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Italia, tristi cartelli di benvenuto

di Luca Mercalli - 03/09/2010




Un paese lo si ama se lo si conosce. C’è una geografia che si impara a scuola, e che è in via di estinzione, e c’è una geografia che si impara ogni giorno dai finestrini dell’auto o del treno.
Ma chi guarda ancora al territorio con curiosità, attenzione e senso critico? Ormai in viaggio si fa di tutto per estraniarsi dal contesto attraversato: palmari, lettori di musica, internet, film, vetri oscurati. Così si diventa sempre più insensibili e ignoranti, mentre il brutto avanza e il paesaggio si degrada inesorabilmente. Nel 1876 il lecchese Antonio Stoppani, illustre geologo e geografo oggi dimenticato, pubblicava con strepitoso successo «Il Bel Paese» (oggi ristampato, dopo lunga assenza dai cataloghi, dall’editore Aragno con introduzione di Luca Clerici).

Un libro che è un capolavoro di divulgazione scientifica, nel quale l’autore si rivolge ai suoi giovani nipoti in forma di dialogo, raccontando per ventinove serate in un salotto milanese le peculiarità naturalistiche dell’Italia appena fatta, dalle Alpi all’Etna. Un libro che diventò un long seller, e per un po’ fu il terzo titolo venduto dopo I Promessi Sposi e il Cuore di De Amicis. Oggi tutti parlano del bel paese, ma più che Stoppani ricordano un formaggio così battezzato in onore dello studioso da Egidio Galbani nel 1906. E soprattutto i giovani studenti di oggi, orfani di uno Stoppani e distratti da mille gingilli virtuali, non ricevono più quella semplice abitudine a osservare e godere del mondo fisico che li circonda.

Le strade italiane poi non aiutano. Mai una piazzola ben curata che inviti a una sosta per apprezzare un panorama o scattare una foto, per farsi un’idea di quel pezzo di pianeta Terra. Immensi pannelli pubblicitari impestano l’orizzonte stradale, quando trovi uno scorcio e riesci a fermarti senza creare un tamponamento, vieni in genere accolto da mucchi di piastrelle sbrecciate, vecchie tazze di wc, copertoni usati, cespugli-latrina e vari resti del posto-prostituta. Immagino di essere un turista francese in viaggio verso il bel paese. Arrivo dalla Provenza via Briançon, e poco dopo L’Argentière-la-Bessée in un tornante della Route Nationale 94 trovo una grande statua che simboleggia il turista alpino, un parcheggio e una tavola d’orientamento in ceramica smaltata che illustra le vette degli Ecrins. Un posto qualunque, valorizzato e reso portatore di informazioni e di valori. Ti fermi e apprendi dove sei.

Colle del Monginevro, Clavière, il cartello stradale dice che entri in Italia. All’uscita delle gallerie paravalanghe dello Chaberton c’è un balcone perfetto sull’alta Val di Susa: la vista spazia su Sestriere, Cesana, Sauze d’Oulx, giù fin verso la pianura padana.

Il biglietto da visita dell’Italia è però un magazzino Anas diroccato e uno spiazzo con cumuli di macerie, oggi pure transennato per il cantiere del nuovo tunnel in costruzione. Altro che tavola di orientamento in ceramica! Nemmeno le olimpiadi invernali hanno pensato che valesse più un dignitoso belvedere di mille slogan turistici bugiardi.

Proviamo un altro italico accesso, dall’augusto valico del Moncenisio. Passato il ridente villaggio alpino di Lanslebourg, poco prima del colle, altro semplice parcheggio con tavola d’orientamento verso la Vanoise. Poco dopo a Bar Cenisio appare il vecchio posto di frontiera italiano, abbandonato e devastato: sembra il Kosovo dopo i bombardamenti. Un borgo fantasma, vecchi alberghi con le imposte inchiodate, un ponte a senso unico alternato non ancora riparato dopo i danni dell’alluvione del maggio 2008, una baita ristrutturata con i gerani alle finestre unica tenace nota di civiltà. E poi fino a Susa la Strada Statale 25 costellata dei tristi ruderi delle case cantoniere, imponenti e pericolanti edifici rosso pompeiano, usate oggi come cessi e come supporto per graffiti. Uno spettacolo che ti prende alla gola, perfetta metafora del Bel Paese in rovina.