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Un grave errore voler cancellare l'aggressività umana

di Massimo Fini - 25/08/2010

 


 

 

Riprendendo questa rubrica al rientro dalle vacanze (sia detto di passata: le spiagge erano molto meno popolate dell’anno scorso, segno che la crisi c’è, almeno per il ceto medio, e non è una maligna invenzione antigovernativa), di quest’estate caratterizzata dalla rottura Fini-Berlsuconi, dalla interminabile querelle sul tinello del presidente della Camera e, negli ultimi giorni, dalla straordinaria enfasi che ha circondato la morte di Cossiga che, benché la retorica sia un collaudato vizio nazionale, non ha precedenti nemmeno per personaggi assai più illustri e meno controversi, mi piace riprendere, anche per un certo disgusto della politica che non è solo mio ma, almeno a stare a Famiglia Cristiana, di moltissimi italiani, una questione apparentemente marginale ma che tale non è.
Mi riferisco alla proposta del ministro del Turismo, Vittoria Brambilla, convinta animalista, di abolire o comunque di ridimensionare il Palio di Siena e altre feste cruente così come in Catalogna si è rinunciato alla corrida. Aveva detto la Brambilla: «Perché non possiamo rinunciare anche noi a qualche corsa o palio, non solo a quello di Siena. Questi spettacoli non hanno più senso, potremmo volentieri farne a meno».
La Brambilla, sia pur con le migliori intenzioni, sbaglia. Gli spettacoli e le manifestazioni cruente, entro certi limiti naturalmente, un senso lo conservano anche oggi. Non si tratta semplicemente di conservare le nostre tradizioni locali, come hanno obiettato i leghisti, ma di qualcosa di ben più profondo. Tutte le culture premoderne hanno avuto spettacoli e manifestazioni cruente, ammesse, istituzionalizzate e regolamentate, che coinvolgevano non solo animali ma anche gli uomini: la festa orgiastica in uso presso tutti i popoli cosiddetti "primitivi", la guerra ritualizzata fra i neri del centro Africa, l’istituto del "capro espiatorio" dei Greci, il Carnevale in Europa (ormai, di fatto, pressoché scomparso). Fra gli Ashanti, tribù guerriera originaria del Ghaa, era istituzionalizzata una settimana in cui ognuno poteva coprire degli insulti più sanguinosi chiunque, anche il re, poi tutto rientrava nella normalità.
I premoderni, più concreti e meno astratti di noi, sapevano che l’aggressività umana non può e non deve essere compressa totalmente. Per due buoni motivi. Perché l’aggressività, oltre che naturale, è vitale e può servire, al singolo o al gruppo, in certe situazioni di emergenza. Il secondo è che se si pretende di eliminare completamente l’aggressività, essa prima o poi rispunta fuori nelle forme più violente, come una molla troppo compressa. Bisogna quindi cercare di canalizzarla in manifestazioni legittimate in modo da poterla tenere sotto controllo.
La cultura illuminista, che non guarda all’uomo così com’è ma a come dovrebbe essere, ha preteso invece di eliminare totalmente l’aggressività dalla vita delle comunità. Tutta la società moderna va nel senso della proibizione assoluta dell’aggressività. Ma l’aggressività così innaturalmente compressa riesplode poi nelle forme più mostruose, come ci dicono i delitti di Erba, di Novi e tanti altri similari, consumati in quartieri tutti perbenino, lindi, asettici da gente fino al momento prima apparentemente tranquilla. Sono i "delitti delle villette a schiera", come li ha definiti Ceronetti. È salutare che l’aggressività possa avere un qualche sfogo. Non per nulla i Greci chiamavano il "capro espiatorio" pharmakos, medicina.