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E la nave partirà: “Per la Verità, per Gaza”.

di Antonio Caracciolo - 10/10/2010




Post in costruzione: a chi intende riprendere nel suo sito questo testo prego di attendere la cancellazione del “post in costruzione”. Significa che avrò dato per lo meno una rilettura, per eliminare i refusi. Ma anche in futuro, mi riserverò ogni modifica e dovrà essere considerato questo il testo originale di riferimento.

Agli organizzatori della nave che dall’Italia partirà con la “Flotilla II” suggerisco di optare nella scelta del nome in «Per la Verità, per Gaza» anzichè quello annunciato di «Stefano Chiarini», che in pochi sanno chi sia. Naturalmente, nessuno vuol qui togliere meriti a Stefano Chiarini! Ma per farli conoscere credo sia meglio aspettare altra occasione. «Stefano Chiarini» come nome di una nave non è la stessa cosa che «Rachel Corrie». A chi chiedesse chi fosse Rachel Corrie si può subito e facilmente rispondere: una giovane americana di 23 anni uccisa da un soldatino israeliano, mentre con il suo corpo faceva scudo alla distruzione delle case dei palestinesi. Ed è subito e presto detto l’essenziale: non occorre sapere e spiegare altro. Inoltre, dando per nome alla nave «Per la Verità, per Gaza» si potranno rimbeccare sul loro stesso terreno i media che hanno già strombazzato e strombazzeranno a più non posso la kermesse della signora Nirenstein, che ha certamente dimostrato la potenza della Israel lobby nello strombazzare lo spettacolo fantastico, al Tempio di Adriano, recante per titolo: «Per la Verità, per Israele». Già! Ma quale verità? Quello di uno Stato che si autodefinisce «ebraico e democratico» e pretende con la sua nuova legge sulla cittadinanza che ogni suo cittadini, anche non ebreo o perfino ateo, debba giurare fedeltà ad un siffatto stato, «ebraico e democratico», ma saldamente fondato sulla «Pulizia etnica della Palestina» e sull’apartheid, Alla loro sfacciata pretese, che magari per legge, venga proibita la denominazione di «Terra Santa» si dovrebbe rispondere, almeno sul piano morale e intellettuale, ripristinando il nome di Palestina e rifiutando il concetto di «Stato di Israele», che merita tutti i connotati di quello «Stato criminale», che Karl Jaspers aveva pensato per lo Stato nazista. Se Jaspers avesse occhi filosofici poteva volgere lo sguardo verso Oriente e vedere cosa lì succedeva: ad esempio, l’eccidio di Khan Younis nel novembre del 1956, così orribile da far impallidire i propagandisti nostrani delle “Fosse Ardeatine”. Ma si sa, lo si è sempre detto: i vincitori scrivono la storia e chi ha il potere pretende perfino di fissare per legge quale possa e debba essere la nostra Memoria. I docenti di ogni ordine e grado di istruzione sono fatti diventare ope legis agenti della propaganda. Solo degli incauti ed ingenui docenti conservano la dignità della loro funzione, ritenendo che sia loro composto addestrare i loro allievi alla conoscenza critica, tale da poter confutare e contraddire gli stessi maestri, la cui più grande ambizione è quella di essere superato dagli allievi. Qui invece la situazione evolve passando da una classe docente, minacciata affinchè non osi pensare, ad allievi il più possibile resi incapace di pensare.

Al limite, se è già stato deciso irrevocabilmente il nome «Stefano Chiarini», si potrà aggiungere da qualche parte, in bella evidenza il nome: «PER LA VERITA’, PER GAZA». Non credo che ci siano limiti di caratteri per la titolazione di una nave, che probabilmente cesserà la sua funzione appena giunta a destinazione, se mai la marina e le forze armate israeliane lo consentiranno. Su una nave così intitolata si potrà offrire tanti posti in classe turistica ad ogni dei 60 oratori che al Tempio di Adriano hanno fatto conoscere la loro percezione della Verità. Se anche su questa nave, come già sulla “Mavi Marmara”, si caleranno mascherati i tiratori scelti israeliani, che sparano nel buio ad ogni cosa che si muove, gli Onorevoli Deputati potranno recitare la loro verità al suono delle artiglierie israeliane. E se mai giungeranno a Gaza, si potrà far loro dono di una copia del volume di Joe Sacco, «Gaza 1956. Note in margine», portandoli a Khan Younis, che bisognerebbe mettere a confronto ogni volta che da noi si celebranno le “Fosse Ardeatine”. Viviamo nell’epoca della globalizzazione e la cultura è fatta di comparazioni e di scambi.

