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Zinovev, l'irriducibile

di Fulvio Scaglione - 12/05/2006

Russia. Addio al dissidente che criticò il sistema sovietico ma anche la perestrojka. Aveva 83 anni

Delineò il tipo dell’«homo sovieticus». Ma non fu tenero nemmeno verso l’Occidente

 

La malattia, un tumore al cervello, l'ha infine ucciso ma senza riuscire a piegarlo. Perché Aleksandr Zinovev, scomparso all'età di 83 anni, non aveva mai smesso di scrivere e polemizzare, di aggredire i luoghi comuni e di stupire, di essere l'uomo-contro per definizione, dissidente da tutto e da tutti, anche da se stesso. Una carriera, quella del suo radicale antitotalitarismo, cominciata prestissimo, addirittura all'università, quando era riuscito a farsi espellere per aver immaginato un attentato contro Stalin che non avrebbe mai potuto realizzare. Sesto figlio dell'imbianchino Aleksandr Jakovlevic e della contadina Apollinarija Vasilevna, inurbatisi a Mosca alla fine degli anni Venti per cercare una vita migliore, il futuro filosofo e scrittore dava in quel modo un precocissimo calcio al futuro. Avrebbe recuperato arruolandosi nell'Armata Rossa e diventando, più avanti, un eroe dell'aviazione militare sovietica.
E poi via, con una vita tutta in bianco e nero, da un contrasto all'altro. La sua tesi di laurea, dedicata alla struttura logica del Capitale, gli valse nel 1951 la laurea magna cum laude ma fu pubblicata in Russia solo nel 2002. Divenne matematico, filosofo e uno dei più brillanti studiosi di logica, oltre che professore dell'Università di Mosca. Era direttore del Dipartimento di Logica dell'Università di Mosca e rifiutava di allontanare studenti e professori in aria di dissenso. Era nel consiglio editoriale della prestigiosa rivista Voprosy filosofij (Questioni di filosofia) e si dimise per protesta contro il culto della personalità negli anni di Brezhnev. Risultato: non gli fu mai permesso di accettare gli innumerevoli inviti all'estero per conferenze e convegni, e nel 1974 si ritrovò in pratica prigioniero in patria.
Nel 1976 la svolta: pubblica in Svizzera Cime abissali e subito perde il posto all'Università, è cacciato dall'Accademia delle Scienze e privato delle medaglie al valore conquistate durante la guerra. Dopo l'uscita, ancora in Occidente, di Un brillante futuro, aspra satira contro Brezhnev, viene invitato a scegliere tra il Gulag e l'esilio. Parte per la Germania, si sistema a Monaco dove vivrà fino al 1999.
Avrebbe ancora pubblicato molto (i saggi di Senza illusioni nel 1980 e di Il comunismo nel 1981, il romanzo Homo sovieticus nel 1983 e La casa gialla nel 1985), opere fluviali in cui la mano del docente di logica si sentiva sempre più di quella del narratore. E avrebbe deluso tutti, per la sua incredibile coerenza nel disallinearsi da qualunque aspettativa, soprattutto da quelle tipiche nei confronti del dissidente sovietico. Critico di Gorbaciov e della perestrojka, ribattezzata katastrojka con uno di quelle fulminee invenzioni verbali che gli riuscivano così bene. Critico di Eltsin e dell'influenza occidentale sulla Russia. Critico degli Usa, considerati più pericolosi della Germania nazista. Ammiratore di Slobodan Milosevic. Una volta tornato in Russia, nel 1999: critico della globalizzazione. Critico di Putin. Sostenitore della campagna presidenziale di Gennadyj Zjuganov, il segretario del Partito comunista, ritenuto un buon esempio di comunista post-comunista. Critico della Santa Rus', da lui considerata ormai morta.
La vita e il destino gli hanno però riservato una beffa che lo farebbe infuriare. Non è in queste posizioni recenti e controverse lo Zinovev che durerà, quello che leggeremo anche in futuro per capire meglio il passato. Questi lo troveremo, come sempre, nei saggi scritti da dissidente, cioè nel ruolo e nella condizione che più gli stavano stretti. C'era un homo sovieticus, eccome se c'era, e ben lo vediamo in questi ultimi tempi. Zinovev lo capì per primo, per primo cercò di descriverlo in modo quasi scientifico e sempre venato di un'ironia feroce, puntuta come solo la logica può esserlo. Di questo Zinovev sentiremo la mancanza. «La menzogna è in generale un elemento creativo della nostra vita», aveva sarcasticamente scritto dell'Urss. Pochi si erano battuti qua nto lui per affermare il contrario.