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Il veleno dei tulipani

di Roberto Zavaglia - 10/10/2010

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D’ora in poi dovremo forse relegare fra i falsi luoghi comuni l’immagine consueta che dell’Olanda abbiamo un po’ tutti. Il Paese della tolleranza e di tutte le libertà che abbiamo conosciuto anche con il calcio –dal tempo della spregiudicata, in tutti sensi, squadra del grande Cruijff fino alla novità dei giocatori di colore, come Gullit, chiamati in nazionale per compiere prodezze e per rappresentare il simbolo dell’integrazione- sembra essere diventato un po’ meno permissivo. Resistono con, alcune limitazioni, i coffee shop, dove si consuma ben altro che il caffé, e i matrimoni tra omosessuali, ma la politica ha cambiato strada.
  Nei giorni scorsi, dopo quasi quattro mesi di difficile trattative, è stata trovata una  maggioranza parlamentare per il nuovo governo che sarà guidato da Mark Rutte. I ministri saranno scelti fra i membri del Partito liberale del capo del governo e fra i cristiano-democratici, ma la vera, clamorosa novità è che l’indispensabile sostegno esterno proverrà dallo “xenofobo” Partito della Libertà dell’ex infrequentabile Geert Wilders. L’inedita coalizione centro-destra-estrema destra dispone di una maggioranza risicata (76 deputati su 150) e non sono pochi gli osservatori che pronosticano una navigazione difficoltosa e una vita breve per il governo. I cristiano-democratici si sono rassegnati a venire a patti con il “diavolo” dopo un lacerante dibattito interno, ma il Paese ha accolto lo sdoganamento di Wilders con sostanziale calma.
  Non è segnalata alcuna tempesta nemmeno in Europa. Non ci sono le interminabili e violente polemiche che segnarono, nel 1999, l’ingresso del partito di Joerg Haider nel governo austriaco. Forse, il “falso allarme” di quelle settimane qualcosa ha insegnato oppure gli anni trascorsi hanno parecchio modificato il Vecchio Continente. L’ascesa di Wilders è stata assai rapida, avendo egli fondato il suo movimento solo nel 2006. Nelle elezioni dello scorso giugno il Partito della Libertà è diventato la terza forza politica olandese, con un milione e mezzo di voti.
  Tra i tanti leader “anti-immigrazione” alla ribalta negli ultimi anni in Europa, Wilders si distingue perché  la sua polemica è diretta soprattutto contro i nuovi venuti islamici. In grande maggioranza di origine marocchina e turca, gli immigrati di fede musulmana rappresentano circa il 5,6 dell’intera popolazione e, concentrandosi nelle città, sono una presenza molto “visibile”, anche per via delle  475 moschee che sorgono nel Paese. La stessa percentuale di musulmani in Italia porterebbe il loro numero a 3,4 milioni invece degli 1,2 milioni oggi residenti. Wilders sfrutta il malcontento di larghe fasce della popolazione per il “triste spettacolo” che gli islamici offrirebbero quotidianamente. A suo avviso, si tratta di persone che, in maggioranza, rifiutano di integrarsi e che non accettano nulla dello stile di vita olandese, incrementando le file della delinquenza.
  Esposto con toni veementi e talvolta insultanti, il discorso del capo populista chiama alla difesa  della cultura olandese e, più in generale, occidentale, contro lo “tsunami dell’islamizzazione”. I musulmani non sanno tollerare stili di vita diversi e ambiscono a conquistare l’intera società, con l’applicazione della sharia. Il Corano va bandito perché “è più un’ideologia che una religione”; chi lo segue deve accettare interamente i suoi precetti, riguardanti tutti gli aspetti dell’esistenza, e quindi si rifiuta di obbedire alle regole stabilite dalle leggi olandesi. La predicazione anti-islam si mescola e si fonde con il credo liberista di Wilders che proclama giunta l’ora di porre fine agli sprechi dello stato sociale, specialmente quando ne godono i musulmani “renitenti” a ogni lavoro. Questa propaganda si diffonde in un Paese ancora scioccato per gli omicidi del politico Pit Fortuyn, nel 2002, e del regista Theo Van Gogh due anni dopo, entrambi i quali avevano fatto della critica all’islam il loro cavallo di battaglia.
  E’ dai tempi di quelle due uccisioni che gli olandesi hanno incominciato a capire che qualcosa non funzionava nel loro modello di integrazione etnica. Il sistema adottato si basa sugli aiuti alle minoranze, in riferimento e in proporzione alla rappresentanza di ciascuna etnia negli organi consultivi predisposti. La scuola, in particolare, ha cercato di salvaguardare le specificità culturali delle minoranze, permettendo agli studenti di seguire i propri stili di vita –religiosi, di comportamento, di abbigliamento, di alimentazione- senza cercare un’omologazione forzata. Pare che i risultati di questo atteggiamento “multiculturale” non siano particolarmente positivi. Le varie comunità, in particolare quella islamica, tendono a chiudersi in se stesse, rifiutando il dialogo con gli autoctoni e generando in loro l’impressione di una estraneità minacciosa. Una parte consistente dei “tolleranti” olandesi è irritata per il cambiamento del “paesaggio quotidiano”. La da sempre cosmopolita Amsterdam è arrivata ad ospitare una popolazione che, per quasi la metà, è di origine straniera, con la presenza di 176 diverse nazionalità.
  Proprio nel momento in cui entra a fare parte della maggioranza politica, Wilders è però chiamato a rispondere in tribunale delle sue durissime affermazioni contro l’islam. E’, infatti, incominciato il processo che lo vede imputato di istigazione all’odio razziale per avere, tra l’altro, dichiarato che il Corano equivale al Mein Kampf e che Maometto era un barbaro e un pedofilo. In aula, Wilders   cerca di accreditarsi come martire della libertà di pensiero. Nella sua dichiarazione preliminare ha detto che, processando le sue idee, si processano anche centinaia di migliaia di olandesi che la pensano allo stesso modo. Il capo del Partito della Libertà è forte del fatto che non lo si può emarginare definendolo “un fascista”, perché, oltre a professarsi liberale senza incertezze, manifesta di continuo la sua ammirazione per Israele.
  Il fenomeno Wilders si inserisce nel solco del nuovo populismo europeo che ha trovato armi efficaci nella condanna dell’immigrazione. I successi di formazioni come il Partito della Libertà sono spesso effimeri, basandosi quasi esclusivamente sulla protesta più emotiva. La difficile scommessa di questi movimenti, con un’immigrazione tuttora in crescita, è quella di riuscire a consolidarsi senza perdere del tutto la propria carica di radicalità , divenendo una delle componenti stabili del gioco politico, accanto a socialisti, popolari e liberali. Al posto di processarne i capi, è più utile metterli alla prova del governo quando l’elettorato li sostiene massicciamente, per farne emergere la demagogia e le contraddizioni. Pur in modo sbagliato e anche pericoloso, uomini  come Wilders potrebbero almeno stimolare la politica a interrogarsi senza ipocrisie sull’immigrazione di massa che rappresenta una difficile questione con la quale, chissà ancora per quanto, avremo a che fare.