L'intenso dibattito delle ultime settimane sulla ripresa delle costruzioni nelle colonie ebraiche nei territori occupati palestinesi ha coperto i veri problemi che Israele affronta, che tormentano la sua società e mettono in pericolo il suo futuro ben più delle presunte minacce del terrorismo musulmano o palestinese. Oggi appare chiaro che il governo israeliano non ha un reale interesse in un processo di pace che metta fine al neocolonialismo cominciato nel 1967. Oggi quel colonialismo arriva al culmine con chiari elementi fascisti, antidemocratici e fondamentalisti religiosi. La richiesta israeliana circa il riconoscimento dello «stato ebraico» non si riferisce tanto a Israele, come stato, ma è il frutto di uno disegno razzista che nega la realtà e la presenza di un 20% dei suoi cittadini non ebrei. Non è più una democrazia, nel migliore dei casi sarebbe una etnocrazia. Le richieste negoziali non fanno che scoprire il vero disegno del governo israeliano: il lebensraum tedesco, il concetto di «territorio vitale» essenziale, la colonizzazione espansionista, sono preferibili a concessioni territoriali. Tutto il dibattito sulla costruzione di colonie è solo la trappola in cui cadono gli attori che mancano di riferimenti chiari. La pace con Egitto e Giordania è stata una chiara accettazione dell'esistenza dello stato di Israele, e in nessuno dei due casi si discusse del carattere ebraico dello stato, perché tutti, israeliani inclusi, erano coscienti del fatto che Israele non era uno stato confessionale e vi abitavano anche cittadini non ebrei. Ancora di più: prevaleva ancora tra gli israeliani l'idea che il popolo ebraico non è definibile solo in termini religiosi, che essere ebreo - un dibattito non risolto a tutt'oggi neppure tra gli ebrei - non può basarsi solo su determinate concezioni religiose. A partire dal 1988 i palestinesi hanno annunciato il riconoscimento del diritto all'esistenza di Israele, senza addentrarsi nella «questione ebraica». Quando oggi si agita questa questione, il significato è duplice: sia rendere impossibili i negoziati, sia anche aprire la questione di una «purificazione» necessaria dello stato di Israele. Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman lo ha detto in modo chiaro: è disposto ad accettare la formula dei due stati, con uno scambio di territori - ovvero, che la parte di Israele popolata in maggioranza da palestinese israeliani sia trasferita al futuro stato palestinese in cambio dell'annessione dei territori predominantemente colonizzati dopo il 1967. per dirla ancora più chiaramente: l'idea dell'espulsione dei cittadini palestinesi di Israele non è più solo patrimonio di gruppi neonazisti come quello del defunto rabbino Kahane. Ora è accettabile anche per un partito estremista che è il pivot centrale della coalizione di Benyamin Netaniahu. «Capite, comprendetemi, io Netaniahu sono disponibile ai due stati, ai negoziati, alla pace che tutti noi ebrei vogliamo, ma ho una coalizione che punta i piedi e devo tener conto dei miei associati...». Questo manda a dire il premier israeliano, ma questo è falso: la decisione adottata questa settimana in materia di acquisizione della cittadinanza rivela la verità. Lieberman è l'alibi brutale di ciò che Netaniahu persegue con delicatezza. Chi sono i candidati ad acquisire la cittadinanza israeliana che dovranno prestare il nuovo giuramento di fedeltà? L'ultranazionalista ministro della giustizia ha proposto che il nuovo giuramento sia destinato a tutti, ma per il momento non è così e l'ipocrisia razzista si svela: i destinatari sono gli arabi (molto pochi, per la verità) che sposino palestinesi israeliani. Sono loro che dovranno giurare fedeltà a Israele come «stato ebraico». E' vero che in molti paesi l'acquisizione della cittadinanza è accompagnata da un giuramento di fedeltà allo stato e alle sue leggi. Ma non si tratta di un giuramento riferito a una determinata confessione religiosa. Si giura fedeltà alla Francia o al Canada o agli Stati uniti, non al cattolicesimo o qualunque altra confessione. Lieberman e i suoi adepti riflettono oggi idee maggioritarie nella società israeliana: il giuramento di fedeltà in fondo è destinato agli infedeli, o chi è sospettato di fedeltà dubbie. Invece di chiedersi se lo stato è fedele ai suoi cittadini - tutti i suoi cittadini - gli israeliani ora cominciano la caccia agli infedeli e i loro soci. Nell'ultimo anno abbiamo assistito in Israele a una continua aggressione alle norme democratiche. E come succede sempre in questi casi il maccartismo, gli attacchi fascisti non si limitano ai cittadini palestinesi israeliani: l'aggressione alle università libere e alle organizzazioni impegnate nella lotta a favore dei diritti umani e politici è diventata norma accettabile anche per i membri del governo. Alcuni ministri del Likud si sono pronunciati contro la nuova regolamentazione della cittadinanza. Sono una minoranza che resta fedele a certi concetti liberali che erano parte del patrimonio ideologico della destra. Ma sono una minoranza che oggi si arrende al razzismo fascista che comincia a dominare ampi settori della società israeliana. Sul piano internazionale, purtroppo il razzismo antimusulmano dominante in Europa aiuta a rendere accettabile il razzismo israeliano, e gli esempi europei non fanno che aiutare gli elementi fascisti e fondamentalisti in Israele. Un processo di pace reale vorrebbe dire per Israele cancellare le acquisizioni territoriali del 1967: il disegno colonialista quindi ha bisogno di mettere ostacoli a l negoziato, e per continuare su questa linea di uno stato sleale con i suoi cittadini, in particolare palestinesi, aumenta la pressione fascista. E' tragico per il popolo ebraico: oggi in nome dell'ebraismo il governo israeliano si lancia in politiche che farebbero l'orgoglio dei peggiori nemici del popolo ebraico. Il giuramento di lealtà è un ulteriore passo su una linea suicida che non farà danno solo ai palestinese ma porterà gli stessi israeliani a svolte tragiche. |