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Birmania: Zone di guerra dimenticate.

di Fabio Polese - 08/10/2010

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Una delle tante guerre sconosciute è quella che porta avanti la resistenza Karen contro la giunta militare birmana per ottenere quello che gli era stato promesso alla fine della seconda guerra mondiale: una forma di autonomia e il rispetto delle proprie identità e tradizioni.  Dietro questa guerra, che inizia nel lontano 1949, ci sono molti interessi economici e commerciali e mentre il Popolo Karen resiste per mantenere le proprie peculiarità di Popolo senza sottomettersi ai facili guadagni, dovuti soprattutto al narcotraffico internazionale, continua la sua difficile vita nei villaggi tra le montagne impervie delle giungla birmana. Il governo di Rangoon attraverso il terrore, gli stupri e la schiavitù, intende destabilizzare la cultura e le tradizioni di questo Popolo e delle numerose etnie che compongono il mosaico birmano. Nessuna ideologia tradizionale contraddistingue il governo vigliacco e sanguinario della giunta militare. Da molto tempo, ormai, assistiamo allo stretto rapporto che lega quelle terre vessate e le sue istituzioni politiche a tutta una serie di affaristi e multinazionali, che direttamente o indirettamente, tessono rapporti commerciali con la giunta birmana. Supportati militarmente da Cina, India e dall’israeliana Elbyts System, sono membri dell´intelligence australiana che organizza a Rangoon corsi di formazione per strategie militari nel controllo e nella repressione di sommosse. La stessa Italia, attraverso Oviesse, la tedesca Wolkswagen e la giapponese Toyota sono molto attive nel mercato birmano. La Repubblica Popolare Cinese, ormai turbo capitalista,  sviluppa la sua economia anche grazie all’esportazione delle materie prime che la Birmania offre,  gas e legname in primis e, da non sottovalutare, è la posizione geografica strategica della Birmania che permette alla Cina una porta d’accesso nel sud-est asiatico. Il Myanmar - ex-Birmania - approfitta della collaborazione con Pechino per evitare il distacco internazionale e per avere un chiaro supporto dentro il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E’ chiaro che, in un simile quadro, la finanza mondiale, dalle logiche liberal-capitaliste, ha un forte interesse a sostenere la giunta militare ed è favorevole all’estinzione di Popoli che ancora possiedono radici profonde e sono ostili a progetti mondialisti di omogeneizzazione di massa. Il Popolo Karen, che conta oltre sette milioni di persone, ha tutte le peculiarità di una Nazione avendo una propria cultura, una propria lingua, una propria storia e soprattutto una propria terra. Di personalità semplice e pacifica i Karen sono costretti a combattere per la loro libertà da oltre sessanta anni sotto il silenzio quasi totale di governi e mass-media omologati. La Comunità Solidarista Popoli - www.comunitapopoli.org - che dal 2001 segue e aiuta concretamente questo Popolo attraverso cliniche mediche e scuole per garantire una adeguata assistenza, ha appena terminato con successo la missione di Settembre 2010. Ho partecipato con grande entusiasmo alla missione di “Popoli” e, in un mondo dove si parla sempre più spesso di guerre per portare la pace, di operazioni di colonizzazione culturale travestite da missioni umanitarie, ho avuto l’onore di conoscere questo Popolo orgoglioso, fiero e capace di trasmettere nell’era dell’apatia spirituale che imperversa, sani e magici valori. Con l’auspicio che questo angolo di mondo fatato possa trovare il più presto possibile la libertà vi lascio con le parole del Colonnello dell’ Esercito Nazionale di Liberazione Karen - K.N.L.A. -, Nerdah Mya: “Se i Karen non si fossero fin qui battuti, oggi non si potrebbe più parlare dei Karen, non esisterebbero più. Il regime birmano una volta ha dichiarato che in futuro per poter vedere un Karen si dovrà andare in un museo. Per loro noi abbiamo una sola possibilità di sopravvivere: venderci al regime, accettare di diventare dei sudditi. Ma vedete, mio padre - Boeh Mya, leggendario eroe della resistenza Karen deceduto nel dicembre 2006 - mi ha sempre detto una cosa che non dimenticherò mai: «E’ meglio vivere un solo giorno da Uomo libero piuttosto che cento anni da schiavo». No, la nostra lotta non si fermerà.” Il loro esempio vale più di mille parole, sosteniamoli.