Si potranno poi stabilire perfino comparazioni con l’incomparabile, per vedere innanzitutto se esiste l’Incomparabile. Se rispetto all’Evento Innominabile proviamo a fissare criteri di comparazione come “durata” della sofferenza, “intensità” della sofferenza, “numeri” della sofferenza, “intenzionalità” della sofferenza ad altri inflitta, nonchè sulla “innocenza” delle vittime rigorosamente accertamente e sulle “coperture” e “complicità” di cui i carnefici si sono avvantaggiati, e non per ultimo la funzione dei media e dell’informazione in genere, nonché le diciarazioni di “opinionisti”, “scrittori”, cantanti, attori e ballerine, ecc. ecc., per la verità, ad occhio e croce io non avrei dubbio di sorta su chi assegnare il Gran Premio o Primo Premio per la sofferenza e l’ingiustizia subita. È difficile immaginare che un “genocidio” – ormai normativamente equiparato alla “pulizia etnica”, perché in entrambi i casi si uccide una intera etnia, si fa scomparire un popolo dalla faccia della terra – la cui semplice durata copre un periodo di oltre 100 anni (1882-2010) possa essere inferiore ad una “narrazione” su una sofferenza in ogni caso durata non più di un paio di anni.

Qualsiasi sofferenza inflitta al nostro prossimo non può che essere esecrabile e venire da noi rifiutata, perseguendo noi l’immanine utopica e mai raggiunta di un’umanità che vive in pace e dove vige l’amore anziché l’odio e la ferocia. Ciò però non ci impedisce di interrogarci sul perché mai l’uomo infligge sofferenza al suo simile. Sgombrato il campo da queste nostre riflessione dell’istituto della “pena”, con la quale ogni sistema penale sanziona singoli soggetti (mai interi popoli!) per singoli atti (furto, omicidio, stupro, abigeato, ecc.) che non possono essere ammessi in un consorzio umano, resta da chiedersi non se certe cose siano o non siano mai avvenute, ma perché sarebbero avvenute. Chi vuol capire, ha già le chiavi per capire l’allusione. Non vado qui a scavare per non rischiare di far fuoriscire verità dal sottosuolo, difficili e imbarazzanti da rinchiudere nelle viscere della terra. Mi preme qui far risaltare l’assoluta innocenza della vitta sacrificale: il popolo palestinese.

Se ne stava pacifico sulla sua terra, con i suoi costumi contadini e preindustriali: hanno detto che erano dei “selvaggi” e che bisognava cancellarli per portare il “progresso” e la “modernità”. Quando la Palestina fu formalmente assegnata in “Mandato” alla Gran Bretagna, ciè avveniva all’interno di un istituto giuridico tipicamente coloniale e razzista: il Mandato. Vale a dire questo istituto suppone che esistano popoli selvaggi, minorenni, incapaci di darsi da sé proprie istituzioni, di modellare la loro propria cultura, le proprie leggi, i propri costumi. Occorre che uno stato venuto dall’Occidente li educhi alla “civiltà” ed un giorno forse conceda emancipazione ed autonomia, se faranno i bravi e dimostreranno di averlo meritato. Era questo il ruolo della Gran Bretagna, la cui cultura della doppiezza politica e morale prometteva agli uni il contrario di ciò che assicurava agli altri. Non devo qui fare una lezioni di storia per ricordare a chi sa già la genesi e gli svolgimenti della spartizione dell’Impero Ottomano.

