoluzioni colorate fomentate dalla CIA). Nel primo caso le forze armate russe hanno rigettato l'esercito georgiano al di fuori delle regioni separatiste di Ossezia del Sud e Abchazija. Nel secondo caso Mosca ha raddoppiato il prezzo del gas,in risposta all'aumento delle tasse legate al suo transito sul suolo ucraino preteso da Kiev, cosa che ha sortito durissime ripercussioni nella fragile economia ucraina ed ha, di conseguenza, giocato un ruolo determinante nella sconfitta del filoatlantico Juscenko e nella conseguente elezione del filorusso Viktor Janukovic quale nuovo presidente ucraino. L'Europa si è invece dimostrata fortemente divisa nei confronti della Russia, ribadendo la propria incapacità di rispondere compattamente e autonomamente agli inviti lanciati da Putin in persona a partire dal discorso al Bundestag del 25 settembre 2001, quando sostenne che "La Russia è un paese europeo che nutre sentimenti di amicizia verso gli altri", e culminati con il memorabile discorso di Monaco del 10 febbraio 2007, in cui affermò che "La Russia è un paese con oltre mille anni di storia e che ha quasi sempre goduto il privilegio di una sua politica estera indipendente. Non cambieremo questa tradizione oggi. Al tempo stesso vediamo benissimo come il mondo sia cambiato e valutiamo realisticamente le nostre capacità e potenzialità. Ed è ovvio che ci piacerebbe trattare con partner altrettanto responsabili e indipendenti, con i quali si possa cooperare nella costruzione di un ordine mondiale giusto e democratico, garantendo la sicurezza e la prosperità non solo per gli eletti, ma per tutti”. Alle continue dimostrazioni di simpatia offerte da Putin, i burocrati dell’UE hanno opposto un silenzio assordante, che rivela quel "vorrei ma non posso" imposto dalla logica di asservimento a cui la classe politica europea, dal dopoguerra in poi, continua incredibilmente a tributare fedeltà. Eppure qualcosa, seppure a livello di singoli stati (Germania e Italia, meno la Francia) si muove. La costruzione dei gasdotti "Nord Stream" e "South Stream" è effettivamente una risposta, anche se blanda, alle sollecitazioni di Putin. Si tratta però di mosse sporadiche, di azioni singole che non rientrano in alcun tipo di progetto volto a garantire l'autonomia europea. Alain De Benoist ha opportunamente fatto notare che "Verso l'Europa spesso i russi provano un senso d'amarezza e umiliazione. Intendono tornare a essere rispettati e considerati. Hanno infatti il diritto d'attendersi dagli europei una politica chiara, non una relazione mediocre appiattita sugli americani. Mentre l'Europa ha bisogno d'una Russia forte, restituita allo status tradizionale di grande potenza e fattore strutturale nei rapporti internazionali, per salvaguardare l'indipendenza e sfuggire a ogni forma di tutela e ingerenza esterna. Il suo interesse politico e geopolitico è diventare il partner più stretto possibile di una Russia della quale è già complementare economicamente e tecnologicamente. Che ora l'Unione Europea paia andare in senso opposto non toglie nulla all'urgenza d'un'intesa neo-bismarckiana con la Russia. L'Europa si svincoli dall'Occidente e guardi a Est. Se declina la Russia, declina l'Europa". Gli uomini politici europei, tuttavia, non paiono rendersi conto dei vantaggi che un'alleanza simile farebbe ricadere su entrambi. Preferiscono guardare ad Ovest, affacciarsi sull'Atlantico, e raccogliere le briciole che l'imperialismo statunitense si degna di lasciare sul tavolo.