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Iraq e Afghanistan: via subito!

di Paolo Busoni* - 11/05/2006

"La vera protezione per i nostri militari non sta nelle blindature, ma nel riportarli a casa"

 

Italiani in IraqSei morti in otto giorni devono far riflettere non sulla escalation del terrorismo che le “fonti di intelligence” avevano - come al solito - preventivamente segnalato, e che noi, gente normale, finiamo per conoscere sempre dopo. Quanto sul fatto che questi episodi non siano capitati prima: fonti - stavolta sì - solitamente bene informate nelle forze armate, andavano dicendo che nel periodo della campagna elettorale i “nostri” se ne stessero al riparo. Le attività ridotte al minimo per non offrire occasione, sia in Iraq che in Afganistan, per “incidenti” che avrebbero turbato la già più che combattuta campagna elettorale. Ve lo immaginate il ministro Martino o qualsiasi altro membro del Governo, convinto assertore della nostra presenza in quelle aree, se una cosa del genere fosse capitata ai primi di aprile?
Ora è diverso, il governo si è dimesso e poi qualcosa si deve pur fare, anche perché ci sono gli impegni presi con gli alleati e con le seppur inconsistenti autorità locali: ad un certo punto bisogna uscire dalle caserme. Italiani in IraqFuori è tutto normale, cioè c’è una normalissima guerra contemporanea, di quelle che non sai mai chi può essere tuo amico o nemico e dove il controllo del territorio è la vera posta del gioco. Fuori ci sono terroristi, ex-nemici sconfitti, signori della guerra e criminali che da questa melma hanno solo da guadagnare, non puoi sapere da chi proverrà l’attacco, si conoscono solo i metodi visto che tutti si riforniscono di armi negli stessi “negozi”. Che si tratti di una mina radiocomandata, di un razzo Rpg, di un colpo di mortaio o anche di una sola fucilata, come capitò al sergente Cola, l’essenza della situazione - la guerra - non cambia. E’ inutile riempire i comunicati stampa di allocuzioni gergali come “dispositivo esplosivo improvvisato” o morte per “shock termico” sperando di far trapelare il messaggio che le nostre siano vittime, per così dire, “speciali” o particolarmente sfortunate. Sono saltate su una mina, sono state bruciate da un razzo anticarro a carica cava, contro i quali i nostri mezzi non sono capaci di opporre resistenza: lo “scarrafone” il veicolo colpito in Iraq, è protetto meno di un furgone portavalori di quelli che vediamo fuori dal supermercato e il “puma” degli alpini non è molto meglio.
Caduti in guerraMa la vera protezione non sta nelle blindature: la dobbiamo dare noi cittadini impedendo di esporre, per la stupida vanità di partecipazione al “grande gioco” diplomatico o per gli oscuri interessi economici di élites economiche, il nostro paese alla guerra. E’ il primo passo per dare un senso ad un vecchio slogan, mai come oggi attuale: fuori l’Italia dalla guerra, fuori la guerra dall’Italia. E’ possibile: basta avere il coraggio e la pazienza di ricordarlo continuamente a chi abbiamo appena eletto ai vertici di questa nazione, che non se ne dimentichi mai.
*Paolo Busoni è uno storico militare