Si dice: il giudizio ai posteri. Ma adesso siamo noi quei posteri. Possiamo emettere il nostro responso? Ebbene, per il solo Vicino Oriente, o Medio Oriente (come dicono inglesi e americani dal loro punto di osservazione), a fronte di infinite tragedie costate all’umanità guerre infinite e mai tanto feroci e distruttive, non sarebbe stato meglio se l’Impero Ottomano non fosse stato mai smembrato? Conosco la risposta: la storia non si fa con i se. Obiezione: ma noi qui non abbiamo la pretesa di scrivere la storia che non è stata. Noi diamo il giudizio dei posteri. E possiamo anche osservare la fine ingloriosa e turpe che in pochi decenni ha cancellato i grandi imperi coloniali di Inghilterra e di Francia, i cui appetiti coloniali si erano spartiti tutto il Vicino Oriente. Poveretti, l’ultimo tentativo di rivincita coloniale l’hanno tentato nel 1956, con la guerra anglo-.francese-israeliana per il canale di Suez. Ma ormai il padrone del mondo era un’altro, che astutamente ha fatto sì che la vecchia Europa si dilianasse dal suo interno, riducendosi ad un condominio russo-americano. Ed i sionisti - prima e dopo Balfour - in tutta questa storia non c’entrano nulla? Non lo si può dire...

Or dunque, fatto sta che gli inglesi con il loro mandato giocarono sporco, ma sporco assai, preparando di fatto quello “stato ebraico” che poi diede loro il classico calcio dell’asino, per passare a nuovo padrone: gli Usa, dove una forte Lobby ebraica è in grado di influenzare e condizionare la “politica estera americana” non meno di come la Lobby nostrana è in grado di determinare la “politica estera italiana”, dimostrandolo proprio l’altro ieri, in una sala a ridosso di palazzo Montecitorio, dove il ministro degli esteri, se ancora ve ne era bisogno ha dimostrato anche ai ciechi di essere uno di loro. Non diversamente da quella funzione di terzietà che pretendeva di avere, per gli ingenui e i fessi, l’Alto Commissario inglese nel Mandato britannico di Palestina.

E qui ci fermiamo, per non rischiare di dover scrivere un libro di storia, l’ennesimo libro di storia sulla Palestina. Le mie conoscenze al riguardo sono quelle che ricavo dai libri esistenti e dalla mia capacità di interpretazione critica. Le mie ultime letture mi portano a riflettere che la «Pulizia etnica della Palestina» non è da collocare nel 1948, come si può apprendere dal libro ormai fondamentale di Ilan Pappe a questo riguardo. Ma inizia molto prima ed è implicita nell’idea stessa di sionismo, che per davvero è una forma di “razzismo” oltre che di colonialismo, come si disse in Durban I. Che poi questa dichiarazione stata stata fatta ritirare nulla toglie alla sua “verità”. Anzi, ne dà ulteriore conferma nella misura in cui si riesce a ricostruire la storia delle pressioni, dei maneggi, dei ricatti, di tutto ciò che avvenne dietro le quinte per far ritirare il riconoscimento di una verità che resta tale.

Se non chiudo, rischio di diventare “confuso e dispersivo”, come mi ha obiettato un mio presunto critico. Ma con una considerazione finale e storicamente interlocutoria. Non vi è dubbio che nel caso di “Israele” – ovvero l’«entità sionista», come altri rigorosamente dicono sempre per non dare nessuna parvenza di riconoscimento a quello che io ritengo uno «Stato criminale», che pretende di cancellare non solo il nome di “Palestina”, ma anche quello di “Terra Santa”, – si tratti dell’ultimo residuo di avventura coloniale in un mondo che ha rigorosamente respinto tutta l’esperienza storica del colonialismo e del vero razzismo, che è stato quello coloniale, impersonato in primo luogo da Inghilterra, Francia, USA. Contro questo residuo di razzismo e colonialismo siamo chiamati ad esprimere il nostro giudizio morale di uomini liberali. È probabile, molto probabile che politicamente saremo sconfitti dalla Israel lobby che si è rivelata l’altra giorno al Tempio di Adriano, ma la nostra forza è tutta nella nostra capacità di resistenza, mantendoci dentro la massima evangelica del “sia il vostro dire: si si no no”.

Per questo propongo alla nave italiana che salperà per Gaza, in nome del popolo italiano, di portare con sé una grande scritta, visibile da lontano, dove si possa leggere a caratteri cubitali:

PER LA VERITA’, PER GAZA